questo fattore è molto meno im-
portante nel nostro mondo mo-
derno “sempre più piccolo”. Se è
così, allora sotto il capitalismo
del laissez-faire non ci sarebbe
praticamente nessun fattore di
immobilità e, data la verità ap-
prossimativa di questi presuppo-
sti, la regione mundelliana diven-
ta quindi l’intero globo – proprio
come sarebbe in un regime di
gold standard».
Questa conclusione di Block è
ugualmente applicabile per l’area
dell’euro, nella misura in cui gli
atti dell’euro, che abbiamo già in-
dicato come una “delega” per il
gold standard, riescono a discipli-
nare e limitare il potere arbitrario
dei politici degli stati membri.
Non dobbiamo mancare di
sottolineare che keynesiani, mo-
netaristi e mundelliani si sbaglia-
no tutti perché ragionano esclu-
sivamente in termini di aggregati
macroeconomici, e quindi pro-
pongono, con lievi differenze, lo
stesso tipo di regolazione attra-
verso la manipolazione monetaria
e fiscale, la “messa a punto” di
flessibili tassi di cambio. Essi cre-
dono che tutto lo sforzo necessa-
rio per superare la crisi dovrebbe
essere guidato da modelli macroe-
conomici e dall’ingegneria sociale.
Così ignorano completamente la
profonda distorsione microeco-
nomica che la manipolazione mo-
netaria (e fiscale) genera nella
struttura dei prezzi relativi e in
quella dei beni capitali. Una sva-
lutazione forzata (o deprezzamen-
to) è onnicomprensiva, ovvero
comporta un improvviso calo per-
centuale lineare nei prezzi dei beni
di consumo, dei servizi e dei fat-
tori produttivi, un calo che è
uguale per tutti. Sebbene nel breve
questo dia l’impressione di una
ripresa intensa attività economica
e un rapido assorbimento della
disoccupazione, in realtà distorce
completamente la struttura dei
prezzi relativi (dal momento che
senza la manipolazione monetaria
alcuni prezzi sarebbero calati
maggiormente, altri meno e altri
non sarebbero scesi del tutto e al-
tri ancora sarebbero, invece, sali-
ti), porta ad una diffusa cattiva
allocazione delle risorse produt-
tive, e provoca un trauma impor-
tante che ogni economia necessi-
terebbe di anni per elaborare e
riprendersi. Questa è l’analisi mi-
croeconomica centrata sui prezzi
relativi e la struttura produttiva
che i teorici austriaci hanno svi-
luppato e che, al contrario, manca
completamente nello strumentario
analitico dei teorici dell’economia
che si oppongono all’euro.
Infine, al di fuori della sfera
puramente accademica, l’insisten-
za fastidiosa con cui gli economi-
sti anglosassoni, gli investitori e
gli analisti finanziari tentano di
screditare l’euro, prevedendo un
tetro futuro, è in qualche modo
sospetta. L’impressione è raffor-
zata dalla posizione ipocrita delle
diverse amministrazioni america-
ne (e anche, in misura minore, dal
governo britannico) nel desiderare
(tiepidamente) che l’euro-zona
tenga “la sua economia in ordine”
e omettendo con interesse che la
crisi finanziaria si è originata
dall’altro lato dell’Atlantico, cioè
nell’incosciente e espansionistica
politica perseguita dalla Federal
Reserve per anni, i cui effetti si
sono diffusi nel resto del mondo
attraverso il dollaro, che è ancora
utilizzato come valuta di riserva
internazionale. Inoltre, c’è un’in-
sopportabile pressione per l’euro
zona affinché introduca politiche
monetarie tanto espansionistiche
e irresponsabili (“quantitative ea-
sing”) quanto quelle adottate ne-
gli Stati Uniti e questa pressione
è doppiamente ipocrita, dal mo-
mento che una tale evenienza da-
rebbe senza dubbio il colpo di
grazia alla moneta unica europea.
Questa posizione nel mondo
anglosassone non potrebbe na-
scondere un timore che il futuro
del dollaro come valuta di riserva
internazionale può essere minac-
ciata se l’euro dovesse sopravvi-
vere e fosse in grado di competere
efficacemente con il dollaro in un
futuro non troppo distante? Tutte
le indicazioni suggeriscono che la
questione stia diventando sempre
più pertinente e, anche se oggi
non sembra molto politically cor-
rect, c’è l’impressione che si versi
il sale sulla ferita che è più dolo-
rosa per gli analisti e le autorità
del mondo anglosassone: l’euro
sta emergendo come un potenzia-
le rivale enormemente potente per
il dollaro a livello internazionale.
Come possiamo vedere, la coa-
lizione anti-euro riunisce diversi
e potenti interessi. Ognuno diffida
dell’euro per una ragione diversa.
Tuttavia tutti hanno un comune
denominatore: gli argomenti che
costituiscono la base della loro
opposizione all’euro sono gli stes-
si, potrebbero ripeterli con ancora
più enfasi se invece che la singola
valuta europea avessero a che fare
con il classico sistema monetario
del Gold Standard. In realtà vi è
un elevato grado di somiglianza
tra le forze che hanno stretto
un’alleanza per costringere l’ab-
bandono del gold standard e quel-
li che oggi cercano (fino ad ora
senza successo) di reintrodurre il
vecchio e obsoleto nazionalismo
monetario in Europa. Come ab-
biamo già indicato, tecnicamente
era molto più facile abbandonare
il gold standard allora di quanto
sarebbe oggi per qualsiasi paese
lasciare l’unione monetaria. In
questo contesto, non dovrebbe
sorprendere che i membri della
coalizione anti-euro spesso cada-
no nel disfattismo più sfacciato:
predicono un disastro e l’impos-
sibilità di mantenere un’unione
monetaria e poi propongono la
“soluzione” di smantellarla im-
mediatamente. Essi si spostano
anche così lontano per tenere con-
corsi internazionali (- dove altro
– in Inghilterra, la casa di Keynes
e del nazionalismo monetario) in
cui centinaia di “esperti” e pazzi
partecipano ognuno con le sue
proposte per la migliore e più in-
nocua strada per fa crollare
l’unione monetaria europea.
5. I veri peccati capitali del-
l’Europa e l’errore fatale della
Banca Centrale Europea
.
Nessuno può negare che
l’Unione Europea soffra cronica-
mente di una serie di gravi pro-
blemi economici e sociali. Tutta-
via, il chiacchierato euro non fa
parte di loro. Piuttosto è vero il
contrario: l’euro agisce come un
potente catalizzatore che rivela la
gravità dei veri problemi in Euro-
pa e accelera o “precipita” l’at-
tuazione delle misure necessarie
per risolverle. Infatti, oggi, l’euro
sta aiutando a diffondere, più che
mai, consapevolezza sull’insoste-
nibilità dell’enorme stato sociale
europeo e sulla necessità sostan-
ziale di una sua riforma. Lo stesso
si può dire per gli onnicompren-
sivi programmi di aiuto e sovven-
zione, tra i quali la Politica Agri-
cola Comune occupa una
posizione chiave, sia in termini dei
suoi dannosi effetti sia nella sua
totale mancanza di razionalità
economica. Soprattutto possiamo
dire che la cultura dell’ingegneria
sociale e la regolamentazione op-
pressiva, con il pretesto di armo-
nizzare la legislazione dei diversi
paesi, fossilizzano il mercato uni-
co europeo impedendogli di essere
un vero e proprio mercato libero.
Ora più che mai, il vero costo di
tutti questi difetti strutturali si sta
evidenziando nell’eurozona: senza
una politica monetaria autonoma
i vari governi sono stati letteral-
mente costretti a riconsiderare (e,
quando possibile, a ridurre) tutte
le loro voci di spesa pubblica,
tentando di recuperare e guada-
gnare competitività internazionale
con la deregolamentazione e l’au-
mento, quando applicabile, della
flessibilità dei loro mercati (in
particolare il mercato del lavoro,
che è tradizionalmente molto ri-
gido in molti paesi dell’unione
monetaria).
In aggiunta ai peccati capitali
dell’economia europea di cui so-
pra, dobbiamo aggiungerne un al-
tro che è forse ancora più grave,
per via della sua peculiare natura
subdola. Ci riferiamo alla grande
facilità con cui le istituzioni eu-
ropee, molte volte a causa di una
mancanza di lungimiranza, lea-
dership o convinzione riguardo i
loro stessi progetti, si permettono
di rimanere impigliate nelle poli-
tiche che nel lungo periodo sono
incompatibili con le esigenze di
una singola valuta e di un vero
mercato unico libero. In primo
luogo è sorprendente notare la
crescente regolarità con cui ven-
gono introdotte le fiorenti e sof-
focanti nuove misure di regola-
mentazione in Europa dal mondo
accademico e politico anglosasso-
ne, in particolare gli Stati Uniti,
spesso quando tali misure si sono
già dimostrate inefficaci o estre-
mamente dirompenti e spiazzanti.
Questa influenza malsana fa parte
di una lunga tradizione consoli-
data (ricordiamo che i sussidi
agricoli, la legislazione antitrust
e le regolamentazioni in materia
di “responsabilità sociale delle im-
prese” sono in realtà nate, come
molti altri interventi fallimentari,
negli Stati Uniti). Oggi queste mi-
sure di regolamentazione sono
rinforzate ad ogni passo, ad esem-
pio il cosiddetto “giusto valore di
mercato” e il resto dei principi
contabili internazionali o i tenta-
tivi (finora, fortunatamente falliti)
di attuare i cosiddetti accordi di
Basilea III per il settore bancario
e Solvency II per il settore assicu-
rativo, entrambi i quali soffrono
di carenze teoriche e mancanze
teoriche fondamentali e insor-
montabili, così come pure gravi
problemi in relazione alla loro ap-
plicazione pratica.
Traduzione di
Francesco Simoncelli,
Antonio Manno,
Nicolò Signorini e Luigi Pirri
3/continua
II
CULTURA
II
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 25 AGOSTO 2012
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