II
ESTERI
II
I 1942 giorni di Gilad Shalit, cittadino di Roma
di
STEFANO MAGNI
l 18 ottobre è stato celebrato il
primo anno della liberazione di
un cittadino onorario di Roma: Gi-
lad Shalit. La sua storia è il simbolo
del conflitto fra Israele e Gaza. Men-
tre prestava servizio militare, fu fe-
rito e rapito il 25 giugno 2006 a Ke-
rem Shalom, in territorio israeliano,
da miliziani fedeli al partito islamico
palestinese Hamas. Fu rilasciato solo
il 18 ottobre 2011, dopo cinque an-
ni e mezzo di prigionia. Barattato,
dopo un’infinita ed estenuante trat-
tativa segreta, con 1027 prigionieri
palestinesi. Molti dei quali erano in
carcere con l’accusa di terrorismo e
omicidio di massa.
Quella di Gilad Shalit è, tuttora,
una delle più lunghe detenzioni il-
legali della storia contemporanea.
La Croce Rossa Internazionale non
ebbe mai modo di recar visita al pri-
gioniero. Non fu mai rilasciata al-
cuna informazione certa sul suo sta-
to di salute, né sulla sua esistenza in
vita, al di là di un messaggio audio
nel 2007. Solo per quella volta, il
padre, Noam Shalit, riuscì a fargli
avere un nuovo paio di occhiali,
avendo saputo che i precedenti si
erano rotti durante il rapimento. Per
due anni: ancora buio. Solo nel
2009
spuntò un nuovo video. Poi
più niente per altri due anni. L’uma-
nitaria Freedom Flotilla non accettò
di giocare il ruolo di mediatore sul
prigioniero, in cambio della conse-
gna di aiuti a Gaza. Almeno negli
ultimi tempi di cattività, in molti
pensavano che il caporale prigionie-
ro fosse ormai morto.
Le storie dei precedenti non fa-
cevano ben sperare. Si diceva che
potesse fare la stessa fine di Eldad
Regev e Ehud Goldwasser, rapiti in
quegli stessi giorni da Hezbollah (il
12
luglio 2006) e restituiti a Israele
nelle loro bare, ma sempre in cam-
bio di 199 prigionieri palestinesi e
libanesi, fra cui il terrorista e infan-
ticida Samir Kuntar. O che potesse
sparire per decenni, come il pilota
Ron Arad, catturato in Libano nel
1986,
dopo esser precipitato con il
suo aereo. Di lui, tuttora, non si sa
più nulla. E le voci che circolano, se
confermate, rivelerebbero una realtà
peggiore della morte: potrebbe tut-
tora essere prigioniero in Iran, reso
paraplegico da una sadica operazio-
ne alla spina dorsale, come raccon-
tarono, nel 2005, tre iraniani tran-
sfughi. Un solo video, diffuso nel
2006 (
venti anni dopo la cattura)
da Hezbollah, rivelerebbe la sua esi-
stenza in vita. Almeno fino a 6 anni
fa. Lo ritraeva come un uomo sof-
ferente, con la barba lunga, presso-
ché irriconoscibile rispetto al ragaz-
zo sorridente e atletico delle sue
ultime foto da uomo libero. È an-
cora incerto se quel video ritraesse
proprio lui, o un uomo che gli so-
migliava e parlava correttamente
ebraico. Da sei anni non se ne sa più
nulla. Una speranza per una libera-
zione è ormai minima.
La storia di Gilad Shalit ha un
raro lieto fine. È vero: non ci fu al-
cuna liberazione eroica, ma uno
scambio di prigionieri. E l’Israeli De-
fense Force, con la sua lunga tradi-
zione di raid rocamboleschi (basti
pensare alla liberazione di 100
ostaggi a Entebbe, in Uganda, nel
1976),
se lo rimprovera ancora. Un
primo tentativo, l’Operazione “Piog-
ge Estive”, venne compiuto il 28
I
giugno, due giorni dopo il rapimen-
to. In un’azione unica nel suo gene-
re, migliaia di uomini vennero mo-
bilitati per la liberazione di un
singolo compagno d’armi. Allora,
però, l’intelligence israeliana non di-
mostrò di avere informazioni certe
su dove fosse detenuto. La sorte non
venne tentata una seconda volta, per
paura che gli aguzzini potessero am-
mazzare il loro ostaggio. Anche qui
c’era un precedente drammatico, da
cui trarre lezione: nel 1994, un altro
militare israeliano, Nachson Wa-
chsman, venne ucciso durante il blitz
dell’Idf, sei giorni dopo il suo rapi-
mento da parte di terroristi palesti-
nesi.
Dopo anni di trattativa, l’annun-
cio della liberazione del caporale
Shalit arrivò solo il 12 ottobre 2011.
Fu rilasciato il 18 ottobre, grazie alla
mediazione dell’Egitto.
Da quando Gilad è tornato in li-
bertà, ha ottenuto una promozione
di grado militare, la cittadinanza
onoraria di Parigi e quella, appunto,
di Roma, entrambe conferitegli sim-
bolicamente quando era ancora nel-
le mani dei rapitori di Hamas. Si è
sempre tenuto lontano dai riflettori,
benché stia cercando di ritrovare gli
anni perduti con la sua passione per
lo sport. Scrive commenti sportivi
sul quotidiano Yediot Aharonot e il
7
ottobre scorso è andato a Barcel-
lona ad assistere alla partita fra il
“
Barça” e il Real Madrid. I suoi cin-
que anni e mezzo di prigionia sono
ancora un enorme buco nero. Solo
la scorsa settimana, l’ex caporale
(
ora sergente) ha accettato di par-
larne con una televisione israeliana,
il Canale 10. Come ha fatto a so-
pravvivere, mentalmente e fisica-
mente, a 1942 giorni di prigionia?
Shalit dichiara di aver scritto e gio-
cato. Scritto liste che gli ricordassero
il mondo esterno: liste di giocatori,
di squadre, di persone che ricordava.
Spesso doveva nascondere quel che
segnava, perché gli uomini di Ha-
mas temevano che stesse raccoglien-
do informazioni di intelligence.
Chiuso nel suo appartamento, non
poteva avere contatti col mondo di
fuori, se non attraverso i rumori del-
le vie di Gaza. Spesso abbastanza
forti da svegliarlo nel cuore della
notte. E poi i giochi: «Durante il
giorno, volevo fare tutti i tipi di gio-
chi. Scacchi, domino e qualsiasi cosa
potessi fare da solo, strani giochi.
Facevo una palla con tutto quel che
capitava, calzini, una maglietta e
tentavo di far canestro nel cestino
della spazzatura. Potevo inventarmi
qualsiasi cosa». Non emerge un
quadro agghiacciante. Pensiamo, pe-
rò, a quali siano le esperienze di vita
di un ragazzo sano e libero, dai 20
ai 25 anni. A un periodo di studi,
viaggi, amici, amori e l’inizio di una
carriera lavorativa. Tutto questo è
stato negato a Gilad Shalit.
Quel che è ancora peggiore: i
suoi rapitori non mostrano un mi-
nimo di pentimento. Tuttora sfrut-
tano Gilad per la loro propaganda
di odio contro Israele. Hamas ha sa-
puto che Shalit sarebbe andato alla
partita del Barcellona e ha vietato
ai cittadini di Gaza di assistere al-
l’evento sportivo. Ha saputo che
Shalit avrebbe rilasciato un’intervista
e ha risposto pubblicando un propri
video di propaganda sul rapimento
e la detenzione del caporale israe-
liano. Per i rapitori era solo una pe-
dina di scambio.
Rapito da Hamas il 25
giugno 2006, rilasciato
solo il 18 ottobre 2011,
il militare israeliano,
cittadino onorario
della capitale italiana
ha iniziato solo
da questa settimana
a raccontare
i dettagli della sua
lunghissima prigionia.
Non emerge un quadro
agghiacciante.
Anzi, pare sia stato
trattato bene dai suoi
carcerieri.Ma i migliori
anni della sua vita sono
volati via, in un piccolo
appartamento di Gaza,
dove l’unico contatto
con il mondo esterno
erano i rumori
della strada. Hamas
non dimostra alcun
pentimento.Anzi,
il boicottaggio
della partita
Real Madrid-Barcellona,
decretato dal partito
islamico solo perché
il suo ex prigioniero
era allo stadio, dimostra
che l’odio è ancora vivo.
E che Shalit è ancora
uno strumento
della propaganda
islamica
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 21 OTTOBRE 2012
3