Page 3 - Opinione del 15-9-2012

tefano Fassina non è più un
ragazzino. Ha 47 anni, un
lungo passato nel centrosinistra.
Non è nemmeno parlamentare.
Un cursus onorum che non spie-
ga come sia diventato in breve
tempo l’astro nascente della ge-
stione bersaniana del Pd, degno
di paginate di giornali allorché
ha subito, un paio di giorni fa,
qualche spintone dagli incazzati
operai dell’Alcoa. Per capire chi
è Fassina bisogna andare indietro
nel tempo. I primi passi nel ruti-
lante mondo del Palazzo, il gio-
vane responsabile economico dei
Democratici li muove al seguito
di Laura Pennacchi. Al fianco di
Vincenzo Visco, fino alla fine del-
la legislatura. Conquistandosi la
stima del ministro, che gli affidò
la direzione di “Nuova economia
nuova società”, centro studi del
quale allora era uno dei presi-
denti.
È proprio nel think-tank so-
cialdemocratico che Fassina ini-
zia ad intessere i rapporti con
Pier Luigi Bersani. Insiema a Vi-
sco e a Bersani, il giovane leader
Democratico affronta il lungo
periodo di opposizione al secon-
do governo Berlusconi. Dal 2001
al 2006 mette a punto le idee che
serviranno al suo maestro nel
2006,
quando Prodi torna al go-
verno e affida la delega delle Fi-
nanze proprio al suo vecchio ma-
S
stino. Ma se di Visco Fassina è il
consigliere politico che ne sostan-
zia le rigide idee restrittive in po-
litica economica, inizia tuttavia
una cauta evoluzione avvicinan-
dosi al lavoro di Bersani. Nel
2006
il voltafaccia ai venerabili
maestri.
Walter Veltroni lancia la gran-
de idea del Partito democratico,
e Fassina sale sul carro del pre-
vedibile vincitore. Inizia a scri-
vere su
L’Unità
una lunga serie
di articoli nei quali invoca il su-
peramento della socialdemocra-
zia, invoca una svolta “democra-
tica” anche per il gruppo
parlamentare dei socialisti euro-
pei, diventando il consigliere eco-
nomico del Governo ombra mes-
so su dall’ex-sindaco della
capitale. Una rottura consumata
plasticamente quando si guarda
bene dal prendere le difese di Vi-
sco, non ricandidato per raggiun-
to limite di mandati proprio da
Veltroni.
Poi quell’esperienza finisce co-
me è noto, e Fassina inizia a riav-
vicinarsi cautamente alla strada
dalla quale era uscito. Bersani lo
accoglie nuovamente: non può
permettersi di interrompere in
maniera brusca il processo di ri-
cambio generazionale faticosa-
mente tentato da Veltroni, e quel-
lo del suo ex pasdaran è un volto
nuovo da poter inserire nell’or-
ganigramma della propria segre-
teria. Conquista così l’appoggio
di Fassina, che ne sostiene la cor-
sa alle primarie osteggiando Da-
rio Franceschini, che del fonda-
tore del Pd era il vice. Bersani
vince, Fassina diventa il respon-
sabile economico nella segreteria
del partito. Ma gli uomini di
Massimo D’Alema, gran tessitore
della vittoria bersaniana, non si
fidano del rampante dirigente.
Troppi i cambi di casacca, sus-
surrano. Così il suo nome, scivo-
la al momento della presentazio-
ne appena sotto la soglia prevista
per l’elezione.
Una sconfitta della quale Fas-
sina in privato ha sempre aper-
tamente incolpato Veltroni, reo
di non averlo tutelato. Incrinati
definitivamente i rapporti con
l’ex sindaco, a Fassina è rimasta
in dote una gran diffidenza nei
confronti dei dalemiani. Ricam-
biata, se, come sembra, fu pro-
prio D’Alema a scartarne il nome
a chi lo aveva proposto come pa-
pabile direttore della sua fonda-
zione, Italianieuropei. Senza l’ap-
poggio del presidente del
Copasir, è complicato per il re-
sponsabile economico del Pd
combattere una battaglia orga-
nica al fianco di Bersani. Così ha
deciso di provare a giocare in
proprio.
CARLO MARRONE
II
POLITICA
II
Taradash: «Riformare radicalmente le istituzioni»
di
PIETRO SALVATORI
a qui a una settimana,
L’Opi-
nione
riunirà alcuni esponenti
del mondo della politica che con-
dividono un approccio liberale sul-
la necessità di riformare, a prescin-
dere dagli interessi particolari dei
grandi partiti, cinque grandi settori
del paese: le istituzioni, il fisco, il
mercato del lavoro, gli Enti locali
e il funzionamento della giustizia.
L’Agenda Italia” verrà discussa
la mattina di sabato prossimo al-
l’hotel Fiordigli di Fonte Cerreto
di Assergi, in provincia de L’Aqui-
la, da Antonio Martino, Giancarlo
Galan, Enrico Morando, Giuseppe
Moles, Nicola Rossi, Deborah Ber-
gamini, Franco Debenedetti, Gui-
do Crosetto e Roberto Cassinelli.
Insieme a loro Marco Taradash,
esponente radicale di lungo corso,
oggi consigliere regionale del Pdl
toscano. «Il problema principale
del nostro paese concerne proprio
le riforme, che consentano un
cambiamento dell’etica pubblica»
spiega Taradash. Che ritiene «si
dovrebbe partire da una riforma
del sistema dei partiti, che oggi vi-
vono alle spalle dello stato, diven-
tando gioco forza lottizzatori e ge-
neratori di clientele»
In che modo attuarla?
Introducendo le primarie per
legge, ravvivando in questo modo
il rapporto con gli elettori e il
controllo che questi ultimi avreb-
bero sulla selezione della classe
dirigente.
Ma se andiamo verso un sistema
D
elettorale proporzionale…
Questo è un altro problema. A
mio avviso il miglior sistema isti-
tuzionale adottabile sarebbe il se-
mi-presidenzialismo alla francese,
conferendo maggiori poteri for-
mali e sostanziali al presidente del-
la Repubblica. Ragionando in que-
st’ottica, va da sé che il sistema
elettorale dovrebbe essere impron-
tato su collegi uninominali, magari
adottando il doppio turno. In que-
sto modo, con le primarie, passe-
remmo da partiti fondati sulle oli-
garchie a raggruppamenti che
devono necessariamente partire
dagli elettori.
Una riforma radicale.
Dirò di più. Anche il sistema
bicamerale va abolito, introducen-
do finalmente un Senato composto
da rappresentanti degli Enti locali,
come si è tanto discusso nei mesi
passati.
Il famoso Senato delle Regioni?
Vado oltre. Le Regioni, così co-
me sono strutturate, sono troppo
piccole per essere validi interlocu-
tori di fronte allo stato e troppo
grandi per venire percepite vicine
ai cittadini. Recupererei il modello
delle macro-regioni discusso al-
l’inizio degli anni ’90, dimezzando
contestualmente il numero delle
province.
Proprio gli Enti locali sono i primi
indiziati quando si parla di ecces-
siva pressione fiscale.
Quello del fisco è un altro
grande comparto che necessita
una revisione. Bisogna necessaria-
mente abbassare le tasse, a comin-
ciare dalle imprese. Non è possi-
bile che l’Irap imponga tasse
crescenti a coloro che offrono più
lavoro. Il principio dovrebbe esse-
re esattamente il contrario. Senza
dimenticare che la pressione fiscale
complessiva per chi produce è ar-
rivata a toccare il 68%. Anche
quella sui redditi andrebbe alleg-
gerita.
Rimprovera il governo di averla
inasprita eccessivamente?
Lo rimprovero, ma con giudi-
zio. Non bisogna scordarsi che è
stato un governo emergenziale, ha
agito in tempi e condizioni che gli
sono state imposte. Non mi met-
terei a polemizzare con Monti, che
deve arrivare alla fine del suo
mandato facendo del suo meglio.
Dopo la politica si riappropri del
suo ruolo e ricominci da dove il
premier si sarà fermato.
La sua riforma del lavoro, però,
non sembra molto incisiva. Eppure
negli scorsi giorni è stata nuova-
mente attaccata dalla leader della
Cgil, Susanna Camusso.
Non capisco le critiche perché
non vedo la riforma. Sicuramente
l’esecutivo ha fornito indicazioni
utili per proseguire un lavoro ap-
pena iniziato. Bisogna cambiare la
mentalità, passare dalla logica vol-
ta a difendere il posto di lavoro a
quella che punta a crearne di nuo-
vi. I sindacati non possono conti-
nuare a difendere per sempre il
proprio ruolo. Ma anche gli im-
prenditori devono rinunciare ad
alcuni sussidi da parte dello stato.
A patto che quest’ultimo fornisca
servizi competitivi, e penso a set-
tori come l’energia, le poste, le co-
municazioni.
Per quanto riguarda la giustizia?
È una vecchia battaglia. Ma è
già tutto scritto nella proposta di
riforma che avanzò Angelino Al-
fano quando era ministro della
Giustizia, prima di passare malau-
guratamente a fare altro.
Vale a dire?
Separazione delle carriere di
magistrati e pubblici ministeri, ri-
formare il Consiglio superiore del-
la magistratura per renderlo indi-
pendente dalle correnti e dai
magistrati, introdurre la respon-
sabilità civile per i magistrati.
Ha detto niente…
Ma è quello che va fatto per
rendere funzionante il comparto
giustizia italiano. Niente di meno.
Fassina: giovane comunista
allievo di Visco (e di Veltroni)
«
Basta negoziati
traEuropa e India»
Sabato prossimo verrà
presentata un’agenda
di riforme sostenuta
da liberali di tutti i partiti
«
Bisogna introdurre
primarie per legge
e adottare in fretta
il semi-presidenzialismo»
e un paese non è in grado di
rispettare le norme delle Na-
zioni unite e la certezza del diritto
internazionale non potrà neppure
darci garanzia del rispetto degli ac-
cordi commerciali che necessitano
di regole certe, condivise e recipro-
che». È quanto hanno scritto cin-
que europarlamentari italiani a Ka-
rel De Gucht, commissario per il
commercio internazionale del-
l’Unione Europea.
Loro sono Cristiana Muscardi-
ni, di Futuro e Libertà; Gianluca
Susta, del gruppo Socialisti & De-
mocratici; Paolo Bartolozzi, del Po-
polo della Libertà; il leghista Oreste
Rossi e Tiziano Motti, Udc. Chie-
dono l’immediata cessazione dei
negoziati commerciali tra India e
Ue fino all’avvenuto rilascio di
Massimiliano Latorre e Salvatore
Girone, i due fucilieri del Reggi-
mento San Marco illegalmente de-
tenuti dalle autorità indiane del Ke-
rala. «L’Europa - prosegue la lettera
ufficiale, indirizzata a De Gucht lo
scorso 11 settembre - ha il dovere
di far sentire la propria voce con
forza e determinazione, e pertanto
le rinnoviamo la richiesta di pro-
cedere alla sospensione temporanea
dei negoziati fino a quando non si
sarà fatta chiarezza sull’accaduto e
fino a quando i marinai italiani non
saranno rilasciati».
Sono trascorsi ormai 6 mesi da
quando i due marò, soldati italiani
«
S
impegnati in una missione antipi-
rateria sotto l’egida dell’Onu, ope-
ranti in acque internazionali e quin-
di fuori da qualsiasi giurisdizione
del governo di Nuova Delhi, sono
stati sequestrati per ordine della
magistratura dello stato federato
del Kerala. Secondo i parlamentari
europei firmatari dell’appello, i due
sottufficiali «continuano ad essere
prigionieri non per astrusi problemi
giuridici, ma per note situazioni po-
litiche indiane».
Quella di martedì è la seconda
missiva sullo stesso tono di un’altra,
inviata nel marzo scorso e rimasta,
è proprio il caso di dirlo, lettera
morta. Sulla vicenda dei due marò,
il silenzio delle istituzione europee
risulta infatti assordante quasi
quanto quello delle istituzioni na-
zionale, fatta salva qualche estem-
poranea dichiarazione di intenti e
qualche gaffe clamorosa. Come
quella della baronessa Catherine
Margaret Ashton, Alto rappresen-
tante per gli affari esteri e la politica
di sicurezza dell’Unione europea,
che aveva definito “contractors” i
due sottufficiali italiani seuqestrati.
Frattanto, il 4 settembre scorso, do-
po innumerevoli rinvii, si è celebra-
ta l’udienza sul ricorso che i legali
di Latorre e Girone hanno presen-
tato per contestare la giurisdizione
indiana. La sentenza è attesa per la
fine del mese.
LUCA PAUTASSO
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 15 SETTEMBRE 2012
3