II
POLITICA
II
Lavoro.Ci dovevano pensare loro.Avevano detto
di
BARBARA DI SALVO
l precedente governo, quando è
arrivata la tempesta perfetta, si
era impegnato nei confronti delle
istituzione europee a riformare il
mercato del lavoro, garantendo una
maggiore flessibilità in entrata ed in
uscita per favorire gli investimenti
sia italiani che stranieri e di conse-
guenza la crescita, in un paese in-
gessato da decenni da una norma-
tiva, un sindacato ed una
magistratura perennemente sulle
barricate. L’impegno formale era
una risposta alla famosa lettera del-
la Bce che aveva sottolineato di at-
tendere speranzosa la riforma delle
riforme per ridare credito all’Italia.
Sono arrivati loro ed hanno detto
“ci pensiamo noi, solo noi siamo in
grado di farlo, perché siamo bravi,
perché siamo tecnici e non ci fare-
mo intimidire e bloccare da veti po-
litici e sindacali, noi rispondiamo
solo a noi stessi”.
Il tutto è stato affidato alla esi-
mia professoressa Fornero, fino a
quel momento docente di economia
e specializzata in previdenza, la qua-
le prima si è dilettata nella riforma
delle pensioni, che in teoria avrebbe
dovuto essere la sua materia. Visto
il disastro combinato sugli esodati,
sorge il dubbio che le famose lacri-
me fossero per la consapevolezza
appena acquisita che un conto è
pontificare da una cattedra, un altro
è tentare di metterlo in pratica, ma
tant’è. Non contenta, si è dopo but-
tata sulla promessa e tanto attesa
riforma del lavoro, a quanto pare
non proprio la sua specializzazione,
che dopo mesi di trattative, fughe
indietro ed in avanti, colpi al cer-
chio, alla botte ed alla moglie ubria-
ca, ha visto la luce creando la notte.
L’estenuante trattativa, peraltro, con
fughe di notizie impazzite e contrad-
dittorie, ha creato il panico negli im-
prenditori che hanno limitato le as-
sunzioni ed aumentato le cessazioni
dei rapporti, soprattutto a termine,
proprio perché non avevano idea di
I
cosa li avrebbe aspettati. D’altronde
lei che insegna economia non si de-
ve essere troppo preoccupata del
fatto che l’incertezza della norma-
tiva per un’azienda è persino peggio
della pessima normativa che ha par-
torito. Così, nel secondo trimestre
2012, quello di attesa della riforma
sfornata a fine giugno, abbiamo le
prime avvisaglie di cosa si prospetta
(fonte: ministero del Lavoro):
Risultato 1:
impennata delle ces-
sazioni dei contratti a termine
(+3,5% cessazioni dei contratti a
tempo determinato e + 4% dei con-
tratti di collaborazione). E per an-
dare oltre le percentuali che spesso
sono riduttive, l’analisi dei numeri
reali è ancora più impietosa perché,
a differenza di quanto si crede, i
contratti a termine sono la netta
maggioranza rispetto a quelli a tem-
po indeterminato, tant’è che il man-
cato rinnovo riguarda circa
2.000.000 di persone che hanno
perso il lavoro su circa 2.500.000
di cessazioni totali. Non quisquilie.
Risultato 2:
nel dubbio le impre-
se hanno ridotto le assunzioni sia a
tempo indeterminato (-4%) sia de-
terminato (-0,9%), sia le collabora-
zioni (-4,4%), sia per apprendistato
(-13,1%), con un calo complessivo
del 2,1%. Di nuovo, al di là delle
percentuali, i contratti attivati in
meno rispetto allo stesso periodo
del 2011 sono oltre 60.000, di cui
oltre 40.000 riguardano i contratti
alternativi al tempo indeterminato.
Non quisquilie. Una volta partorita
la riforma, basta un minimo di sen-
so pratico per capire che i numeri
non possono che peggiorare. Mal-
grado il pomposo titolo “Disposi-
zioni in materia di riforma del mer-
cato del lavoro in una prospettiva
di crescita”, tutto fa presumere che
contribuisca piuttosto alla decresci-
ta. Gli investitori italiani e stranieri
chiedevano maggiore flessibilità in
uscita, ma soprattutto più certezza
e rapidità nella disciplina dei licen-
ziamenti. La modifica dell’art. 18
scontenta tutti, ma proprio tutti, se
non i magistrati a cui di fatto è stata
data ancora maggiore discreziona-
lità nel decidere chi lavora e chi no,
ma soprattutto come deve essere ge-
stita un’azienda, entrando a gamba
tesa nel merito delle scelte econo-
miche degli imprenditori. Come se
non bastasse, anziché rendere più
snello il processo di impugnazione,
si è aggiunto di fatto un quarto gra-
do di giudizio, che non piace a nes-
suno e nessuno comprende bene co-
me usarlo.
Risultato 1:
la prima sentenza
emessa post-riforma, ne ha fatto
carne da macello e ha continuato a
reintegrare come se nulla fosse.
Risultato 2:
le linee guida che si
sono dati i vari tribunali sulle mo-
dalità applicative del nuovo proces-
so, variano da sede a sede, aggiun-
gendo caos ad incertezza.
Non che le cose vadano meglio
sul fronte della flessibilità in entrata.
Anzi. Di nuovo, basta un po’ di sen-
so pratico per capire che, se un con-
tratto a tempo indeterminato con-
tinua a rimanere più vincolante di
un matrimonio religioso, se il pe-
riodo di prova è limitato a pochi in-
sufficienti mesi, è prevedibile e nor-
male che gli imprenditori, che non
hanno certezze sul proprio futuro e
temono di legarsi mani e piedi a chi
non è in grado di svolgere il lavoro
richiesto, adottino forme alternative
di lavoro, a termine o a collabora-
zione che sia, soprattutto quando
l’apprendistato è limitato a giovani
senza esperienza. Sia mai, però, che
si comprendano le ragioni delle im-
prese in un Paese come l’Italia e così
vai di lacci e lacciuoli per impedire
in ogni modo di utilizzare questi
contratti alternativi che, checché se
ne dica, grazie alla legge Biagi ave-
vano finalmente trovato una disci-
plina e dato modo di accrescere no-
tevolmente l’occupazione. Perché
tanto è inutile pretendere di ingerirsi
nelle scelte di un imprenditore, ob-
bligandolo ad assumere, perché gli
resterà sempre la scelta fondamen-
tale di chiudere l’azienda o trasfe-
rirla in un Paese meno imbrigliato,
facendo allontanare proprio quegli
investimenti e quella crescita che si
dovevano invece attirare. E invece
loro che sono tecnici hanno pensato
bene di limitare in ogni modo la
flessibilità in entrata, restringendo
le ipotesi in cui si possono utilizzare,
aumentando la contribuzione per i
contratti alternativi ed imponendo
per di più termini molto lunghi
(60/90 giorni) tra un contratto a ter-
mine e l’altro con la stessa persona.
Risultato prevedibile 1:
i mag-
giori contributi si tradurranno in
stipendi netti inferiori per i lavora-
tori.
Risultato prevedibile 2:
logica
dell’Aua (avanti un altro) per cui,
non potendo rinnovare il contratto
al lavoratore a termine, già formato
e magari pure bravo e volenteroso,
se ne assume un altro e poi un altro
e poi un altro. E non è una conse-
guenza da poco visto che anche solo
i contratti che andranno in scadenza
a fine anno sono circa 400.000
(fonte Data Giovani).
Risultato accertato 1:
il tasso di
disoccupazione è salito nel III tri-
mestre 2012 al 10,6% dall’8,5% di
un anno fa.
Risultato accertato 2:
il tasso di
disoccupazione dei giovani, i più in-
teressati dai contratti a termine, è
passato al 35% dal 30% di un an-
no fa (fonte Istat).
Un anno fa, quando sono arri-
vati loro, che sono bravi, che sono
tecnici.
Dopo la mezza riforma
delle pensioni, il ministro
Fornero si è buttato
sulla tanto promessa
e tanto attesa riforma
del lavoro, che a quanto
pare non era proprio
la sua specializzazione
K
Elsa FORNERO
La modifica dell’art. 18
scontenta proprio tutti,
con l’eccezione
dei magistrati a cui
di fatto è stata data
maggiore discrezionalità
nel decidere chi lavora
e chi non lavora
segue dalla prima
Il paracadute
(...) alle partite politiche in cui fino ad ora fi-
gurava nelle vesti improprie di arbitro. A gua-
dagnarci non c’è solo la chiarezza dei ruoli
e dei comportamenti ma è, in primo luogo,
il sistema democratico fondato sul confronto
delle idee realizzato su basi paritarie tra i cit-
tadini. Questi ultimi ora possono valutare
senza condizionamenti di sorta le idee di In-
groia. Ed approvarle o respingerle senza l’in-
giusta speranza di ottenere la patente della
virtù nel primo caso o di finire nell’inferno
dei reprobi nel secondo. Semmai, visto che
è molto di moda in questi tempi l’idea che a
candidarsi possano essere solo le persone per-
bene, non sarebbe male incominciare a ri-
flettere sulla opportunità di aggiungere alle
liste pulite anche le liste dei non privilegiati.
Cioè di quelli che per essere eguali agli altri
cittadini bilancino lo sfruttamento elettorale
della propria notorietà di magistrati rinun-
ciando all’aspettativa e rassegnando le di-
missioni dall’ordine giudiziario all’atto della
discesa in campo in politica. Troppo comodo
puntare al professionismo politico con il pa-
racadute offerto dalla possibilità di rientrare
a pieno titolo e stipendio nella magistratura
in caso di bocciatura popolare!
ARTURO DIACONALE
Le vere primarie
(...) in attesa, appunto della discesa in campo,
il “capo” del suo partito sarebbe Alfano (cosa
che potrebbe contestarsi solo osservando che
Angelino non può essere diventato capo, se-
gretario, amministratore delegato o curatore
fallimentare di un partito che non c’è), Ber-
lusconi si lascia andare a dichiarazioni da
“padrone del vapore”. Ha annunziato, ad
esempio, parlando di Dell’Utri: «Quello non
lo candido». Magari perché una volta aveva
messo su i “circoli”, o forse perché la Cas-
sazione ha dichiarato che era imputato di
niente. Ma, intanto, nel vuoto lasciato dalla
dissoluzione del Pdl, va a collocarsi una de-
stra tecnocratica-pasticciona che vuole “can-
didare” Mario Monti, che poi della candi-
datura, benché decisa, si direbbe, con
primarie tenute nei palazzi dell’“Europa ban-
caria”, non ha alcun bisogno, perché oramai
si torna ad un tipo di governo che non ha
bisogno del sostegno delle Camere e tanto
meno di quello degli elettori, ma solo della
fiducia e della “benevolenza” del Sovrano.
Questa è l’unica nota di una “modernità”
che ci fa rimpiangere l’antico, è un Sovrano
più “straniero” che “europeo”, più banca-
rio-borsistico che istituzionale. Con le “pri-
marie” espediente propagandistico inventato
dalla coalizione di Prodi, abbiamo cominciato
a fare delle elezioni un giuoco inconcludente.
Con le indicazioni “Berlusconi presidente”,
“Veltroni presidente”, “Casini presidente”
abbiamo scardinato l’equilibrio tra i poteri,
e liquidato il “governo parlamentare”, senza
creare un governo presidenziale. Ora le pri-
marie si fanno a Bruxelles. Ma restano un
giuoco. Non è certo il Partito popolare eu-
ropeo (a cui Berlusconi sacrificò quel tanto
di liberalismo che c’era nella prima edizione
di Forza Italia) che candida Monti o chiun-
que altro. Chiunque sia, ce lo impone pura-
mente e semplicemente la macchina di potere
europea. Che così impone pure a noi, se vo-
gliamo ancora credere in istituzioni libere e
democratiche, di essere, in qualche modo,
antieuropeisti. E questo è forse il peggio in
questo inverecondo pasticcio. Intanto ai nuo-
vi padroni della politica italiana la questione
giustizia interessa meno delle vicende socie-
tarie di una fabbrica di lucido di scarpe di
periferia.
Il Partito dei magistrati trova con i tecnocrati
e gli “antipolitici” consonanze allarmanti. Di
riforme della giustizia si parla sempre di me-
no. Dello strapotere dei magistrati meno an-
cora, se possibile. Pare che sia argomento che
farebbe aumentare lo spread.
MAURO MELLINI
K
Mario MONTI
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L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 19 DICEMBRE 2012
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