II
ESTERI
II
Le Speed Sisters palestinesi:
quando la velocità rende liberi
di
MICHELE DI LOLLO
uoi rincorrere la libertà anche a
trecento chilometri orari. Le re-
gole sono quelle del circuito, poche,
semplici e inderogabili. Il rischio è
sempre dietro l’angolo, ma in West
Bank si muore per molto meno.
Questa è la sfida di un pugno di
donne cresciute sulle strade di Ra-
mallah. Sono sei in tutto, hanno
poco più di vent’anni. Corrono in
Formula Tre alla ricerca di una to-
tale emancipazione e i fan le hanno
già soprannominate Speed Sisters:
presto il loro mondo diventerà un
documentario. In Medio Oriente
non è facile fare la pilota. Religione
e mezzi a disposizione rendono la
vita particolarmente complicata.
Nasci donna e a mala pena ti per-
mettono di prendere la patente, fi-
guriamoci diventare un asso della
Formula Uno. «Per fortuna esisto-
no i motori. Quando salgo in auto
è un’altra cosa», dice Maysun Ja-
yyusi una delle ragazze. «Ho cer-
cato di tenere nascosto le gare ai
miei fin quando ho potuto e l’han-
no scoperto solo da un articolo
uscito su un giornale locale».
Fare il pilota è un modo per
sfuggire al disagio e ai muri della
politica. Lottano contro tutto. Con-
tro le famiglie che temono la scelta
delle loro figlie, contro la cultura
araba e le discriminazioni dell’islam.
C’è chi ha deciso di mettere il casco
P
per lasciarsi indietro anni di copri-
fuoco. È una buona scusa per non
indossare il velo e divertirsi. ll loro
amore per le corse è cresciuto un po’
alla volta, ogni ora passata in coda
prima di un checkpoint. Non ama-
no i posti di blocco, i semafori rossi
e le continue perquisizioni.
«Quando il soldato in servizio ti
consente di passare, premi sull’ac-
celeratore ed è come se volassi». Ja-
yyusi ha preso lezioni di guida dopo
aver terminato gli studi di Economia
alla Bir Zeit University. Dopo l’uni-
versità ha continuato a sostenere
con mille sforzi la sua passione fino
al 2010, quando è stata contattata
dal capo del Motor Sport palestinese
e della Federazione Motociclistica,
Khaled Qaddoura. Jayyusi ha par-
tecipato ad un corso per piloti pro-
fessionisti, insieme ad altre ragazze.
Poi sono nate le Speed Sisters. Mona
Ennab, 26 anni, ha iniziato a guida-
re prima che avesse l’età giusta per
farlo. Non poteva prendere nemme-
no lezioni: «rubavo la macchina di
mia sorella e me ne andavo in giro
senza patente». Un altro membro
del team è Betty Saadeh. Guida una
Peugeot. Di corse ne sa qualcosa,
c’è nata dentro e i pneumatici stri-
dono sulle combinazioni del suo
dna. Il padre è stato pilota in Mes-
sico e ha vinto qualche rally. Ha vis-
suto negli States, prima di trasferirsi
in Cisgiordania. Per lei le corse sono
corse e la politica non le interessa.
Va in pista per il gusto di vincere e
a differenza del resto del gruppo
non parla di diritti o di parità dei
sessi. I governi, gli stati sono un di
più, quasi un disturbo. «La pressio-
ne israeliana non ci permette di al-
lenarci come vorremmo. Una volta
utilizzavamo la pista del carcere mi-
litare di Ofer, ma a seguito degli
scontri tra forze israeliane e dimo-
stranti palestinesi è diventata inu-
tilizzabile. I detriti e i blocchi mili-
tari dispersi in un territorio diviso
in tre aree amministrative, rendono
impossibile le competizioni».
Le Speed Sisters inseguono la ve-
locità massima. Durante un viaggio
a Silverstone, il mese scorso, Saadeh
ha dichiarato alla stampa: «Il nostro
sogno è quello di correre qui da pro-
fessioniste». Se vogliono fermarle
devono prima raggiungerle.
Assange, niente estradizione negli Stati Uniti
K
Julian Assange, cittadino australiano, non sarà estradato
negli Usa, in caso di rischio di condanna a morte. L’assicurazione
è stata data dal governo svedese a quello australiano.
ome nel 1898 di Bava Beccaris,
come nel Germinal di Zola,
epos dei minatori in sciopero, scrit-
to 13 anni prima dei moti milanesi.
Presso le miniere della britannica
Lomnin, in pochi minuti la polizia
sudafricana ha steso a fucilate più
di cento dimostranti (34 morti e 78
feriti, oltre ai quasi trecento in ar-
resto) con una potenza di fuoco ben
superiore ai cannoni ed alle armi
del generale sabaudo che ci mise
due giorni per ucciderne 80 e ferir-
ne 450. Si rivivono i moti e gli scio-
peri sedati con le armi di due secoli
fa. Lavoratori colpiti alla schiena
mentre fuggono, come nel ’60 per
i 72 morti di Shaperville, uccisi dalle
autorità inglesi un anno prima del-
l’indipendenza sudafricana. A Ma-
rikana, 80 km dalla capitale Preto-
ria, dove si estrae platino per il terzo
produttore mondiale, sono morti
molti miti. Muore quello del Suda-
frica felix di Mandela che ha dato
il nome a tanti luoghi ottimi e pro-
gressivi in Occidente a partire dal
C
Forum di Firenze. Muore il senso
dell’lo e le sue prediche sul decent
work. Muore l’immagine del sinda-
calismo mondiale ed europeo che
non è riuscito a spiccicare una pa-
rola sull’accaduto. Soprattutto muo-
re la retorica dell’antirazzismo e del-
le vuvuzuela, solo due anni fa
profuse a piene mani durante i
mondiali di calcio, quando un’in-
credibile massa di giornalisti spor-
tivi elogiava allo spasimo le imma-
gini di un paese tetro, triste tra
turbe di bimbi da bidonville nella
desolazione circostante. Guardava-
no e raccontavano il contrario di
quanto mostravano ad una platea
televisiva ubriacata dalla demagogia
diffusa a piene mani. Certo, siamo
in Africa, dove per esempio un
Gheddafi qualunque garantiva 4mi-
la dollari mensili ai libici, sulla base
delle materie prime. Ricco dei mi-
nerali della terra, come il Sudafrica,
però ce ne sono pochi: prima riser-
va mondiale d’oro (35%), platino
(55,7%), manganese (80%), cromo
(68,3%), titanio (21%), silicati di
alluminio (37,4%) e vanadio
(44,5%), preponderante di diaman-
ti grezzi, 60 varianti per un valore
di $2500 miliardi, sulla carta 50mi-
la annui a testa per sudafricano.
Grazie alle materie prime, come la
Russia o il mondo arabo, Pretoria
è entrata nei paesi emergenti dei
Brics. Fa impressione sentirsi dire
dagli economisti che al paese non
basta la crescita del 2% del 2010 o
3% del 2011 per riequilibrare le
enorme differenze sociali. Fiore al-
l’occhiello del progressismo mon-
diale, il Sudafrica vanta sulla carta
50 comitati aziendali di dialogo sin-
dacale ed avanzate regole sociali,
a partire dalla contrattazione col-
lettiva, esaltate nei convegni di Bru-
xelles. In realtà, se il paese ha da so-
lo un terzo di tutto il reddito
continentale, lo si deve agli unici
autentici ceti medi neri ed indiani
d’Africa ereditati dal passato. Man-
dela, a luglio 94 anni, il successore
Thabo Mbeki, famoso negatore del-
l’Aids, e l’attuale presidente Jacob
Zuma hanno creato uno dei paesi
più violenti al mondo, che vanta 2
milioni di reati l’anno, il top di sie-
ropositivi e malati di aids del globo,
una terra dove i bimbi bianchi po-
veri non vanno a scuola per timore
di stupro e quelli ricchi di tutti i co-
lori vivono in ville elettrificate e di-
fese come fortini. I primi atti dopo
l’eccidio di Marikana sono stati
simbolicamente il divieto per i bian-
chi di diventare aviatori e la con-
danna per l’ultimo degli esponenti
di un gruppo bianco terrorista che
nel 2004 avrebbe pianificato l’omi-
cidio di Mandela. Il richiamo an-
tiapartheid di Soweto non vale pe-
rò; il Sudafrica è peggiorato
passando dalle rivolte per la libertà
a quelle per lo stomaco e la fame.
Nel paese che vanta le massime dif-
ferenze sociali al mondo, una disoc-
cupazione del 30%, l’aumento dei
redditi del 4% è andato a vantaggio
di nuovi oligarchi neri e di una on-
nivora borghesia statale di colore,
nella fuga di mezzo milione di bian-
chi e nello strascinarsi di altri
450mila, troppo poveri per scappa-
re. Mangwashi ‘Riah’ Phiyega, don-
na capo della polizia, mandata da-
vanti alle telecamere a spiegare che
non c’era alternativa al massacro,
mostra un tipico curriculum: già ca-
pocomitato retribuzioni degli im-
piegati, di quello per la ristruttura-
zione delle imprese pubbliche,
dell’autorità portuale, gestione del
traffico e Fondo per l’Infanzia. Co-
me dire: per tutto e di più, meglio
donna e nera. L’interpretazione po-
polare della propaganda antiapar-
theid spinge i neri, esasperati dai
drammi sociali, a nuovi pogrom.
Mentre a giugno metteva $2 miliar-
di nella raccolta dei $456 voluti dal
Fmi per aiutare il mondo in crisi, il
Sudafrica ha visto scatenarsi la cac-
cia a cinesi, bengalesi, somali ed
etiopi i cui negozi a Botshabelo,
Thaba ‘Nchu ed altre località sono
stati incendiati. I bianchi poverissi-
mi dispongono di 1200 rand mese,
80 euro, quelli poveri, come i mi-
natori neri, di 3000 rands, 400 eu-
ro. Nella crescita del prezzo delle
materie prime e nell’aumento della
disoccupazione che ha abbassato i
salari sta la forbice. In barba alla
negoziazione l’inglese Lomnin mi-
naccia di licenziare tutti i minatori.
Cosa ha da dire a riguardo l’inglese
Guy Ryder, nuovo capo dell’Orga-
nizzazione internazionale del lavoro
dell’Onu già segretario dei sindacati
liberi (Icftu), poi della Confedera-
zione internazionale dei sindacati
(Ituc–Csi), insignito all’ordine del-
l’Impero Britannico? Cosa il sinda-
cato europeo Ces? Niente a quanto
pare. Niente proteste, siamo inglesi.
Viva Mandela, siamo italiani.
GIUSEPPE MELE
Questa è la sfida
di un pugno di donne
cresciute sulle strade
di Ramallah. Sono sei
in tutto e hanno poco
più di vent’anni.
Corrono in Formula
Tre e amano la velocità
Gli oligarchi di colore fanno piangere il Sudafrica
Le forze di polizia
stendono a fucilate
più di cento dimostranti
alle miniere di Lomnin
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 23 AGOSTO 2012
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