on ci sono soltanto i guai
dell’Ilva e della Fiat, entrambe
alle prese con diktat della magistra-
tura che rischiano di mandare al-
l’aria produzione e posti di lavoro.
È l’intero sistema manufattoriero
nazionale ad essere in seria difficol-
tà. E se per il ministro del Lavoro,
Elsa Fornero, dobbiamo aspettarci
il peggio con l’autunno ormai pros-
simo, secondo le rilevazioni di Eu-
rostat il peggio paventato dal mi-
nistro è già cominciato.
Il calvario per la produzione in-
dustriale italiana è cominciato a
giugno, quando l’istituto di statisti-
ca europeo ha registrato un vero e
proprio crollo, pari al -8,2%, ri-
spetto al giugno del 2011. Non è
di nessun conforto sapere che per
tutte le grandi economie europee si
è trattato di un mese nero. È andata
male in dodici paesi sui 20 presi in
esame dall’analisi: subito dopo il
pessimo risultato italiano ci sono
le maglie nere di Spagna (-6,3%),
Regno Unito (-4,6%) e Portogallo
(-4,4%). Tra gli appena otto paesi
ch, in assoluta controtendenza ri-
spetto all’andamento generale, han-
no visto crescere la propria produ-
zione industriale, gli aumenti più
significativi si sono registrati in Ir-
landa (+9,5%), Lettonia ( +5,4%)
e Slovenia (+2,8).
Rispetto a maggio 2012, la pro-
duzione di beni strumentali è dimi-
nuita dell’1,3% sia nella zona del-
N
l’euro che nell’Ue. I beni non dure-
voli di consumo sono diminuiti, ri-
spettivamente, dello 0,7% e
dell’1,0%. I beni intermedi sono di-
minuiti dello 0,4% nell’eurozona e
dello 1,0% nell’Europa a 27. Incer-
to invece l’andamento dei beni di
consumo durevoli, cresciuti dello
0,2% nella zona euro, ma diminuiti
dell’1,1% nell’Ue. Uno scenario a
due velocità che si è ripetuto anche
per quanto riguarda la produzione
di energia, che aumenta dello 0,4%
nella zona euro, ma diminuisce. del-
lo 0,2% nella Ue27. Non c’è con-
solazione nel sapere che i nostri
guai sono condivisi dal resto d’Eu-
ropa, si diceva, perché quello ita-
liano è comunque il dato peggiore
di tutta la zona euro (dove si regi-
stra una flessione media di -2,1%)
e dell’Europa a 27 (-2,2%). Si pian-
ge, anche se molto meno che in ca-
sa nostra, anche in Germania (-
0,4%), Francia (-2,6%), e Regno
Unito (4,6%). Brutte notizie, e con
i numeri della produzione industria-
le c’era da aspettarselo, anche per
il Pil. Eurostat conferma che quello
italiano è calato dello 0,7% nel se-
condo trimestre 2012 rispetto al
primo quarto dell’anno, ed è sceso
addirittura del 2,5% rispetto al se-
condo trimestre 2011. Tiene botta,
confermando le previsioni, soltanto
la locomotiva d’Europa: in Germa-
nia negli ultimi 12 mesi il prodotto
interno lordo è cresciuto dell’1%.
Per farsi un’idea più chiara di
quanto drammatico sia stato il calo
generale registrato a giugno, basta
spulciare qualche dato in più. Eu-
rostat ha infatti tastato il polso in
questo senso a quei 21 stati tra i 27
che compongono l’Unione Europea
dei quali sono già disponibili dati
certi, e il referto è stato pessimo. La
produzione industriale, ad esempio,
tra maggio 2011 è scesa in ben se-
dici ed è aumentata in appena cin-
que. Tra i tonfi peggiori dell’anno
il -1,4% dell’Italia occupa soltanto
(si fa per dire) il quarto posto: peg-
gio hanno fatto Regno Unito (-
2,5%), Polonia (-2,0%) ed Estonia
(-1,7%) e Italia. Tra i pochissimi
che possono festeggiare un dato po-
sitivo ci sono invece Lituania, con
un notevole +18,6%, Slovenia
(+2,9%) e Irlanda (+2,7%).
Giugno, però, sembra essere sta-
to fino ad ora soltanto il mese più
nero di un’annata già tutt’altro che
rosea. In giugno 2012, rispetto allo
stesso mese del 2011, la produzione
di beni intermedi è scesa del 3,7 %
nella zona euro e del 3,5% nel-
l’Unione europea. I beni di consu-
mo durevoli sono calati rispettiva-
mente del 2,0% e 2,5%. In
flessione anche i beni non durevoli,
calati del 2,0% e dell’1,5%. In calo,
sebbene più lieve, anche i beni stru-
mentali (-0,9% e -1,0%), e la pro-
duzione di energia (-0,4% e -1,7%).
lu.pau.
II
POLITICA
II
Nel giugno nero dell’industria
al Bel Paese lamaglia neraUe
Grande coalizione?
Ci sta solo l’Udc
a posizione dell’Udc è
chiarissima: noi riteniamo
che sia nell’interesse dell’Italia
proseguire sulla linea tracciata dal
governo Monti e pensiamo che
anche dopo le elezioni la formula
migliore sia la grande coalizione.
Nel Pdl alcuni la pensano come
noi, altri giocano con il referen-
dum per tornare alla lira o voglio-
no ritornare a un bipolarismo ba-
sato sulla figura di Berlusconi. È
chiaro che nel Pdl esistono mol-
teplici realtà che la pensano in
molteplici modi praticamente su
tutto, e provano a nascondere i
loro problemi attaccando quoti-
dianamente l’Udc. Questo può il-
ludere di mascherare le loro con-
traddizioni, ma certo non le
risolve. Nella coalizione dei mo-
derati l’Udc vorrebbe anche il Pdl,
ma prima il Pdl deve risolvere la
sua confusione e decidere cosa fa-
re e cosa essere, se moderato e po-
polare oppure no». Il presidente
dell’Udc, Rocco Buttiglione, non
ha dubbi: non è il suo partito che
si appresta a compiere una svolta
a sinistra che rinnega, contempo-
raneamente, la sua tradizione e il
suo elettorato, ma il Pdl che - ri-
fiutandosi di partecipare a questa
“Grande coalizione” dai confini
ancora incerti e nebulosi - abban-
dona la strada tracciata (e con
quale successo!) da Monti per tor-
nare alle sue radici populiste e
«L
berlusconiane. Messa così, la cosa
sembra avere ancora meno senso
di quello che (non) riesce a darle
il buon Buttiglione. E la risposta
dei diretti interessati (cioè dell’ala
cattolica del Popolo della Libertà)
arriva immediatamente, cavalcan-
do le pagine del
Corriere della Se-
ra
. «Nessun partito, né noi né il
Pd, si presenta alle elezioni per fa-
re la Grande coalizione, perché
l’ambizione è vincere». Per questo
«io sinceramente non capisco que-
sta agitazione degli amici ex An»
che alzano i toni su un’ipotesi che
non sappiamo mai se avvera». Lo
afferma in un’intervista al
Corsera
il vicepresidente della Camera,
Maurizio Lupi, secondo il quale
al Pdl «non serve dividersi su
Grande coalizione sì o no» ma
«darsi un’identità» che «non può
essere un programma che prevede
il referendum sull’euro, l’insegui-
mento di Grillo, l’attacco ai co-
munisti o la ricerca di una first la-
dy per Berlusconi...». «Quello che
dovremmo decidere fin da prima
del voto è che la prossima non
potrà essere la legislatura dello
scontro frontale, della demoniz-
zazione dell’avversario, ma piut-
tosto un passaggio in qualche mo-
do costituente». Quanto alla
possibilità di riprendere il dialogo
con Casini, «la speranza è l’ultima
a morire ma ormai siamo su linee
parallele». Appunto.
di
LUCA PAUTASSO
iberalizzare conviene? Sì. Le li-
beralizzazioni aprono al merca-
to alla concorrenza, un sistema dove
vince chi è in grado di offrire al-
l’utenza il servizio migliore al prezzo
più basso. Questo, almeno, è quello
che accade in un sistema sano, dove
il regime concorrenziale si realizza
appieno. In Italia, a quanto pare, no.
Sarà perché nel nostro paese gli
approvvigionamenti di energia e
materie prime sono sempre più dif-
ficili e costosi che altrove, oppure
perché la concorrenza si realizza sol-
tanto sulla carta, sta di fatto che ne-
gli ultimi 10 anni le tariffe hanno
subito solo aumenti vertiginosi. Lo
dice la Cgia di Mestre, secondo la
quale nell’ultimo decennio, a fronte
di un incremento del costo della vita
pari al 24%, «le bollette dell’acqua
sono cresciute del 69,8%, quelle del
gas del 56,7%, quelle della raccolta
rifiuti del 54,5%, i biglietti ferroviari
del 49,8%, i pedaggi autostradali
del 47,5%, l’energia elettrica del
38,2% e i servizi postali del
28,7%». Solo la telefonia ha subito
un decremento del prezzo, con un
misero -7,7% cui tocca il ruolo del
Pollicino in mezzo ad una simile sel-
va di rincari a due cifre più decimale
al seguito.
Che tutto costi sempre di più, le
famiglie italiane se n’erano accorte:
non è affatto un caso che, tra il
L
2001 e il 2011, la spesa per i con-
sumi finali abbia fatto registrare un
aumento del +4%, al netto dell’in-
flazione.
E non è certo solo colpa della
crisi economica o della famigerata
moneta unica che sembra aver ta-
gliato le gambe al nostro potere
d’acquisto. C’entrano, come si è det-
to, e come sottolinea anche il segre-
tario della Cgia, Giuseppe Bortolus-
si, «il costo crescente registrato dal
gas e dal petrolio, l’incidenza delle
tasse e dei cosiddetti oneri impropri,
che gonfiano enormemente le nostre
bollette, e i modestissimi risultati ot-
tenuti con le liberalizzazioni». Già,
le liberalizzazioni. Le apertura ita-
liane al libero mercato di quei seg-
menti un tempo appannaggio di un
unico soggetto erogante, a quanto
pare, in Italia non vengono effettua-
te a sufficienza, e dove vengono ef-
fettuate c’è sempre qualcosa che non
va. Possiamo consolarci, dice Bor-
tolussi, con le bollette dell’acqua po-
tabile, che nonostante gli aumenti
restano sostenibili: «È vero che la
variazione percentuale è stata la più
consistente - dice - ma va anche sot-
tolineato che gli importi medi pagati
da ciascuna famiglia italiana sono
ancora adesso tra i più bassi d’Eu-
ropa».
Sembra dunque che l’unico risul-
tato tangibile delle liberalizzazioni
Made in Italy sia stato quello di far
lievitare il numero delle Authority:
ce ne sono già quattordici, altre due
sono però in dirittura d’arrivo, salvo
cambiamenti di rotta. Svolgono il
ruolo di garanti, vigilando sul cor-
retto mantenimento della libera con-
correnza in questo o quel settore.
Costano care, e forse non lavorano
abbastanza. Perché di esempi di li-
beralizzazioni che non hanno por-
tato nessun vantaggio ai consuma-
tori ce ne sono a bizzeffe. Dal 2000,
ad esempio, anno di liberalizzazione
del settore ferroviario, i biglietti sono
aumentati del 53,2%, contro un au-
mento del costo della vita pari al
27,1%. Dal 2003, quando è stato
aperto il mercato del gas, il prezzo
medio delle bollette è aumentato del
33,5%, mentre l’inflazione è cresciu-
ta del 17,5%. Se poi tra il 1999 ed
il 2011 il costo delle tariffe dei ser-
vizi postali è aumentato del 30,6%,
pressoché pari all’incremento del-
l’inflazione avvenuto sempre nello
stesso periodo (+30,3%), per l’ener-
gia elettrica la variazione delle ta-
riffe, avvenuta tra il 2007 ed il 2011,
è stata sempre in crescita (+1,8%),
anche se più contenuta rispetto al-
l’inflazione (+8,4%). Solo nei servizi
telefonici, si diceva, le liberalizzazioni
hanno abbattuto i costi. Tra il 1998
ed il 2011, le tariffe sono diminuite
del 15,7%, mentre l’inflazione è au-
mentata del 32,5%.
Insomma: liberalizzare conviene,
farlo “all’italiana” no. Anzi, costa
molto di più.
ui si chiamava Shoichi Yokoi,
ed era il soldato giapponese
passato alla storia per essere rima-
sto 28 anni filati nella giungla di
Guam perché nessuno gli aveva
detto che la Seconda Guerra Mon-
diale era finita, e non c’era più nes-
sun nemico da combattere. Lei si
chiama Giorgia Meloni, ex An, ex
presidente della Giovane Italia, già
ministro della Gioventù nell’ultimo
governo Berlusconi, e sembra essere
rimasta l’unica a combattere anco-
ra nella giungla del centrodestra
perché si possa dare concretamente
l’opportunità delle primarie agli
elettori del Pdl. E, a differenza che
nel caso dell’“ultimo giapponese”,
la sua è una battaglia sacrosanta.
Nei giorni scorsi
l’Opinione
,
con un’intervista ad uno sconsola-
tissimo Andrea Di Sorte, aveva rac-
contato come il sogno delle prima-
rie nel Popolo della Libertà sia
ritenuto definitivamente infranto
persino dalla falange dei giovani
Formattatori. Eppure, a quanto pa-
re, in un partito sempre più in cer-
ca d’autore c’è chi resta convinto
che proprio la scelta dell’autore
debba essere affidata all’elettorato,
ora più che mai.
Così, ieri, Giorgia Meloni ha af-
fidato le sue riflessioni al proprio
profilo Twitter: «Sarebbe più bello
arrivare ad indicare i candidati con
una consultazione popolare, piut-
tosto che dopo un Ufficio di presi-
L
denza del partito». Del resto, la de-
putata Pdl in passato non ha mai
nascosto il suo forte attaccamento
al metodo delle primarie, nemmeno
nel caso di una ricandidatura di Sil-
vio Berlusconi. Anzi, per lui più di
chiunque altro candidato, un’even-
tuale consultazione della “base”
potrebbe rappresentare secondo
Meloni «il bagno di folla che me-
rita».
Ora però la discussione in casa
Pdl non è attorno al nome giusto
per Palazzo Chigi, che sembrerebbe
essere ancora una volta quello del
Cavaliere, quanto piuttosto quello
di chi sarà al suo fianco “in ticket”
nella sua corsa alla premiership. E
la posizione di Giorgia Meloni è
sempre la stessa, anche in 140 ca-
ratteri: «Se il Pdl ritiene necessario
un ticket, una persona che affianchi
il candidato premier, a maggior ra-
gione è giusto consultare gli italia-
ni». Primarie ora e sempre, dunque,
anche se tanti ex giovani battaglieri
del partito ormai non ci credono
più. Anche perché, spiega, «sul tic-
ket del Pdl il tema non è trovare
un candidato giovane o donna, ma
identificare il candidato migliore».
Il sasso è lanciato, e a dire il ve-
ro lo era già da un pezzo. Resta da
vedere se qualcuno raccoglierà l’ap-
pello di Meloni, o se sarà costretta
a rimanere l’ultima voce che twitta
nel deserto del Pdl.
(lu.pau)
Liberalizzazioni?Solo in Italia
fannoschizzare insu lebollette
LaMeloninoncede:
«Primarieper ilPdl»
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 15 AGOSTO 2012
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