n questo periodo molti nel cen-
trodestra invocano la venuta
di un Matteo Renzi che possa ri-
sollevare le sorti di un partito
che sembra non riuscire a dare
più alcun segno di vita. Ma sa-
rebbe bene ricordare che Renzi
non apparve d’improvviso sulla
scena politica italiana ma è stato
un politico che, nonostante la
giovane età, si è saputo fare stra-
da nel suo partito fino a ricoprire
dal 2004 al 2009, a soli 29 anni,
la carica di presidente della Pro-
vincia di Firenze. Già da molto
tempo prima però era attivo sul
territorio, visto che diventò se-
gretario nazionale del Partito po-
polare italiano nel 1999 e nel
2003
ricoprì il ruolo di segreta-
rio provinciale de La Margherita.
Non è stato quindi un politi-
co nato per caso da un giorno al-
l’altro. Grazie alla notorietà ac-
quista sul territorio fiorentino e
ai contatti che seppe stringere -
fra i tanti endorsement che rice-
vette spiccano quelli di Ferraga-
mo, Frescobaldi, Confindustria
e Cisl - nel 2009 decise di candi-
darsi alle primarie per il sindaco
di Firenze. Anche in questo caso
però la vittoria non fu un tra-
guardo scontato e anche la for-
tuna giocò un ruolo rilevante. Il
candidato di punta del Partito
democratico avrebbe dovuto in-
fatti essere Graziano “sceriffo”
Cioni, assurto alle cronache na-
zionali per la sua ordinanza “an-
ti-lavavetri”, ma poco prima che
le primarie avessero luogo fu
messo fuori gioco della magistra-
tura che indagava su presunte
speculazioni edilizie della prece-
dente amministrazione comunale.
Dopo questo evento la diri-
genza nazionale del Pd optò per
cancellare il lavoro svolto fino a
quel momento con nuove candi-
I
dature per evitare di spaccare ul-
teriormente il partito ma Matteo
Renzi si oppose a questa deci-
sione trovando degli alleati nei
suoi stessi avversari, dato che sia
Lapo Pistelli che Daniela Lastri
furono molto critici verso la ge-
stione centralista delle primarie
da parte del loro partito. Il Pd
nazionale decise quindi di pro-
porre la candidatura di Michele
Ventura che però avvenne troppo
tardi per sperare di cambiare la
storia. Matteo Renzi riuscì a vin-
cere con il 40,5% delle preferen-
ze battendo nell’ordine Pistelli
(26,9),
Daniela Lastri (14,6), Mi-
chele Ventura (12,5) e Eros Cruc-
colini (5,5%). Al voto seguirono
molte polemiche soprattutto, vi-
sti i numeri, verso la dirigenza
del Pd rea di non aver saputo
trovare un’alternativa unitaria
alla candidatura di Renzi dimo-
strando che le molte opzioni a
disposizione andarono a premia-
re non i giochi di potere ma chi
aveva impostato la sua campa-
gna elettorale con il messaggio
più coerente. Questo potrebbe
essere un avvertimento per chi
penserà di sconfiggere Renzi to-
gliendogli voti al centro, come
sta pensando di fare Rutelli con
la candidatura di Tabacci. La vi-
cenda del sindaco di Firenze è
anche un messaggio per il Pdl
che se vuole veramente la venuta
di un Renzi del centrodestra do-
vrebbe smettere di invocarlo co-
me un miracolo e iniziare a la-
vorare seriamente a partire dal
territorio e, ovviamente, decidersi
a fare le primarie. Ma soprattut-
to ci si dovrebbe chiedere se in
questo Pdl sarebbe possibile l’av-
vento di un candidato che vince
schierandosi contro i dettami del-
la dirigenza nazionale.
FILIPPO NARDELLI
di
ANTONIO FUNICIELLO
*
ualche giorno fa, risponden-
do ad Antonio Polito che,
sul
Corriere della Sera
,
lo incal-
zava su alcuni nodi tematici,
Renzi ha risposto mettendo in fi-
la tre proposte veltroniane: Unio-
ne europea politica (è di Veltroni
l’idea di eleggere direttamente fi-
nanche il presidente del consiglio
europeo); dismissioni del patri-
monio pubblico (già presenti nel
programma elettorale del Pd
2008);
nuovo diritto unico del la-
voro (teorizzato da Pietro Ichino
e propagandato da Veltroni a più
riprese e in molte occasioni, che
perciò propose al giuslavorista la
candidatura al Senato nel 2008).
Tre idee veltroniane vuol dire,
politicamente parlando, che le
proposte non sono originali, ma
sono state avanzate organicamen-
te, in un disegno politico coeren-
te, da qualcun altro. E nel caso
delle tre idee di Renzi apparse sul
Corriere, quel qualcun altro è
Walter Veltroni.
Da alcuni mesi, dalla Leopol-
da 2 di novembre scorso, quelle
tre idee sono entrate a far parte
del disegno politico di Matteo
Renzi, insieme a tante altre.
Chi quelle idee veltroniane e
il loro disegno ha condiviso, non
può che gioirne. Quale successo
migliore potrebbe arridere a chi
fa politica?
D’altro canto, e intelligente-
mente, Renzi quelle idee fa pro-
prie: perché sono le idee giuste
per l’Italia.
Non è da escludere che, quan-
do giovedì parlerà a Verona,
Renzi si “approprierà” di altre,
svariate idee veltroniane. Provan-
do a definire meglio un progetto
di governo per l’Italia che somi-
glierà a quello del Lingotto.
Q
Anche nello stile Matteo Ren-
zi guarda molto a Walter Veltro-
ni, come pure nei riferimenti sim-
bolici. Renzi è l’antitesi di
Bersani, uno straniero confron-
tato a D’Alema, non c’entra nul-
la con la Bindi o con Letta, e
neppure con Prodi. Ma ricorda
moltissimo Veltroni. Ed è per
questo che a lui riserva gli strali
più acuminati. E talvolta un po’
sciocchi.
Somigliare così tanto a Veltro-
ni è un problema. Perché la stra-
tegia d’ingaggio di Renzi è anti-
tetica rispetto a tutto l’universo
degli “schiacciapulsanti” (citazio-
ne renziana) di Roma. Anche ver-
so chi ha elaborato le idee e la
cultura politica e di governo che
oggi Renzi prende in prestito. Per
questo proprio a Veltroni sono
riservati i colpi più duri.
Renzi è come l’Enrico VII can-
tato nel Paradiso di Dante. La
sua idea è scendere su Roma e ri-
mettere a posto le cose, imponen-
do il suo modo di vedere le cose.
È questo lo schema degli ammi-
nistratori locali, di cui lui è l’im-
peratore ghibellino, contro i par-
lamentari romani.
Un artifizio letterario (e una
politica di incentivi verso i reclu-
tati). Non esiste difatti paese de-
mocratico dove la classe dirigente
nazionale si sia formata per som-
matoria di classi dirigenti locali.
Ma Renzi ha scelto da tempo
la sua tattica d’assalto e non è di-
sposto a rinunciare al brand della
rottamazione. Né a contaminarlo
con altro. Verranno le sue propo-
ste, verrà il programma, ma l’ab-
brivio e la conclusione di ogni ra-
gionamento sarà sempre la
stessa.
Il fatto, però, è che i leader
nascono nella storia e vivono di
storia e solo così riescono a farla,
la storia. Non esiste leader che si
sia imposto in contrapposizione
a tutto quanto gli era alle spalle:
ogni leader, in ogni luogo e in
ogni tempo, ha dovuto fare i con-
ti col passato suo e di coloro di
cui intendeva farsi leader. Ci si
può porre in continuità con la
storia di riferimento, per farsi
leader di una tradizione specifica.
O si può provare ad essere revi-
sionisti rispetto al proprio pas-
sato, provando a rileggere la pro-
pria storia. Ma i conti con la
storia tocca farli. E più si preten-
de di essere discontinui, più bi-
sogna andare a fondo nell’analisi
e nella comprensione di ciò ri-
spetto a cui si intende essere di-
scontinui.
Magari le primarie non sono
il momento per ragionare di ciò.
Ma prima o poi Renzi dovrà af-
frontare la questione e provare a
risolverla.
P.s. Si dice che Matteo Renzi
abbia quel coraggio che Walter
Veltroni non ha mai avuto. Sa-
rà... Quando nel 2007 il secondo
governo Prodi era già caduto una
volta e tutti i sondaggi davano
elezioni imminenti e sconfitta più
che certa per il centrosinistra,
Veltroni lasciò il Campidoglio
per andare a costruire il partito
delle primarie, il Partito demo-
cratico.
Poteva starsene lì (era stato
da poco rieletto a furor di popo-
lo), aspettare il disastro, fregar-
sene e poi essere acclamato come
ricostruttore. Mollò tutto quello
che aveva - ed era tanto - per
buttarsi in una battaglia politica
tutta in salita. Non sarà stato co-
raggioso. No. Forse aveva bevu-
to.
*
Direttore di “Libertà Eguale”
Per gentile concessione
di qdRmagazine.it
II
POLITICA
II
segue dalla prima
Eterni concorrenti
Perché è quella della fusione tra due orga-
nismi strutturalmente antitetici , fusione
che può avvenire solo a condizione che uno
dei due soggetti rinunci alla propria natura
annullandosi completamente nell’altro.
L’Udc, come si è visto a Chianciano, può
permettersi mal massimo di cooptare nel
proprio vertice qualche rappresentante della
società civile (Emma Marcegaglia) o qual-
che transfuga di nome da altre formazioni
politiche (Beppe Pisanu, Gianfranco Fini).
Ma questa cooptazione deve essere neces-
sariamente limitata. Perché non può in al-
cun caso alterare gli equilibri interni del
tradizionale gruppo dirigente del partito.
Casini potrà anche essere il “padre-padro-
ne” dell’Udc. Ma senza i quadri dei diri-
genti e dei militanti corre il rischio di tra-
sformarsi in “genero” e basta.
Al tempo stesso i movimenti d’opinione
formati da alcune decine di intellettuali,
economisti, professori, professionisti ed im-
prenditori, cioè da un gruppo per defini-
zione e per formazione elitario, non può in
alcun caso mettersi in coda ai colonnelli,
ai capitani, ai tenenti ed ai marescialli del-
l’Udc. Deve necessariamente pretende di
essere cooptato in blocco al vertice del par-
tito con cui dovrebbe fondersi. Perché al-
trimenti perde la sua natura e si dissolve
come neve al sole.
E allora? Come se ne esce? Al momento in
un modo solo: non se ne esce. Rimane la
concorrenza, la competizione, la conflittua-
lità. Fino al momento, se mai dovesse ar-
rivare, in cui un pezzo snaturato di uno do-
vesse accettare di essere innestato nel tronco
dell’altro.
Ma possono Montezemolo, Nicola Rossi
e Giannino pensare di poter essere innestati
accanto a Pisanu, Fini, De Mita, Cirino Po-
micino ed Adornato?
ARTURO DIACONALE
Media e Mani pulite
Per dire: i soliti noti, ancorchè eccellenti.
Ma le novita? Il punto vero sta nel fatto,pe-
raltro non rinviabile, che nella primavera
del 2013 si vota e anche Mediaset, soprat-
tutto Mediaset, dovrà attrezzarzsi per la bi-
sogna, passare cioè da una tv di pace ad
una tv di guerra (politica) nella quale il mo-
vimento, la flessibilià, l’attacco, il colpo sec-
co sono il condimento di ogni tv in tempo
di elezioni,tanto più se trattasi di Tv mar-
chiate a fuoco dal suo creatore, che non pa-
re abbia rinunciato alla politica, sia pure
come padre nobile. Sic stantibus rebus, è
comprensibile che un programma come
“
Quinta Colonna” condotto dal volonte-
roso e autorevole Del Debbio, spari nel
mucchio agitando i problemi di pancia della
mitica “gggente”, ma ci si chiede, sommes-
samente,se una strada del genere destinata
a sfociare e confondersi nelle fiumane tor-
bide e limacciose del populismo demagicico
di una certa La7 (Formigli,Santoro ecc.) sia
la più indicata, anche sotto il profilo della
politica. Intendiamoci, la demagogia è le-
gittima e le tv del Cav, in alte epoche, di-
ciamo 20 anni fa, ne hanno fatto di cotte e
di crude sotto questo profilo. Ma c’era Ma-
ni pulite che terrorizzava tutti, compresi i
padroni dei media,ed era un’occasione da
sfruttare, anche dalle parti Cologno Mon-
zese con i tg di Mentana, ma non solo, per
disfarsi della vecchia partitocrazia, in nome
del nuovo che avanza. Ma oggi, chi è il nuo-
vo che avanza? Non il Cavaliere e neppure
Casini,figuriamoci Bersani o Montezemolo.
Il rischio di puntare sulla demagogia in tv
scatenando i furori della piazza sta nel fat-
to,già sperimentato, che chi scuote l’albero
spesso non ne raccoglie i frutti. C’è sempre
qualcuno più svelto che ti frega.
PAOLO PILLITTERI
Perché Renzi attaccaVeltroni
(
e poi gli copia il programma)
Comeandarono
leprimarieaFirenze
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GIOVEDÌ 13 SETTEMBRE 2012
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