di
STEFANO MAGNI
eri è stata una giornata di nuovi
e gravi disordini in Egitto. I ma-
nifestanti contro il presidente isla-
mico Mohammed Morsi e i suoi
sostenitori hanno indetto altre pro-
teste di massa al Cairo. L’esercito,
sinora, si è tenuto in disparte, ma
ha ricevuto da Morsi l’autorizza-
zione ad arrestare i manifestanti. Le
truppe hanno costruito solide bar-
riere attorno al palazzo presiden-
ziale. Un intervento militare può
scattare da un momento all’altro (o
essere già scattato, nel momento in
cui questo giornale va in edicola).
Ma fino a ieri, almeno, le forze ar-
mate egiziane si sono tenute ben al
di fuori dello scontro politico in at-
to. Il loro unico comunicato, che
esprime la posizione ufficiale dello
stato maggiore, si limita ad affer-
mare che “non permetteranno” al
Paese di scivolare nel caos. È noto
che l’esercito esprime posizioni lai-
che. Fino all’estate scorsa, infatti, si
temeva un vero e proprio golpe
contro il presidente islamico. Quin-
di, il “non permettere” che l’Egitto
scivoli nel caos, può anche voler di-
re: rimuovere il capo dello Stato pri-
ma che sia troppo tardi. Possibile?
Sì, ma altamente improbabile. Per-
ché l’esercito, da solo, ha le mani
legate. Senza il sostegno diretto de-
gli Stati Uniti (che lo riforniscono
di tutto il necessario) difficilmente
I
potrebbe prendere iniziative. E da
Washington sono arrivati segnali
molto chiari a favore del vincitore
delle prime libere elezioni presiden-
ziali: Mohammed Morsi.
Mentre l’esercito sta alla fine-
stra, lo scontro politico si aggrava.
È solo una minoranza che vuole ro-
vesciare Morsi. Il Fronte di Salvezza
Nazionale, che si fa portavoce del-
l’opposizione in piazza, chiede qual-
cosa di molto più modesto: revo-
care definitivamente il decreto del
22
novembre (che conferiva al pre-
sidente poteri straordinari tempo-
ranei) e rinviare il referendum sul-
l’approvazione della nuova
Costituzione. La prima condizione
è già stata parzialmente soddisfatta:
Morsi ha rinunciato a gran parte
dei poteri del decreto, anche perché,
finiti i lavori dell’Assemblea Costi-
tuente, non servivano più. Sul refe-
rendum costituzionale, invece, il
presidente sembra non voler scen-
dere a compromessi: si terrà il 15
dicembre, fra appena tre giorni.
Questo rifiuto sul rinvio della con-
sultazione popolare, su una Costi-
tuzione approvata dai soli partiti
islamici, è il vero nodo della que-
stione. Ma anche dovesse essere ri-
mandato di alcuni mesi, cosa si ri-
solverebbe? I manifestanti
anti-Morsi rappresentano una mag-
gioranza? Da decenni (non dalla ri-
voluzione contro Mubarak, né dalla
vittoria di Morsi) la società egiziana
si è gradualmente islamizzata. Un
referendum per l’approvazione della
Costituzione, largamente impron-
tata sui principi della legge coranica,
potrebbe comunque essere vinto dai
sostenitori di Morsi. Sono i numeri
a suggerirlo: basta vedere le mag-
gioranze oceaniche vinte da Fratelli
Musulmani e salafiti nelle ultime
elezioni. Le manifestazioni di questi
giorni suggeriscono, piuttosto, un
altro scenario: una minoranza (lai-
ca, cristiana, democratica, naziona-
lista, musulmana moderata) non
accetterà il nuovo ordine. L’Egitto
sarà un Paese profondamente spac-
cato al suo interno.
II
ESTERI
II
L’Egitto è ancora in rivolta
contro la costituzione islamica
Il missile coreano
non s’ha da tirare
Una nuova primavera nella Repubblica Ceca
e elezioni primarie in Europa
sono ormai una conquista del-
la democrazia. Non solo in Italia
e in Francia, ma anche nella Re-
pubblica Ceca, ove si elegge il Pre-
sidente della Repubblica al primo
turno l’11 e 12 gennaio 2013 e il
ballottaggio 14 giorni dopo, per
la prima volta con voto popolare
diretto.
I candidati eletti alle primarie
sono 9, di cui tre donne. Di queste
la più accreditata è Tána Fische-
rová, figlia di un direttore di tea-
tro deportato ad Auschwitz dai
nazisti, scrittrice, ex attrice di tea-
tro, attivista civile ed ex parlamen-
tare per il raggruppamento “Unio-
ne per la libertà”.
La Repubblica Ceca con i suoi
dieci milioni di abitanti, è uno de-
gli Stati chiave dello scacchiere
centro-orientale del gruppo di
paesi entrati nell’Unione Europea
L
nel maggio 2004, strettamente le-
gata, sul piano economico, alla
Germania, rappresenta un fattore
di stabilità o di potenziale insta-
bilità nell’Unione a seconda di chi
sarà il Capo dello Stato.
Vi sono forti segnali che la Re-
pubblica Ceca non sarà più quella
del presidente uscente Václav
Klaus, anti-europeista fino al pun-
to di minacciare il rifiuto di fir-
mare la Costituzione europea.
Il segnale che il clima politico
sta cambiando è dato dalle ultime
elezioni amministrative dell’otto-
bre 2012, nelle quali si è afferma-
to il Partito Comunista in 13 re-
gioni del paese mentre prima que-
ste regioni erano governate dal
2004
dai partiti di centrodestra, e
dal 2008 dal partito socialdemo-
cratico e dai partiti di centro.
I comunisti sono arrivati al
successo in virtù della delusione
per le mancate promesse del cen-
trodestra e per la crisi economica
che attanaglia il paese in termini
di disoccupazione, bassi salari su
base media di 900 euro, e corru-
zione dilagante.
Quali rimedi adotterà il partito
comunista ancora non si sa, anche
se non è più quello che governava
prima della caduta del muro di
Berlino nel 1989.
Ritornando alle elezioni pre-
sidenziali, è da dire che la vera
sorpresa delle primarie è stata Tá-
na Fischerová che ha ottenuto
72
mila voti, un grande successo
dovuto al movimento che rag-
gruppa giovani, donne e intellet-
tuali fondato dalla stessa nel
2008,
agli ambientalisti, alle liste
civiche e alle centinaia di comitati
di supporter, senza alcuna strut-
tura di partito, senza finanzia-
menti pubblici o sponsor privati.
Un’affermazione dovuta all’ini-
ziativa popolare ed ai comitati di
sostenitori che si sono formati sui
“
social network”, e con il passa-
parola elettronico, che si sono
tassati con versamenti fino ad un
massimo di 400 euro e con il loro
lavoro per la propaganda.
Ed ancora. Con questi comi-
tati spontanei in terra Ceca opera
un comitato di sostegno che si ri-
volge ad oltre un milione di cechi
che vivono all’estero e tifano per
la Fischerová. La responsabile di
questo comitato è Petra Janoško-
vá, esperta di relazioni comuni-
tarie e già rappresentante della
Moravia Centrale presso l’Ue, la
cui attività è instancabile: lavora
a stretto contatto con la Fische-
rová e d’intesa con la stessa porta
avanti iniziative finalizzate ad al-
largare il consenso dei cechi spar-
si in Europa.
Sostenuta da questa ampia ba-
se popolare ed in considerazione
che il voto dei cittadini cechi non
è condizionato dalle ideologie, ma
premia i valori e la personalità dei
candidati, Tána Fischerová potreb-
be essere la prima donna eletta
Presidente della Repubblica Ceca.
La Fischerová, figura indipen-
dente della politica nazionale, na-
sce con posizioni molto vicine al
leader della Rivoluzione di Vellu-
to che ha condotto alla caduta
del comunismo nel Paese, nonché
ultimo Presidente della Cecoslo-
vacchia e primo Presidente della
Repubblica Ceca, Václav Havel,
del quale viene indicata come la
vera erede.
Impegnata nel sociale, nel vo-
lontariato e nella beneficienza, eu-
ropeista convinta come lo fu pro-
prio
Havel,
rappresenta
un’anomalia del quadro attuale
animata da uno spirito di rinno-
vamento che va oltre gli schemi
sia dello schieramento socialde-
mocratico e comunista, sia del
centro cristiano-democratico o dei
conservatori.
La candidata presidente ha così
riassunto il suo pensiero ed il suo
programma: «Mi preme che ogni
persona in questo paese possa vi-
vere in un clima di fiducia reci-
proca, solidarietà e spirito creati-
vo. Ciò richiede cambiamenti
profondi nelle condizioni econo-
miche e politiche attuali. Le per-
sone creative hanno sempre vissu-
to tra noi, ma raramente hanno
avuto la possibilità di esprimersi
veramente. Ora è giunto il mo-
mento di provare a cambiare le
cose perché il cambiamento è pos-
sibile, è in ognuno di noi».
L’obiettivo politico che si prefigge
la candidata è chiaro e di fonda-
mentale importanza rispetto alla
necessità di rinnovare l’architet-
tura pubblica ceca, mai ammoder-
nata dopo l’epoca comunista.
Alcuni commentatori in patria
ed in Europa intravedono ora nel
suo possibile successo il comple-
tamento della rivoluzione che si
era aperta con la caduta del muro
ed il ritorno di Havel alla guida
del Paese.
FIORENZO GROLLINO
PETRA JANOŠKOVÁ
Tánia Fischerová sta
emergendo come la vera
erede della rivoluzione
di Vaclav Havel
Aria di rinnovamento
democratico a Praga
grazie a primarie
e social network
orea del Nord, il lancio del
nuovo missile non si fa. In
queste settimane, in Asia orientale,
non si era parlato d’altro: la nuova,
ennesima, provocazione del regime
di Pyongyang. Come ad aprile, il
lancio era stato giustificato con uno
“
scopo civile”: la messa in orbita
di un satellite per le telecomunica-
zioni. Ma nessuno ci crede fino in
fondo e all’Onu, sia gli Usa che l’Ue
(
col beneplacito della Russia) sta-
vano affilando l’arma delle sanzio-
ni. Civile o militare che sia, il lancio
di un missile a lungo raggio viola
ben due risoluzioni del Consiglio
di Sicurezza. Fonti governative della
Corea del Sud dichiarano all’agen-
zia Asia News che: «…non possia-
mo dire se sia un satellite o un mis-
sile. Certo, Pyongyang non si è mai
interessata ad altro che non siano
armamenti». Secondo fonti dell’in-
telligence giapponese, inoltre, tecnici
nucleari iraniani starebbero lavo-
rando in Corea del Nord. Sarebbe
la conferma che i due programmi,
di Teheran e Pyongyang, sono co-
ordinati. La data del lancio era pre-
vista in un periodo di tempo dal 10
al 22 dicembre. In questi dodici
giorni cadono due date importanti
per il regime nordcoreano: il 17 di-
cembre (anniversario della morte
di Kim Jong-il) e il 19 dicembre
(
elezioni in Corea del Sud). Ma, ap-
punto, il lancio subirà sicuramente
uno slittamento. Almeno fino alla
C
fine di dicembre. Le ultime foto sa-
tellitari, infatti, rilevano lavori at-
torno al poligono di Dongchang-
ri: il nuovo missile è stato rimosso
dalla sua rampa e trasferito in un
vicino impianto di assemblaggio.
Le ipotesi di questo rinvio sono al-
meno tre. La prima, più semplice,
ma meno probabile, è il meteo: ci
sono 17 gradi sotto zero nell’area
del poligono ed è previsto brutto
tempo anche per il resto della gior-
nata. Probabilmente, per evitare di
ripetere il fallimento del test dello
scorso aprile, i nordcoreani voglio-
no attendere un clima migliore. La
seconda, più probabile, è un guasto:
lo scorso aprile il lancio dello stesso
modello di missile è fallito. I mesi
trascorsi, da aprile ad oggi, non sa-
rebbero stati sufficienti a risolvere
i problemi. In questo caso, però,
aspettiamoci un’epurazione: se i
nordcoreani avevano deciso di lan-
ciare il loro missile, a tutti i costi,
a dicembre, era solo per motivi po-
litici, per rispettare la ricorrenza del
17
o intimidire i sudcoreani il 19.
Ma se non ce la fanno ugualmente,
aspettiamoci che Kim Jong-un fac-
cia saltare qualche testa. Infine, da
non escludere, c’è l’ipotesi politica:
nemmeno la Cina sta più coprendo
la Corea del Nord e le sue continue
provocazioni. È possibile che anche
Kim Jong-un abbia capito che è ora
di smettere di giocare.
(
ste. ma.)
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 12 DICEMBRE 2012
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