II
ESTERI
II
La“moderatrice”tifaObama
Siamo in pienoMedia Evo
di
STEFANO MAGNI
ome fai a vincere una partita,
se l’arbitro stesso, non solo ti
annulla i gol, ma alla fine si mette
a giocare con l’altra squadra? La
metafora calcistica, che ogni italiano
capisce, fa toccare con mano come
si sia svolto il secondo dibattito pre-
sidenziale fra Barack Obama e Mitt
Romney alla Hosftra University
(
stato di New York). La moderatri-
ce Candy Crowley, della Cnn, si è
impropriamente rivolta al candidato
repubblicano con un anonimo “Mr.
Romney” (il regolamento prescrive
di chiamare “governatore” un ex
governatore), si è messa a riformu-
lare le domande del pubblico e... ha
dato ragione a Barack Obama, su
una risposta fra le più decisive.
Il sospetto che la giornalista del-
la Cnn fosse di parte c’era sin da
subito. Durante la campagna elet-
torale di Obama del 2008 era an-
data ad assistere alla sua inaugura-
zione, non perché in servizio, ma
da privata cittadina. Quando il pre-
sidente venne accusato di aver fatto
trapelare segreti di Stato (la “kill
list” dei terroristi), lei lo giustificò
così: «Di solito si chiude un occhio
su un presidente che fa filtrare ma-
teriale confidenziale». La “modera-
trice”, nei giorni precedenti il dibat-
tito, già aveva fatto sapere che
avrebbe violato le regole di ingag-
gio: ha anticipato di voler interve-
C
nire con sue domande ai candidati.
Nel regolamento non c’era scritto
che il moderatore non potesse svol-
gere anche il ruolo del fact-checker
(
accertatore dei fatti esposti durante
il dibattito). Lei ha approfittato di
questa lacuna… per fare del puro
fact-checking a favore di Obama.
È andata così: mentre Romney rim-
proverava a Obama l’incapacità di
riconoscere un atto terroristico die-
tro all’uccisione dell’ambasciatore
Christopher Stevens a Bengasi,
Obama giurava di aver parlato su-
bito di terrorismo. La Crowley è in-
tervenuta a suo favore, conferman-
do che Obama dicesse il vero.
Ma… è vero? Non proprio, stando
alle parole pronunciate, allora, da
Obama. Il 12 settembre, 24 ore do-
po l’uccisione dell’ambasciatore a
Bengasi, il presidente ha pronuncia-
to un discorso in cui, prima di tutto,
chiedeva scusa per l’oltraggio a
Maometto (il pretesto per l’attacco):
«
Sin dalla nostra fondazione, gli
Stati Uniti sono una nazione che ri-
spetta tutte le fedi. Noi respingiamo
ogni denigrazione al credo religioso
altrui». Poi ricordava gli attacchi
dell’11 settembre. E infine ha pro-
nunciava la generica frase: «Nessun
atto terroristico minerà la risolutez-
za di questa grande nazione». Ri-
ferito all’11 settembre, probabil-
mente. È ben diverso dal
riconoscere che l’attacco di Bengasi
fosse un atto terroristico pianificato
in anticipo. Per ben due settimane
l’amministrazione, ha chiaramente
parlato dei fatti di Bengasi come di
“
evento spontaneo”. La Crowley,
però, ricorda diversamente.
Il caso Crowley non va sottova-
lutato. Non si tratta solo di gridare
“
arbitro venduto!” quando il tuo
candidato perde. Si deve piuttosto
aprire una seria riflessione sul ruolo
politico dei media. A parte il mo-
deratore del primo dibattito, Jim
Lehrer, sia Martha Raddatz che
Candy Crowley hanno giocato un
“
ruolo attivo”. La maggioranza de-
gli altri media, le premiano proprio
per i loro interventi a gamba tesa.
È un nuovo modo di fare giornali-
smo? A questo punto no: ci trovia-
mo di fronte a un gruppo politico,
che fa campagna elettorale usando
i media.
Chiese unite contro le Pussy Riot
K
Benedetto XVI e il Consiglio delle Conferenze Episcopali
Europee hanno espresso solidarietà alla Chiesa ortodossa russa
sul caso delle Pussy Riot, detenute per atti dissacranti
Tutti i referendum
dell’Election Day
Una giornalista Cnn,
teoricamente neutrale,
che risponde al posto
del presidente e viola
le regole, viene premiata
dai mass media.
È questo il nuovo modo
di fare giornalismo?
Complottista e anti-sionista
il nuovo inviato Usa all’Osce
entre in Italia ci si impegna
frequentemente a spendere
più soldi (pubblici) possibili, diver-
sificando la data di qualsiasi elezio-
ne locale, o nazionale, negli Stati
Uniti si prova, fin dalla fondazione,
a risparmiare. È anche per questo
che il 6 Novembre, giorno dell’Elec-
tion Day, i cittadini americani sa-
ranno chiamati a esprimersi anche
per una moltitudine di referendum
e proposte di legge locali.
Al contrario di quello che suc-
cede in Italia, negli Usa la demo-
crazia diretta vale anche in materia
fiscale.
In Arizona i riflettori sono pun-
tati sulla “Proposition 204”: man-
tenere o abolire un recente aumen-
to dell’IVA, di un punto
percentuale, al fine di finanziare il
sistema educativo locale?
Comprensibili gli schieramenti.
M
Da un lato i lavoratori della scuola,
e dell’indotto dell’intera industria.
Dall’altro commercianti, aziende e
contribuenti locali non troppo con-
vinti. Tra questi, l’ex amministra-
tore delegato di Intel, Craig Barrett,
il quale ha recentemente dichiarato
che un tipo di finanziamento del
genere, separato da un meccanismo
di premi e incentivi all’efficienza,
non può funzionare. Ma le inizia-
tive di democrazia diretta non si
fermano qui. In California i quesiti
sono ben 11 e si distribuiscono sui
temi più vari, dall’utilizzo di eti-
chette particolari per gli OGM al-
l’introduzione dell’obbligo di lavoro
per i detenuti. Anche i quesiti in
materia di diritti civili e di libertà
hanno occupato un posto di primo
piano. In Maine si consultano gli
elettori per confermare la legge di
autorizzazione ai matrimoni omo-
sessuali. In Massachusetts e in Co-
lorado si vota per legalizzare la ma-
rijuana, e in Montana per vietarla.
Una cosa è certa: nelle demo-
crazie occidentali, l’uso del referen-
dum può essere un vantaggio. Uno
Stato più vicino alle esigenze del
cittadino-contribuente può e do-
vrebbe quindi esistere, ma ad alcu-
ne condizioni: dovrà essere decen-
tralizzato, trasparente, e aperto ai
cambiamenti che la società, prima
ancora che il Parlamento, vuole
portare avanti.
ELISA SERAFINI
Obama mancava solo un con-
sulente islamista per i diritti
umani. Magari da mandare a Var-
savia alla prossima riunione Onu
in materia. Adesso la lacuna è stata
colmata, proprio in piena campa-
gna elettorale, con l’ennesimo au-
togol che ha un nome e un cogno-
me: direttore Salam Al Marayati. È
attualmente il direttore del Muslim
Public Affairs Council. In passato
ha affermato che per gli attentati
alle Torri Gemelle erano da sospet-
tare in primo luogo gli ebrei. L’am-
ministrazione Obama lo ha scelto
per partecipare alla annuale confe-
renza sui diritti umani preparata
dalla Organizzazione per la Sicu-
rezza e la Cooperazione in Europa
(
Osce). Egli ha detto, ai partecipanti
dell’Osce a Varsavia, che «l’incita-
mento all’odio che intende degra-
dare, intimidire, o incitare alla vio-
lenza nei confronti di qualcuno in
base alla sua religione, è veramente
dannoso». Dieci anni fa forse non
ne era ancora così convinto.
Infatti il New York Times, in un
articolo dell’epoca, riportò le sue
incredibili frasi pronunciate a una
radio statunitense poco dopo l’11
settembre: «Al Marayati disse una
volta un conduttore radiofonico,
“
Se dovessimo guardare i sospetti
dietro gli attacchi dell’11-9, si do-
vrebbe guardare ai gruppi che pos-
sono trarre i maggiori benefici da
questo tipo di incidenti, e credo che
A
dovremmo mettere lo Stato di
Israele sulla lista dei sospetti, perché
credo che quanto è successo distol-
ga l’attenzione da ciò che sta acca-
dendo nei territori palestinesi, in
modo che possa andare avanti con
la loro aggressione e occupazione
e con le politiche di apartheid”».
Solo due anni prima di quella
dichiarazione un altro (oggi ex) de-
putato democratico, Dick Ge-
phardt, aveva proposto Al Mara-
yati come membro di una
commissione che si sarebbe dovuta
occupare di “riesaminare le politi-
che degli Stati Uniti contro il terro-
rismo”.
Nel suo curriculum di difensore
dei diritti umani si registra anche
una richiesta da parte del suo Mu-
slim Public Affairs Council (Mpac)
affinché gli Stati Uniti rimovessero
Hamas e Hezbollah dalla lista dei
gruppi terroristici banditi in Ame-
rica.
Inoltre il “Progetto Indagine sul
Terrorismo” ha scoperto che al Ma-
rayati, in passato, ha definito gli at-
tacchi di Hezbollah “legittima re-
sistenza”.
Recentemente risulta alle crona-
che che egli abbia anche criticato
l’arresto di 11 musulmani facino-
rosi che avevano urlato epiteti raz-
zisti contro l’ambasciatore israelia-
no Michael Oren davanti
all’Università della California a Ir-
vine, impedendogli di parlare per
20
minuti prima che la polizia lo
scortasse fuori dall’edificio. Persino
John Block (come riferisce il sito
israeliano Arutz Sheva, che è stato
quello che ha scoperto l’ennesima
trovata di Obama) ex funzionario
dell’amministrazione Clinton che
ora è amministratore delegato del
Progetto Israele, ha stigmatizzato
la scelta di Obama, con le parole
più semplici: «È inspiegabile che
una persona che ha accusato Israele
per gli attacchi dell’11 settembre e
sostenuto la de-criminalizzazione
per le organizzazioni terroristiche,
Hamas e Hezbollah, che hanno uc-
ciso più americani di qualsiasi altro
gruppo terroristico in tutto il mon-
do ad eccezione di al Qaeda, sia
stato scelto per rappresentare gli
Stati Uniti».
DIMITRI BUFFA
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 18 OTTOBRE 2012
5