l prolungarsi della crisi economi-
ca e le incognite sulla sua durata
inducono economisti e intellettuali
di varia estrazione a proporre e fir-
mare manifesti per la rinascita del
Paese. Notevole attenzione media-
tica ha ricevuto quello, ispirato per-
lopiù a principi liberisti, e firmato,
tra gli altri, da Oscar Giannino,
Carlo Stagnaro, Sandro Brusco e
Luigi Zingales, dal titolo “Cambia-
re la Politica, Fermare il Declino,
Tornare a Crescere”. A questa im-
postazione se ne contrappongono
altre, quale quella fatta propria dai
firmatari dell’appello-denuncia
“Crisi e informazione: il pensiero
unico uccide la democrazia”, che
accusano non solo «la teoria eco-
nomica neoliberale» di essere «con-
causa degli eccessi speculativi e de-
gli squilibri strutturali nella
divisione internazionale del lavoro
e nella distribuzione della ricchezza
sociale» ma anche i mezzi di infor-
mazione e le più alte cariche dello
Stato di presentare quella teoria
non come una opzione tra le tante
ma come verità «auto-evidente» e
quindi percorso obbligato. «Neo-
liberali» e «neokeynesiani», insom-
ma, orgogliosi e battaglieri alzano
le loro bandiere e affilano le lame.
Eppure, a indagare un po’ le loro
proposte, ci sarebbe forse materia
per firmare un armistizio, per deli-
mitare una
no-fly zone
dove non
far sorvolare i propri cacciabom-
bardieri. In “Fermare il declino”,
ad esempio, accanto a medicine co-
me la riduzione della spesa di al-
meno sei punti percentuali del Pil
in cinque anni; la privatizzazione
delle imprese pubbliche e della Rai
e una maggiore flessibilità nel mon-
do del lavoro che non potrebbero,
crediamo, che sortire l’effetto di una
generale chiamata alle armi degli
opposti eserciti, ve ne sono altre,
quali la «riduzione delle imposte
I
sul reddito da lavoro e d’impresa»,
la lotta all’«evasione fiscale desti-
nando il gettito alla riduzione delle
imposte», l’adozione di una «legi-
slazione organica sui conflitti d’in-
teresse», l’estensione a tutti i lavo-
ratori, a prescindere dalla
dimensione dell’impresa in cui la-
voravano, di un sussidio di disoc-
cupazione e l’incremento delle ri-
sorse destinate a scuola, università
e ricerca, che potrebbero trovare
consenzienti i fronti contrapposti.
Certo, il disaccordo sulle misure
per conseguire quegli obiettivi non
autorizzerebbe le parti coinvolte a
fumare il calumet della pace ma
perlomeno momentaneamente a
sotterrare l’ascia di guerra.
LUCATEDESCO
di
LUCA PAUTASSO
vesse regalato un bel saccoc-
cione svolazzante a qualche
barbuto imam della periferia di Mi-
lano sarebbe diventato il nuovo
eroe della falange radical chic ita-
liota, quella che nemmeno sotto
l’ombrellone mette da parte il vec-
chio hobby di insegnare agli altri
come fare beneficenza con i propri
soldi. Invece, lo sprovveduto Gior-
gio Armani ha commesso l’imper-
donabile errore di mettere la sua
opera a servizio del vescovo di Ma-
zara del Vallo, realizzando alcuni
paramenti sacri per la nuova chiesa
di Pantelleria.
Apriti cielo. Su Ripubblica, evi-
dentemente in astinenza da foto del
fondoschiena di Rihanna, e com-
pagnia bella è stato subito un pro-
fluvio di articolesse sprezzanti sul-
l’attaccamento della Chiesa
Cattolica a Mammona, allo sterco
del demonio e alle laute prebende.
Insomma, la solita tiritera di man-
giapreti atei agnostici razionalisti
decaffeinati con più latte e meno
cacao che non esitano un solo istan-
te ad insegnare la teologia alle for-
miche, solo per il gusto di salire in
cattedra.
Perché lo scandalo, signore e si-
gnori, è che Sua Eccellenza avrebbe
espressamente richiesto al noto sti-
lista piacentino di contribuire con
una donazione in favore della dio-
cesi. E lui, facendo per l’appunto lo
stilista, e non l’ingegnere, l’architetto
o il decoratore d’interni, ha confe-
zionato una tonaca e un set di ma-
nutergi vari. Come direbbe James
Hetfield, «so fuckin’ what?».
Un vescovo chiede ad un espo-
nente di spicco di una comunità
una donazione per la chiesa, e que-
sto risponde all’invito dando fondo
gratuitamente alla propria arte e al
proprio talento. Cosa c’è di tanto
A
sbagliato, di tanto scandaloso, di
tanto sordido e deprecabile? Lo
chiedo agli scandalizzatissimi de-
trattori di monsignor Mogavero.
Avesse usato quei soldi (quali, tra
l’altro?) per realizzare una casa di
accoglienza per gli immigrati afri-
cani con i quali in spiaggia tirate
sul prezzo per poter sfoggiare alla
bocciofila un falso Armani con 10
euro anziché con i 30 che vi chiede,
ai vostri occhi sarebbe apparso un
uomo migliore, non è vero? O forse
avreste potuto suggerirgli almeno
altri 100 modi alternativi per sod-
disfare la vostra coscienza con i suoi
soldi, magari adottando una mezza
dozzina di beagle di Green Hill.
Chi può vedere il male in un ge-
sto di generosità, sono i soliti difen-
sori d’ufficio di quel pauperismo
d’accatto della Chiesa, quello che
dal Concilio Vaticano II in poi ha
fatto sì che i luoghi di culto non fos-
sero più gli scrigni della devozione
popolare, testimoniata attraverso
l’arte e il bello, ma orrendi caser-
moni consacrati che farebbero ri-
brezzo persino al gestore di un’au-
torimessa o di un bowling. È vero
che Dio sta in cielo, in terra e in
ogni luogo, ma che qualche mora-
lizzatore a mezzo servizio debba im-
partire urbi et orbi il decalogo della
carità cristiana non sta né in cielo
né in terra.
Fosse stato per questi imbecilli,
convinti di servire meglio Dio spo-
gliandone le case, non avremmo
avuto i gioielli del Rinascimento e
del Barocco, non avremmo avuto
Michelangelo, Caravaggio e Juvar-
ra, e gli unici motivi per visitare
l’Italia sarebbero soltanto qualche
vestigia romana e l’imponente
quantità di belle ragazze che si ra-
duna ogni estate all’Acquafan di
Riccione. Senza nulla togliere al Co-
losseo e alla meglio gioventù, credo
saremmo molto più poveri e insi-
gnificanti.
Perché la Chiesa non deve essere
ricca soltanto per poter fare meglio
l’elemosina come, dove e quando
piace a voi. Rifletteteci bene, la
prossima volta che entrerete in una
chiesa, se non altro per prendere un
po’ di fresco e sfuggire all’insistenza
della zingarella che vi chiede un eu-
ro. Osservate bene i fronzoli dorati,
scolpiti, decorati, cesellati, dipinti o
intagliati che vi troverete dentro. E
forse (ma forse) vi troverete a con-
statare con un certo disappunto che
quei doni degli Armani di ieri (che
magari si chiamavano Orsini, o Co-
lonna, o Della Rovere), ma anche
il sacrificio di centinaia poveri con-
tadini che si levavano il pane di
bocca per un’edicola consacrata alla
Vergine o un crocifisso d’argento
hanno fatto molto di più per l’uma-
nità di quanto non abbiano fatto i
15 euro per la vostra t-shirt di
Emergency.
II
POLITICA
II
K
Mons. MOGAVERO
Tra“Fermare il declino”
e“Il pensiero unico
uccide la democrazia”,
oltre alle differenze
ci sono anche punti
di contatto. È tempo
forse di una tregua
tra fronti contrapposti?
segue dalla prima
O nel governo, o
con la Cosa bianca
(...) come sarà l’autunno, un governo non
più tecnico ma ormai trasformato in un or-
ganismo politico al servizio di un disegno
legittimo ma di parte.
Niente crisi, allora. Ma Monti e Napolitano
pensino per tempo ad un adeguato rimpa-
sto. Che non avrebbe nulla di drammatico
e non presenterebbe alcuna difficoltà. Che
ci vorrebbe, infatti, a sostituire gente venuta
dalle banche e dalla alta burocrazia con al-
tra gente proveniente dalle banche e dalle
direzioni generali dei ministeri? Il Pdl ed
anche il Pd, che compierebbe un errore
marchiano se pensasse di favorire la “cosa
bianca” in vista di una futura alleanza con
i neo-democristiani, non possono rimanere
inerti di fronte ad un eventuale cambio di
natura del governo tecnico. Debbono chie-
dere la conservazione della natura origina-
ria. Possono proporre un rimpasto senza
traumi. Ma se per caso ci fosse una resi-
stenza ad una eventualità del genere e si
dovesse registrare la pretesa dei tecnici con-
vertiti alla politica di continuare a giocare
sporco in campagna elettorale, Pdl e Pd non
dovrebbero avere alcuna esitazione a mi-
nacciare la crisi di governo destinata a sfo-
ciare in un Monti bis contrassegnato da
tecnici privi di particolari velleità politiche.
ARTURO DIACONALE
Fenomenologia
di Nichi Vendola
(...) non lo dice o lo dice a bassa voce o
lo dice con l’ennesima inutile metafora.
E tutti abboccano. Perché tutti a sinistra
hanno bisogno del suo irresponsabile nul-
la.
Se il fascismo è stato una radiografia della
nazione, il vendolismo è una risonanza
magnetica della sinistra italiana. Perché
Vendola è una parte di noi e solo in noi
esiste veramente. È una parte intima della
sinistra post comunista, che in lui riassu-
me ogni irrazionalismo, ogni propria pul-
sione antisistema, ogni residuo sessantot-
tismo, ogni reazione conservatrice alla
modernizzazione, ogni nostalgico tic al-
l’ultima conquista del contemporaneo,
l’eterna rassicurazione di non avere alcun
nemico a sinistra. E così Vendola piace ai
cattolici democratici del Pd, rinominati
cattolici progressisti, perché così affine al
loro cattocomunismo dossettiano.
Riuscissimo a bandirlo dalla nostra cat-
tiva coscienza, riuscissimo a disintegrarlo
dentro di noi, Vendola smetterebbe di esi-
stere pure fuori di noi. Svanirebbe dal no-
stro presente, nelle nostre antiche memo-
rie evaporerebbe. Come un ricordo
stantio, ne resterebbe soltanto un odore
molesto, come di naftalina. Un odore di
chiuso pronto a dileguarsi al primo cam-
bio di stagione.
ANTONIO FUNICIELLO
www.qdrmagazine.it
Meglio un vescovo griffato
che un pauperismo d’accatto
Una“no-fly zone”
con i keynesiani?
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