II
ESTERI
II
Con il senatoreArlen Specter
muoiono i moderati“Rino”
di
STEFANO MAGNI
l senatore statunitense Arlen Spec-
ter, repubblicano, 82 anni, è mor-
to in seguito ad una lunga lotta con-
tro un linfoma. Su questa sua
ultima, drammatica, esperienza, ave-
va scritto anche un libro, “Never Gi-
ve In” (mai arrendersi), perché gli
altri senatori e deputati che lottano
contro il cancro «non si sentano so-
li».
Arlen Specter, prima di lasciare
questo mondo, da tre anni aveva ab-
bandonato il suo Partito Repubbli-
cano dopo una militanza di 44 anni.
Non è stato il primo, né l’ultimo. A
fine febbraio scorso era arrivato
l’annuncio della senatrice Olympia
Snowe: non si sarebbe candidata a
novembre. In entrambi i casi la mo-
tivazione era sempre la stessa: il Par-
tito sta diventando troppo fazioso.
Troppo poco incline a compromessi
e, ideologicamente parlando, troppo
“
conservatore”. Alle loro storie si
aggiungano anche quelle dei “ribel-
li”, perché non votati dalla base. De-
de Scozzafava, nelle elezioni straor-
dinarie locali di NewYork del 2009,
sospese la sua campagna elettorale
e appoggiò il candidato democratico
Bill Owens. O Lisa Murkowski, in
Alaska: bocciata alle primarie trovò
il successo da indipendente nelle ele-
zioni del 2010.
Qual è il problema? Si sta estin-
guendo, da almeno quattro anni,
I
una razza politica chiamata spregia-
tivamente “Rino” (Repubblicano
solo di nome) dai conservatori e
“
Repubblicani Moderati” dai libe-
ral. Erano tutte figure trasversali, a
volte (come nel caso di Arlen Spec-
ter) provenienti dal Partito Demo-
cratico (lo abbandonò nel 1965 per
passare a destra), ma nella maggior
parte dei casi, si trattava di politici
nati e cresciuti all’ombra dell’“ele-
fantino”, ma più inclini a ragionare
in termini progressisti. Repubblica-
no, contrariamente a quel che si
pensa in Italia, non è affatto sinoni-
mo di “conservatore”. Oggi, sul
conservatorismo fiscale, i gay, l’abor-
to e l’ambiente, la base del Grand
Old Party non intende scendere a
compromessi.
Sarebbe un errore, però, credere
che il fenomeno della radicalizza-
zione sia solo una questione della
destra. La sinistra ha iniziato molto
prima, almeno dal 2000, da quando
Al Gore perse contro George W.
Bush in seguito ad un riconteggio
dei voti in Florida. Joseph Lieber-
man abbandonò il Partito dell’asi-
nello dopo aver capito che le sue po-
sizioni di politica estera, a favore
dell’esportazione della democrazia,
fossero ormai incompatibili con una
formazione politica sempre più chiu-
sa nei suoi dogmi pacifisti. Artur
Davis è l’ultimo caso: è passato dalla
parte dei Repubblicani perché i De-
mocratici erano “troppo di sinistra”,
come ha dichiarato alla Convention
di Tampa, lo scorso agosto. I numeri
dimostrano che i loro non sono casi
rari. I “Blue Dogs”, i Democratici
più conservatori in materia fiscale,
erano 54 nel precedente Congresso,
oggi sono solo 26, meno della metà.
Dall’altra parte, il Progressive Cau-
cus (il più massimalista) è attual-
mente forte di 76 membri al Con-
gresso ed è in costante crescita: 20
in più rispetto al 2005.
Non è il partito Repubblicano
ad essere “cattivo” e meno incline
al dialogo: è l’America che si sta po-
larizzando, a destra e a sinistra.
Quella di destra è una reazione alla
radicalizzazione della sinistra. Il
prossimo presidente, chiunque vinca,
avrà a che fare con un Congresso e
con un Paese molto più diviso che
in passato.
Sihanouk, il re che fu ostaggio dei Khmer rossi
K
È morto re Sihanouk a 89 anni. Si trovò in mezzo al conflitto
vietnamita e cercò, invano, di restare neutrale. Fu usato dai Khmer
Rossi per legittimare il loro potere. E da loro fu tenuto in ostaggio
GlobalWarming?
Un falso problema
Il compianto politico
repubblicano aveva
abbandonato il Gop
nel 2009, perché
“
troppo fazioso”.
Ma l’estremizzazione
della politica riguarda
prima di tutto la sinistra
Siria: con balletto diplomatico
proseguono anche le violenze
li ultimi dati sul
Global War-
ming
parlano chiaro: dal
1997
ad oggi la temperatura del-
la terra è stabile. Dall’anno in cui
si inziarono a registrare le varia-
zioni della temperatura terrestre,
notiamo aumenti per appena
0,75
gradi centigradi. L’ultimo in-
nalzamento registrato risale al
1996,
anno in cui si concluse
l’andamento crescente iniziato nel
1980.
Tremila centri di rilevazio-
ne dispersi sulla superfice della
Terra dimostrano che nulla da 16
anni è cambiato. Una buona no-
tizia che però, come spesso acca-
de, viene insabbiata e lasciata
morire nell’angolo oscuro dell’in-
formazione mondiale. Due squa-
dre, due scuole di pensiero, due
credi differenti. Fiducia nel natu-
rale autoregolarsi dell’atmosfera
o fan dell’allarmismo compulsivo
G
da anidride carbonica. La comu-
nità scientifica è spaccata. Phil
Jones, direttore della
Climatic Re-
search Unit
presso l’università
dell’East Anglia afferma che «il
periodo preso in considerazione
è da considerarsi troppo breve
per poter trarre conclusioni cer-
te». Risponde a questa conside-
razione Judith Curry della Geor-
gia Tech University: «I modelli
informatici utilizzati per preve-
dere il riscaldamento globale so-
no profondamente sbagliati». Ad
una rapida occhiata, i grafici e le
tabelle pubblicati su diversi por-
tali online che approfondiscono
la materia, risultano lampanti. La
tensione è in calo e il pianeta non
rischia il collasso: l’allarmismo e
la preoccupazione di fatto non
hanno motivo di esistere. Se dal
periodo che va dagli anni ottanta
alla metà dei novanta, come det-
to, questo tipo di ragionamento
poteva essere quanto meno sup-
portato da dati reali, oggi i nuovi
numeri raccolti ci dicono che so-
stanzialmente il problema non
c’è. Anche se troppo spesso i fari
dei media restano puntati sulla
quesitone. Andando a considerare
un arco di tempo ancora più am-
pio ci rendiamo conto che l’intera
teoria del riscaldamento globale
è, per così dire, a “rischio estin-
zione”.
MICHELE DI LOLLO
i risiamo. Così come è stato
per molto tempo, prima del-
l’intervento militare, in Libia, an-
che per la crisi siriana, oramai da
mesi, il balletto inconcludente del-
le diplomazie mondiali appare
sempre più somigliante al celeber-
rimo (quanto storicamente fasul-
lo) ordine della marina borbonica,
Facite ammunina
.
Dichiarazioni,
prese di posizione, accuse, denun-
ce di massacri, misure di embar-
ghi o restrizioni commerciali, più
annunciate che perseguite, rendo-
no l’attuale situazione in quel-
l’area, se non fosse sul campo
drammaticamente disastrosa, as-
solutamente ridicola.
L’immobilismo americano pre-
elezioni presidenziali, lo scacco
pressochè continuo e costante sot-
to cui la Russia tiene quasi l’inte-
ro continente europeo, con le sue
riserve energetiche e la generale
disastrosa situazione economica
che attanaglia e preoccupa i go-
verni del vecchi continente, tutto
questo impedisce per ora che la
crisi siriana si possa ragionevol-
mente risolvere in tempi brevi,
non solo dal punto di vista mili-
tare, anche da quello politico.
L’intrecciarsi ed il sovrapporsi del-
le dichiarazioni e delle prese di
posizione diplomatiche non fa in-
travedere infatti alcuna direzione
comune e condivisa.
Il ministro degli Esteri russo,
C
Serghei Lavrov, per esempio, ha
smentito le informazioni diffuse
dall’ong statunitense
Human
Rights Watch
,
secondo la quale il
regime di Damasco utilizzerebbe
contro i ribelli bombe a grappolo
di fabbricazione russa. Stando a
un rapporto di Hrw, diffuso ieri,
l’aviazione siriana avrebbe infatti
già sganciato cluster bomb di ori-
gine sovietica sulle città di Tama-
nea, Taftanaz e al-Tah.
«
Non vi è conferma di que-
sto», ha replicato Lavrov da Lus-
semburgo, dove ieri sera ha par-
tecipato a una cena di lavoro
sulla crisi siriana con i ministri
degli Esteri dell’Unione Europea.
«
Ci sono molte armi in Siria e in
altri Paesi della regione, e si tratta
di armi fornite in grandi quantità
e illegalmente», ha sottolineato
Lavrov. Come riportato dall’agen-
zia di stampa statale
Ria-Novosti
,
il capo della diplomazia russa ha
poi aggiunto che «è molto difficile
stabilire da dove e in che modo
arrivano armi e munizioni» in
quelle zone.
Va detto che la Convenzione
sulle munizioni cluster di Oslo,
firmata anche dall’Italia nel 2008
e ratificata nel 2011, proibisce
produzione, commercio e stoccag-
gio di questo tipo di ordigni.
La Siria non ha mai firmato il
trattato che mette al bando le
bombe a grappolo, come pure al-
tre nazioni rilevanti sullo scac-
chiere politico internazionale: dal-
la stessa Russia, alla Cina, fino
agli Stati Uniti.
Altro giro, altra corsa sull’ot-
tovolante diplomatico. L’inviato
delle Nazioni Unite e della Lega
Araba per la pace in Siria, La-
khdar Brahimi, a Baghdad per
proseguire i colloqui istituzionali
mirati alla soluzione della crisi si-
riana (ulteriore tappa del suo tour
nella regione che lo ha portato
prima in Arabia Saudita, quindi
in Turchia, poi in Iran) incontrerà
il primo ministro Nuri al-Maliki.
«
Brahimi non ha finora proposto,
né intende proporre ai suoi inter-
locutori l’invio di una forza inter-
nazionale in Siria» ha spiegato il
suo portavoce al presidente della
Conferenza nazionale siriana,
Ammar Qurabi, come riporta Al
Arabiya. Il ministro degli Esteri
iraniano Ali Akbar Salehi, dal
canto suo, ha proposto a Brahimi
una soluzione politica per la fine
della crisi in Siria, suo alleato
chiave. Due giorni fa, Brahimi
aveva anche incontrato il presi-
dente iraniano Mahmoud Ahma-
dinejad.
Nulla all’orizzonte, insomma,
mentre le violenze ed i massacri
continuano, da una parte all’altra.
Forse dopo le presidenziali USA...
chissà.
LUCA ALBERTARIO
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 16 OTTOBRE 2012
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