II
CULTURA
II
Gli uomini che inventarono la rivoluzione digitale
di
TOMASOWALLISER
urante la Western Electronic
Show and Convention tenutasi
a San Francisco nel settembre 1975
si incontrarono molte persone, que-
sti eventi vengono organizzati per
questo, ma due di loro diedero vita
ad un incontro che con il senno di
poi fu il più fondamentale del de-
cennio e di quello seguente. Chuck
Peddle, aveva da poco ultimato la
sua creatura il MOS 6502, un mi-
croprocessore a 8 bit. Il 6502 non
era il primo microprocessore della
storia e nemmeno il primo a venire
presentato al pubblico, ma sicura-
mente era il meno caro: costava me-
no di 25$ e c’era la fila per com-
prarlo. Il prezzo era talmente
allettante che Steve Wozniak, allora
venticinquenneenne e uno tra i tanti
in fila, decise di comprarne una
manciata, compreso il manuale da
5$, per usarlo in un computer che
aveva intenzione di costruire: quel
computer avrebbe preso il nome di
Apple I.Wozniak prese il processore,
Peddle mise in tasca i dollari. Si è
portati a penasare che la rivoluzione
più importante degli ultimi decenni
sia il frutto dell’evoluzione tecnolo-
gica delle grandi aziende informati-
che, ma non andò per niente così.
Ibm, Dec, Hp, anche Xerox, ne av-
vertirono gli effetti solo diversi anni
dopo, alcune riuscirono a recuperare
il terreno perduto, altre no. L’infor-
matica non era una scienza nuova,
aveva ormai più di 30 anni e alcune
aziende erano già dei colossi nel loro
settore: una per tutte Ibm. Il com-
puting era una pratica iniziatica e
tenuta segreta. Ma negli anni ’60
l’idea che qualche segreto potesse
essere tenuto sotto chiave comincia-
va a vacillare. Al Massachussets In-
stitute of Technology alla fine degli
anni ‘50, giovani hackers scalpita-
vano per essere ammessi al cospetto
del locale cervellone elettronico.
Questi primi hackers stazionavano
fuori dalla porta in attesa che qual-
che turno di utilizzo saltasse, ma il
più delle volte avevano accesso alla
macchina nelle ore notturne. In que-
sto clima si definisce l’etica degli
hackers: l’accesso ai computer deve
D
essere totale e illimitato, non ha sen-
so limitare la conoscenza verso la
computer science. Inoltre: le infor-
mazioni devono essere disponibili
liberamente perchè un hacker deve
poter migliorare ciò che ritiene ina-
deguato; e infine: i computer posso-
no cambiare la vita di tutti in me-
glio.
Questi primi hackers lasceranno
poi il Mit muovendosi verso la west
coast e portando con sé la loro etica
in un ambiente dove prenderà una
forma del tutto particolare. La rivo-
luzione degli home computer co-
mincia infatti nella Silicon Valley al
capo opposto degli Stati Uniti rispet-
to al Mit di Boston. Il motivo ha no-
me e cognome: Intel e controcultura.
Quello delle calcolatrici verso la fine
degli anni ’60 è un eccellente mer-
cato di massa, dove la miniaturiz-
zazione può fare la differenza. Ted
Hoff, chip designer alla Intel, se ne
viene fuori con un’idea: perché non
racchiudere in un unico chip tutte
le funzione svolte dai diversi chip
logici che compongono una calco-
latrice? È il 1969 e la logica della
miniaturizzazione e l’idea di Ted
Hoff hanno appena ammazzato
main frame e minicomputer in un
colpo solo, ma le conseguenze sa-
ranno tangibili solo nel decennio se-
guente. Sarà Federico Faggin nella
primavera del 1970 a rendere questa
idea una realtà, realizzando il pro-
totipo dell’Intel 4004, il primo mi-
croprocessore della storia, con
un’architettura a 4bit. Calcolatrici
tascabili e orologi digitali diventano
gadget irrinunciabili per una nuova
generazione di nerd, nati e cresciuti
con i serial di Star Trek e Spazio
1999, e poco più tardi con i film di
Star Wars, mentre fioriscono un po’
ovunque quei veicoli di computer
culture che furono le sale giochi.
Ogni ragazzino nato negli anni 60
e 70 comincia a sognare il momento
in cui potrà interrogare un computer
direttamente dalla sua cameretta e
operare subito dopo un balzo a ve-
locità luce verso Alderaan. Questi
nerd saranno le vittime, più che con-
senzienti, della home computer in-
vasion, ma sono una nuova genera-
zione, nata in era digitale e sci-fi:
sono la 8bit generation; nerds e hac-
ker che di questa invasione sono sta-
ti gli artefici, sono di un’altra gene-
razione, o meglio di altre due e ben
distinte.
Gli hackers del MIT sono nati
alla fine degli anni ’30 e sono coloro
che hanno preparato il terreno in
termini tecnico-scientifici. Gente più
giovane di loro, come Bill Gates e
Paul Allen, Steve Jobs e Steve Woz-
niak, sono tutti «born in the 50’s»
e sapranno sfruttare al massimo
queste premesse dal punto di vista
commerciale e imprenditoriale.
Gli hacker di seconda generazio-
ne, quelli che plasmarono la 8bit ge-
neration, sono, almeno negli Usa,
raggruppabili in due categorie: i
nerd e gli hippy, anche se questo ter-
mine non deve far pensare agli at-
tivisti di fine anni ’60, quanto piut-
tosto ai loro fratelli minori. I due
generi sono ben identificabili a oc-
chio nudo; il nerd indossa camicia
a mezze maniche e salvataschino
con penne, pantaloni educati e porta
gli occhiali, l’hippy ignora delibera-
tamente la stagione quando sceglie
i vestiti: indossa T-Shirt e sandali an-
che in pieno inverno, ha la barba e
i capelli lunghi, mentre il nerd è ra-
sato e con la riga da un lato; il nerd
ha la calcolatrice, l’hippy se la fa
prestare, il nerd è ossessionato dal
sesso, l’hippy lo fa, il nerd usa lo
spray nasale, l’hippy tira di coca.
Ciò che è più interessante è il diver-
so modo in cui approcciano il com-
puting: l’hippy tende ad avere la vi-
sione generale del problema, mentre
il nerd è in grado di immergersi nel
dettaglio fino a perdere il quadro
totale. Quando lavorano insieme l’-
hippy e il nerd sono in grado di rag-
giungere traguardi inimmaginabili.
A dispetto di quanto si può pensare
oggi, Steve Jobs ha avuto tutti i tratti
dell’hippy, mentre Steve Wozniak è
stato ed è tuttora molto chiaramente
nerd. Jobs era un ragazzo che non
aveva finito l’università, e mai
l’avrebbe fatto, ma aveva già all’at-
tivo un lavoro alla Hewlett Packard,
un lavoro alla Atari e un viaggio in
India. Per sua stessa ammissione non
sapeva che fare della sua vita, ma il
viaggio in India e molte e profonde
letture di filosofia contribuirono a
dare forma alle sue inclinazioni. Per
Jobs il business non è un fine, ma
un mezzo. Jobs vuole dare la forma
che vuole al mondo che lo circonda
e spesso ci riesce. Steve Wozniak è
caratterialmente molto diverso da
Jobs: è veramente appassionato del
fatto tecnico: da bambinoWoz è un
radio amatore, poi costruisce un pic-
colo addizionatore elettronico come
saggio per le scuole medie. In comu-
ne con Jobs ha il solo fatto di lascia-
re l’università prima di completarla,
di essere in qualche modo un drop
out, ma mentre il primo dorme sul
pavimento del campus e medita le
filosofie orientali, Woz inventa un
congegno a distanza per incasinare
il televisore della confraternita du-
rante il clou degli eventi sportivi.
Eppure Woz più che cambiare il
mondo a sua immagine, avrebbe vo-
luto entrarci a buon diritto: più di
una volta insisterà con i suoi datori
di lavoro di HP perché producano
il “suo” home computer, ma questi
risponderanno sempre di no. Perso-
ne come Woz, Jobs, Gates e Allen,
oppure come Sinclair in Inghilterra
e Peddle negli USA hanno tutta la
fretta che le grandi corporation non
avevano. Ed è comprensibile: perchè
cambiare un modello di business
vincente e altamente remunerativo?
Se non costrette IBM, DEC e Gene-
ral Electric non lo avrebbero mai
fatto. Chi ha fretta? Chi spinge
avanti la storia con un balzo? Out-
siders e wonnabes. Gente che per
vari motivi sentiva l’urgenza di en-
trare nel business, di fare palate di
Al Festival delle Storie tornano i sogni 8bit
K
La Valle di Comino, sul ver-
sante laziale del Parco nazionale
d’Abruzzo, diventa la Valle delle
storie. In prima visione mondiale
Tomaso Walliser, con Andrea
Mancia e Marco Lombardo, pre-
senta 8bit generation, il documen-
tario sui padri della rivoluzione in-
formatica. Le storie, raccontate dai
protagonisti, su Commodore 64,
Apple, Super Mario, Pong, Space
Invaders, Spectrum, Ibm. Come la
generazione anarchica degli anni
‘60 ha sviluppato la forma innova-
tiva di capitalismo. Sabato 25 ago-
sto ore 19.30 al teatro ducale di
Alvito. Proprio sabato si alzerà il
sipario sulla terza edizione del Fe-
stival delle Storie. Andrà avanti fino
al 2 settembre, con l’obiettivo di
far diventare questa splendida ter-
ra il crocevia di incontri, libri, scrit-
tori, astrofisici, fumettisti, canta-
storie e parolieri, dissidenti
insieme per ricordare e immagi-
nare un futuro possibile. Gli ap-
puntamenti, organizzati dall’asso-
ciazione culturale “Il festival delle
storie”, con la supervisione di Vit-
torio Macioce, sono variegati e im-
perdibili. Alvito, Atina, Picinisco,
San Donato, Gallinaro, Vicalvi e
Casalvieri sono i sette centri della
Ciociaria in cui si terrà la kermes-
se culturale. Poi altro, molto altro,
da raccontare…
soldi, di cambiare il mondo o solo
la propria esistenza, oppure solo di
sfidare il sistema. Verso Natale del
1974 Les Solomon avvicina sua fi-
glia che sta guardando Star Trek alla
televisione: “come si chiama il com-
puter dell’Enterprise?”, la ragazzina
ci pensa un po’ “computer”. Les So-
lomon sta cercando un nome inte-
ressante per il computer che sta per
mettere in copertina sulla prossima
edizione del suo giornale:”perché
non lo chiami Altair? È lì che sta an-
dando l’Enterprise questa sera” ta-
glia corto la figlia. Nel gennaio del
1975, come una pentola a pressione
ormai fuori controllo, la scena del
personal computing esplode lette-
ralmente. Sulla copertina di Popular
Electronics campeggia la fotografia
di un microcomputer, l’Altair 8800,
prodotto come kit di montaggio da
una ditta del Nuovo Messico chia-
mata MITS e un articolo di Les So-
lomon che annuncia che il mondo
è entrato in una nuova era. Il com-
puter costa 397$, occorre pagarlo
in anticipo e poi aspettare di ricevere
le parti. L’Altair non ha tastiera, non
ha monitor, ha 256byte di memoria,
non ha memoria di massa, stampan-
te, niente di niente. L’Altair si pro-
gramma dal pannello grazie ad una
serie di interruttori e la risposta della
macchina si può dedurre dal lam-
peggio delle lucette del pannello me-
desimo, eppure gli ordinativi arri-
vano a migliaia. Nel gennaio del
1975 Bill Gates cammina nel cam-
pus di Harvard leggendo Popular
Electronics e un solo pensiero gli gi-
ra per la testa: “rischiamo di arrivare
tardi”. La visione di Gates e Allen
è:”un computer su ogni scrivania
con dentro software scritto e ven-
duto da Micro-Soft”. Dopo poco
tempo Allen lascia il suo lavoro alla
Honeywell per andare ad Albuquer-
que a implemantare il BASIC sul-
l’Altair. Gates resiste ancora qualche
giorno ad Harvard prima di man-
dare all’aria la sua istruzione ed en-
trare nella storia. Nel Nuovo Mes-
sico Gates e Allen trovano un
ambiente completamente caotico
dove c’è bisogno di tutto: l’Altair
non ha software, non ha controller
per le periferiche e ovviamente nem-
meno le periferiche. La hacker ethic
sta per scontrarsi con il business na-
scente del personal computer: con-
dividere le informazioni vuol dire
copiare liberamente il software scrit-
to da altri? C’è differenza tra pren-
dere in esame un software per mi-
gliorarlo e rimetterlo a disposizione
di tutti e fare copie pirata del Basic
di Micro-Soft? Bill Gates pensa che
ci sia differenza. Nel 1976 Gates
scrive una lettera aperta agli hob-
bysti di tutta l’america; il concetto
è chiaro: per scrivere il Basic ci sono
volute ore e ore di lavoro e diverse
persone sono state pagate per questo
lavoro, cosa vi fa pensare che pos-
siate non pagare nulla per possedere
e usare una copia del programma?
Il 1977 è il momento, a soli due an-
ni dall’uscita dell’Altair, in cui il mo-
vimento hobbystico raggiunge il suo
apogeo e viene subito spazzato via
dai “big boys”. Paradossalmente
Peddle e Wozniak che contrattano
un microchip per 25$ e Gates con
la sua letterina stizzita sono i nuovi
“big boys”: in loro non c’è nessuna
forma di ideologia o di etica hacker,
non ricordano nulla degli anni ’60,
ma stanno guardando direttamente
verso gli anni ’80.
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 24 AGOSTO 2012
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