II
ESTERI
II
Pericolo nucleare iraniano,
gli Usa abbandonano Israele
di
STEFANO MAGNI
er la seconda volta in due anni,
l’Aiea esprime una “forte pre-
occupazione” per il programma
nucleare iraniano. L’Agenzia In-
ternazionale per l’Energia Atomi-
ca, nella sua ultima risoluzione,
accusa l’Iran di non aver voluto
seriamente collaborare all’operato
degli ispettori. Teheran, infatti, ne-
ga loro l’accesso ai siti sotto inda-
gine, come Parchin, il complesso
militare dove probabilmente si so-
no condotti studi e test sulle future
testate nucleari. Il rapporto del-
l’Agenzia non dà adito ad equivo-
ci: il programma iraniano è anda-
to avanti fino al punto di poter
produrre almeno 6 ordigni nuclea-
ri, se il suo intento dovesse risul-
tare essere militare e non pacifico.
Il documento emesso dall’Aiea
chiede pieno e libero accesso a
questi siti. Ma la risposta iraniana
già la dice lunga: «Questa risolu-
zione non aiuta a risolvere la que-
stione nucleare, ma la complica –
ha commentato l’ambasciatore ira-
niano Alì Soltanieh – perché la sta
politicizzando. Renderà più diffi-
cile il clima di cooperazione. Non
hanno (i rappresentanti dell’Aiea,
ndr) imparato dalle lezioni del
passato: ogni qualvolta siano state
emesse risoluzioni, il risultato è
stato controproducente». L’appro-
vazione della risoluzione non è
P
stata una passeggiata. Il Sud Africa
e l’Egitto, ad esempio, hanno chie-
sto di modificare il testo. Il risul-
tato è un compromesso, un testo
meno vincolante rispetto all’origi-
nale, che è stato approvato da tut-
te le grandi potenze che fanno par-
te del gruppo di contatto “5+1”:
Usa, Cina, Russia, Francia, Regno
Unito e Germania. L’ambasciatore
statunitense all’Aiea, Robert Wo-
od, ritiene che la risoluzione «…
lanci un segnale molto forte al-
l’Iran: che la pressione diplomatica
stia crescendo, si stia intensifican-
do e che l’isolamento dell’Iran sia
sempre più completo».
È però proprio l’atteggiamento
degli Stati Uniti che sta mandando
in crisi il governo israeliano, il più
direttamente minacciato dal pro-
gramma nucleare di Teheran. Ben-
jamin Netanyahu aveva già (al-
l’inizio del mese) rimproverato
l’amministrazione Obama di non
aver tracciato “una linea rossa”,
oltre la quale la diplomazia possa
considerarsi fallita e debba lasciar
spazio ad altri metodi, anche mi-
litari. Il premier di Gerusalemme
ha chiesto a Barack Obama un in-
contro a quattr’occhi, in occasione
dell’apertura della prossima As-
semblea Generale dell’Onu a New
York. Ma la Casa Bianca ha ri-
fiutato, comunicando la sua de-
cisione con un comunicato uffi-
ciale emesso il 12 settembre. Il
periodo è il peggiore possibile.
Con mezzo mondo islamico che
si sta sollevando contro le sedi di-
plomatiche statunitensi (a causa
di un film “blasfemo”), l’ammi-
nistrazione Obama non vuol get-
tare altra benzina sul fuoco. Ma,
così facendo, abbandona l’alleato
israeliano in periodo di massimo
pericolo. Perché anche l’Iran sta
cavalcando palesemente l’onda di
sdegno anti-occidentale di questa
settimana. A Teheran, in migliaia
hanno partecipato alla manifesta-
zione di regime contro gli Usa,
lanciando i consueti slogan
“
Morte all’America!” e “Morte a
Israele!”. Se gli Stati Uniti, per il
regime degli ayatollah, sono il
“
Grande Satana”, anche il “Pic-
colo Satana” (Israele) entra auto-
maticamente nel mirino.
L’ira di Londra su quegli indiscreti dei francesi
K
Buckingham Palace protesta per le foto del topless della
principessa Kate, pubblicate sul tabloid popolare francese “Closer”.
Persino i più indiscreti quotidiani di gossip inglesi le avevano rifiutate
Pechino eTokyo,
lite sulle Senkaku
L’Aiea intima all’Iran
di collaborare
con i suoi ispettori.
Per l’ambasciatore
americano è «un segnale
forte».Ma intanto
Barack Obama snobba
Benjamin Netanyahu
Conservatori controObama:
«
Ecco la Primavera araba!»
na seconda guerra fra Cina e
Giappone? Per ora no. Ma la
tensione è alle stelle e non può es-
sere sottovalutata. Il motivo del
contendere sono le piccole isole
Senkaku, che la Cina chiama Dia-
oyu e rivendica come proprie. Co-
me tante altre isole delle acque asia-
tica, contese con Vietnam, Filippine,
Indonesia… La Cina si “allarga”,
non solo metaforicamente, puntan-
do a diventare una grande potenza
navale nel Pacifico. E mostrando i
muscoli in ogni occasione oppor-
tuna.
Un’impennata di violenze e gesti
dimostrativi cinesi si è registrata in
questi tre giorni, dopo che le auto-
rità di Tokyo hanno annunciato
l’acquisto delle isole Senkaku, lo
scorso 10 settembre. Il governo di
Tokyo non non ha rivelato quale
sia il prezzo dell’operazione anche
se, secondo alcune indescrizioni di
stampa, si aggirerebbe intorno ai
2,05
miliardi di yen (26 milioni di
dollari). I cinesi, però, non accetta-
no l’accordo.
Ieri, sei motovedette di Pechino
sono arrivate nelle acque attorno
all’arcipelago per quella che il mi-
nistro degli Esteri cinese ha definito
come una prima missione di pattu-
gliamento “per proteggere i propri
diritti marittimi”. “Riflette la nostra
giurisdizione sulle isole Diaoyu”,
ha detto un portavoce riferendosi
al nome cinese dell’arcipelago che
U
si trova in prossimità di Taiwan.
Immediata la replica giappone-
se. “Abbiamo presentato una dura
protesta e abbiamo chiesto alla par-
te cinese di lasciare le acque terri-
toriale attorno alle isole Senkaku”,
ha dichiarato il ministro degli Esteri
nipponico, Koichiro Gemba, in una
conferenza stampa a Sydney. Tokyo
ha poi specificato che il Giappone
prenderà “tutte le misure possibili”
per garantire la sicurezza alle Sen-
kaku, e ha istituito un ufficio spe-
ciale per la gestione della crisi pres-
so la sede del primo ministro.
Come nel Medio Oriente, con-
solati, ambasciate e semplici citta-
dini residenti all’estero sono diven-
tati bersaglio di minacce e violenze.
Il consolato nipponico a Shanghai
ha notizie di almeno sette episodi
di violenza contro i connazionali.
Nel distretto urbano di Baoshan,
un cinese ha innalzato due cartelli
con le scritte «Sconfiggiamo i dia-
voli giapponesi» e «Diavoli giap-
ponesi ritornate a casa», ha incen-
diato la sua Honda Civic dinanzi
ad una concessionaria della casa
giapponese, provocando il blocco
della circolazione. Per evitare di es-
sere aggrediti, ristoranti, negozi e
persino automobili private dei cit-
tadini nipponici in Cina, stanno ini-
ziando ad esporre bandiere cinesi
e a coprire ogni segno di riconosci-
mento del proprio Paese.
MARIA FORNAROLI
ibano, Sudan e di nuovo Tuni-
sia: sono i nuovi fronti dell’on-
data di violenze anti-americane. Un
video “blasfemo”, visibile solo su
Internet, infiamma ancora la piazza
islamica. Un morto nel Paese dei
Cedri, in seguito agli scontri fra
manifestanti e polizia. In Tunisia
sono scoppiati i disordini più gravi
in tre giorni: gli assalitori sono riu-
sciti ad entrare nell’ambasciata e
ad appiccare un incendio. Anche a
Tunisi, come nelle città che l’hanno
preceduta, la bandiera americana
è stata strappata dall’asta e sosti-
tuita con il vessillo nero jihadista.
La polizia ha dovuto sparare colpi
di avvertimento per cercare di di-
sperdere la folla. A Khartoum, ca-
pitale del Sudan, non solo l’amba-
sciata americana, ma anche quelle
di Regno Unito e Germania sono
state assaltate e danneggiate. Né la
Gran Bretagna, né la Germania
c’entrano qualcosa con il video
“
blasfemo” che ha scatenato la bu-
fera. Ma quando si tratta di attac-
care l’Occidente, i fondamentalisti
islamici, evidentemente, fanno ben
pochi distinguo. E anche a Sanaa,
Gaza, Gerusalemme, nel Bangla-
desh e persino a Londra, migliaia
di islamici si sono scagliati contro
gli Usa e i suoi simboli. Mentre
l’ambasciata di Bruxelles veniva
fatta evacuare, in seguito ad un al-
larme.
Negli Stati Uniti domina lo
L
sconcerto più totale. Nessuno si
aspettava una reazione simile per
un piccolo video che pochissimi
avevano notato. “Te l’avevo det-
to”: è l reazione degli opinion ma-
ker conservatori alla nuova ondata
di violenze “Te l’avevo detto” che
non era opportuno sostenere acri-
ticamente la Primavera Araba. Il
messaggio è rivolto all’amministra-
zione Obama, chiaramente. Con-
siderano l’ondata di violenze come
la conseguenza diretta di almeno
due anni di politica estera quanto-
meno imprudente. «Ecco il raccol-
to della Primavera Araba – si legge
nell’editoriale della National Re-
view – attacchi contemporanei, se
non coordinati, alle sedi diploma-
tiche americane del Cairo e di Ben-
gasi, nell’anniversario dell’11 set-
tembre». Per l’editorialista Mona
Charen, «La debolezza della poli-
tica estera del presidente Obama
ha contribuito agli eventi di questi
giorni nel Medio Oriente. Benché
abbia dato l’ordine di uccidere Bin
Laden (e chi non lo avrebbe fatto?)
e attacchi i terroristi con i droni,
questo presidente non ha mai ces-
sato di comunicare al mondo di
credere in un ruolo ridotto degli
Stati Uniti». E poi, «Il deprimente
comunicato dell’ambasciata al Cai-
ro – scrive lo storico Victor Davis
Hanson, citando il documento
emesso dalla sede diplomatica per
condannare il video “blasfemo” –
è sintomo di un abbandono del
principio, costituzionale garantito,
della libertà di espressione. Chiun-
que legga quel comunicato potreb-
be addirittura essere incoraggiato
a odiare gli Stati Uniti, partendo
dalla falsa premessa che sia il go-
verno americano il responsabile di
quel che, due o tre privati cittadini,
dicono». Anche per Liz Cheney (fi-
glia dell’ex vicepresidente), «Ben-
ché la performance dell’ammini-
strazione in questa crisi sia
disarmante, non deve stupire nes-
suno: è la logica conseguenza di tre
anni e mezzo di politica estera di
Obama». Grazie alla quale: «In
molte, troppe parti del mondo,
l’America non viene più vista come
un alleato su cui contare, né un ne-
mico potente da temere».
(
ste. ma.)
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 15 SETTEMBRE 2012
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