onostante le nuove e vec-
chie discese in campo, la
campagna elettorale si svolgerà
sotto la densa cappa di una crisi
economica e finanziaria molto
grave e di cui non si intravede
neppure in lontananza la fine.
Per questo mi aspetto tutta una
serie di surreali ricette per uscire
dal tunnel che, così come sta ac-
cadendo da tempo, possono ser-
vire a prendere voti ma non cer-
tamente a far ripartire
l’economia di un paese sempre
più stremato. Soprattutto a sini-
stra, checchè ne dica l’usato si-
curo Bersani, è assai probabile
che ci si scateni in una raffica di
promesse e di impegni volti ad
introdurre nel sistema ulteriori,
massicce dosi di spesa pubblica,
rincorrendo ogni richiesta di in-
tervento pubblico proveniente da
una società già ampiamente col-
lettivizzata. Una società che, nel
suo complesso, a forza di rincor-
rere in modo strisciante i dogmi
della cosiddetta pianificazione
democratica - ossia un modello
di sviluppo determinato non dal
libero mercato bensì dai progetti
della classe politico-burocratica
-
sta perdendo punti importanti
sul piano della competitività in-
ternazionale. Ma ciononostante,
oltre alla sinistra, una buona
parte dell’attuale offerta politica
propone all’elettorato maggior
intervento e protezione sostan-
zialmente in ogni campo, rinno-
vando la pretesa di una mano
pubblica ipertrofica di occuparsi
della nostra esistenza dalla culla
alla tomba. E sebbene si com-
prenda che proprio in una fase
così acuta della crisi, con i con-
sumi crollati a livelli mai visti,
risulti estremamente impopolare
parlare, anche solo in termini ge-
nerali, di una riduzione delle
N
enormi competenze pubbliche,
con il fine principale di allegge-
rire l’insostenibile pressione fi-
scale, sul piano sostanziale que-
sta è l’unica chance per fermare
l’inesorabile declino dell’Italia.
Un paese il quale, a forza di cul-
larsi nell’idea che il diritto al la-
voro debba sempre declinarsi nel
diritto ad un vitalizio da conce-
dere a richiesta, ha sempre più
perso di vista il vero fondamento
della ricchezza di una nazione,
ossia il lavoro. Lavoro vero e
competitivo che le alchimie di
una classe politico-burocratica,
sempre più corrotta da un ecces-
so evidente di spesa pubblica,
non possono certamente creare
dal nulla. Per questo motivo, co-
me ho già avuto modo di scrive-
re su queste pagine, personal-
mente appoggerò quel soggetto
politico che si impegni realmente
a ridurre in maniera ragionevole
l’attuale perimetro dello stato,
con la prospettiva di restarmene
a casa qualora non riscontrassi
una proposta appena accettabile.
Questa, ahinoi, è da sempre la
triste sorte riservata alla nostra
piccola riserva indiana di liberali.
Staremo a vedere.
CLAUDIO ROMITI
di
SERGIO MENICUCCI
n seicento tra giornalisti, diri-
genti, tecnici, impiegati, registi
si apprestano a lasciare l’azienda
di viale Mazzini. Lo faranno su
base volontaria grazie ad un vec-
chio strumento, lo “scivolo”, uti-
lizzato però non in così larga
scala nella lunga storia della ra-
diotelevisione italiana.
Nelle aule dei Tribunali ci so-
no anche duemila cause da risol-
vere.
È il primo consistente sfolti-
mento operato dalla coppia An-
namaria Tarantola-Luigi Gubi-
tosi a sei mesi dal loro
insediamento con l’avallo del
Consiglio di amministrazione.
L’operazione costerà all’incir-
ca 53 milioni quanti inseriti in
un Fondo speciale per gli incen-
tivi all’esodo del personale. La
Rai presenterà anche nel 2013
conti in rosso.
Una cifra che si aggira sui 36
milioni di euro a fronte dei 200
milioni con i quali si è chiuso il
bilancio del 2012. Non basterà,
però, recuperare sulla pubblicità,
i cui ricavi dovrebbero salire dal
record negativo di 740 milioni al
31
dicembre agli 840 dell’anno
prossimo.
Il quadro economico non bril-
lante necessita di un’ulteriore
sterzata. Verrà con il piano indu-
striale che il direttore generale
sta mettendo a punto e che pre-
senterà al consiglio d’ammini-
strazione e ai dipendenti a metà
gennaio.
A meno che le vicende eletto-
rali (ad un mese circa dalle poli-
tiche e dalle Regionali in Lom-
bardia, Lazio e Molise) non
inducano i vertici di viale Maz-
zini a spostare l’impatto ad una
data meno piena di tensioni e ter-
I
minata la fase della “par condi-
cio” imposta per legge.
Dati economici e politica non
vanno d’accordo soprattutto
quando ci sono tagli da effettua-
re, promozioni da respingere, ap-
palti da non poter più assicurare
alle tante imprese che ruotano
attorno a “Mamma Rai” e al
mondo degli spettacoli, limitando
così contratti di favore per artisti,
conduttrici, consulenti, musicisti
di una preferita area culturale.
Per ora il duo Tarantola-Gu-
bitosi, benedetto da Palazzo Chi-
gi e dal Tesoro, ha stretto le leve
del potere nominando personaggi
(
alla Sipra, al settore commercia-
le, alle relazione esterne, alla Rete
due, alla Rete tre) di fiducia, ha
cambiato il vertice della Rete
Ammiraglia (Mario Orfeo diret-
tore del Tg1 e Giancarlo Leone
capo della Rete) e quando fra
poco Corradino Mineo andrà in
pensione opererà un altro giro di
valzer sulla base degli orienta-
menti che saranno usciti dalla
competizione elettorale.
In meno di venti anni in Rai
si sono succeduti 13 Presidenti,
13
direttori generali, una miriade
di direttori di giornali radio e te-
legiornali, una pletora di vicedi-
rettori, una lunga fila di dirigenti
aziendali.
L’unica cosa di cui non si par-
la è la ristrutturazione organiz-
zativa della Rai, ancora ferma al
sistema tripartito per aree poli-
tico-culturali (mondo cattolico,
ambienti socialisti, ex mondo co-
munista) datato 1978-1987
quando Biagio Agnes per la dc,
Antonio Tatò per il Pci, Enrico
Manca per il Psi, Clemente Ma-
stella inviato di Ciriaco De Mita
decisero che la Rai doveva diven-
tare un’azienda divisa in tre: Ra-
iuno, Raidue, Raitre.
Ad ogni partito la sua sfera
d’influenza anche per le altre fet-
te d’azienda: Radio, Testata per
l’informazione regionale, Sport,
Sipra, Raiway per la rete di col-
legamento. Con tutto quello che
segue e comporta.
Con la pubblicità in forte ca-
lo, il canone quasi fermo a causa
della forte evasione e i costi che
crescono per la Rai non c’è fu-
turo (pur con le iniezioni di Be-
nigni, Sanremo, il digitale del
Tg2) senza un piano industriale
che riveda i punti fondamentali
della permanenza del servizio
pubblico. La convenzione con lo
Stato si avvia alla scadenza.
II
POLITICA
II
Appoggiare un soggetto
politico che si impegni
realmente a ridurre
in maniera ragionevole
l’attuale perimetro
dello stato.Altrimenti
forse sarebbe meglio
restarsene a casa
segue dalla prima
Terzietà istituzionale
(...)
Il governo in carica è un esecutivo che
deve la propria nascita e la propria soprav-
vivenza proprio a quella caratteristica tec-
nica che ne avrebbe dovuto garantire la ter-
zietà rispetto ai partiti della maggioranza e
della stessa opposizione.
Ma se questa caratteristica di fondo, cioè la
terzietà, scompare, ed il governo tecnico di-
venta politico decidendo di collocarsi in fa-
vore di alcune liste e contro altre, perché
mai all’esecutivo dovrebbe essere lasciato il
compito di gestire le prossime elezioni?
Solo per consentire ai vari ministri tecnici
decisi a diventare politici a tempo pieno di
sfruttare a fini elettorali la notorietà, l’au-
torevolezza ed i privilegi che vengono loro
dal ruolo governativo?
Sarà il caso che qualcuno risponda a tali in-
terrogativi. Ed è opportuno che questo qual-
cuno sia il presidente della Repubblica, Gior-
gio Napolitano, che ha “inventato” la
soluzione Monti” e che oggi dovrebbe spie-
gare per quale ragione i cittadini italiani do-
vrebbero avere la sensazione di partecipare
ad una campagna elettorale in cui le istitu-
zioni non sono al di sopra ma una delle parti
in campo.
ARTURO DIACONALE
Abbiamo perso
(...)
La barca del fusionismo italiano si è
schiantata sui contrapposti egoismi e su un
partito, il Pdl, che doveva essere motore
dell’aggregazione ed è diventato acceleratore
della divisione. Nel 2008 ad abbandonare
il centrodestra sono stati Pier Ferdinando
Casini e i centristi. Poi è stata la volta di
Gianfranco Fini. Adesso Giorgia Meloni,
Ignazio La Russa e Guido Crosetto. Al netto
delle alchimie elettorali, delle alleanze pos-
sibili, di quel che la matematica spiega me-
glio della politica, quel che rimane di questi
anni è il senso di una rivoluzione mancata.
Che è stata prima di tutto culturale e poi, a
cascata, politica. Non è questa la sede per
analizzare a fondo le ragioni che hanno por-
tato il centrodestra italiano a questo punto
ma va detto che noi, convinti sostenitori del
percorso opposto, usciamo con le ossa rotte
e le idee confuse. A vincere sono quelli che
continuano a preferire un consenso aggre-
gato attorno a poche persone e a idee-forza
novecentesche piuttosto che prediligere un
processo di elaborazione politica capace di
dare a questo popolo moderato, liberale,
conservatore una rappresentanza degna di
tal nome. Sei anni dopo la consapevolezza
che una Right Nation Italiana esisteva ci ri-
troviamo al punto di partenza: un blocco
berlusconiano raccolto attorno a Palazzo
Grazioli, una destra che si ricaccia nei con-
fini poco lungimiranti di un anti-europeismo
nemmeno paragonabile a quello anglosas-
sone e nel vecchio cliché del complottismo
finanziario, una Lega che massimizzerà la
sua capacità di protesta ed emarginerà i suoi
uomini di governo. Fuori da questa pazza
alleanza ci saranno i liberali montiani, i li-
beristi di giannino, il centro irrilevante di
Casini, Fini e Montezemolo. Lasciando per
un secondo da parte i leader, gli elettori di
questi movimenti in Inghilterra scegliereb-
bero Cameron, negli Stati Uniti il Gop, in
Spagna Rajoy e in Germania la Cdu. Tutti
insieme varrebbero più del 40% e con una
leadership credibile vincerebbero agevol-
mente le prossime elezioni, indipendente-
mente dal sistema elettorale scelto. Il falli-
mento di questa classe politica di
centrodestra sta tutto qui: avevano in mano
una maggioranza strutturale e sono riusciti
a trasformarla in un una minoranza chias-
sosa e impresentabile. Noi che ci avevamo
creduto, abbiamo certamente perso, ma que-
sti presunti leader non ci fanno la figura de-
gli statisti. L’ultimo, adesso, spenga la luce.
Sempre che qualcuno l’avesse mai accesa.
ANDREA MANCIA
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SABATO 22 DICEMBRE 2012
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