II
CULTURA
II
Ma perché il cinema italiano
snobba il festival di Locarno?
di
VALTER VECELLIO
ocarno. Rovescia la questione
Olivier Père, da tre anni alla
guida artistica del Festival interna-
zionale del cinema di Locarno. Non
perde nulla del suo tradizionale
aplomb britannico
old style
, ma si
indovina una punta di irritazione.
«Locarno boicotta l’Italia perché
abbiamo un solo film italiano in
concorso? Ma è esattamente l’op-
posto: si dovrebbe dire che l’Italia
boicotta Locarno. Ho visto molti
film che mi piacevano e li avrei vo-
luti, ma tutti – produttori, registi,
distributori italiani – si sono trovati
d’accordo nel rifiutarmeli. Perché?
Bisogna chiederlo a loro. Nemmeno
Matteo Garrone mi ha dato il suo
Reality
, che aveva già vinto un pre-
mio a Cannes e che volevo per
Piazza Grande».
Locarno, Svizzera italiana. È il
festival più antico, giunto alla sua
65esima edizione. Festival, certo,
per palati fini che non si fanno im-
bambolare da divi e divette come
a Cannes, e indifferenti alle ragioni
del botteghino, contiguo al Festival
di Venezia che a quanto pare cala-
mita interessi e passioni italianofo-
ne. Sarà per questo che a Locarno
si parla una babele di lingue, che
va dal francese al tedesco, dall’in-
glese allo spagnolo, e non mancano
presenze indiane, cinesi, sud ame-
ricane, africane, ma vedere qualcosa
di italiano è raro, confinato più che
altro nelle retrospettive dedicate al
bel cinema italiano che fu? È da
qualche anno che le presenze, so-
pratutto film che accettano di sot-
toporsi alle forche caudine della
giuria e di un concorso, si contano
sulle dita di una mano. E forse,
chissà, c’è anche un’indifferenza po-
litico-istituzionale? Gli ultimi mi-
nistri e sottosegretari di cui si ha il
ricordo sono Walter Veltroni, una
rapidissima toccata e fuga, omaggio
più che altro a una retrospettiva de-
dicata a Marco Bellocchio (era il
1998!) e Vittorio Sgarbi... Poi, il
nulla. Non che qui, gli abituali fre-
quentatori di quell’immensa sala
cinematografica che è la Piazza
Grande sentano la mancanza di
queste presenze, però sono un se-
gno, un segnale...
Qui, incroci una vecchia gloria
come Elsa Martinelli che parla fitto
con uno stagionato Alain Delon,
cui nessuno si sogna di chiedere
l’autografo; poco più in là c’è l’ot-
tantacinquenne Harry Belafonte, ti
L
aspetti da un momento all’altro che
si metta a cantare
Jamaica Farewell
o
Matilda
; e può capitare di trovar-
si a prendere un cappuccino al ta-
volino con Charlotte Rampling,
premiata in apertura di Festival con
un “Oscar all’eccellenza”, e sentirla
raccontare delle sue esperienze:
«Ero entrata nel cinema a 17 anni,
allora andavano di moda le ragazze
della swinging London, come Jac-
queline Bisset, Jane Birkin e me. Il
salto di qualità me lo fece fare Lu-
chino Visconti: mi aveva visto in
Georgy svegliati
e in
Sequestro di
persona
e mi volle incontrare per
la
Caduta degli dei
. Avevo 22 anni,
ma la mia parte era quella di una
madre sulla trentina. Visconti mi
disse: “Ciò che conta è quel che
passa negli occhi di un attore, non
l’età o altro”. Fu lui a farmi capire
che cos’è recitare per il cinema».
Assenza italiana a parte, Père
guarda soddisfatto l’immensa Piaz-
za Grande dove ogni sera si accal-
cano fino a seimila persone, poi in-
dica l’enorme schermo alle sulle
spalle: «E’ il più grande d’Europa,
sa?».
Già. In quella stessa piazza, pre-
sentato da una Tippi Hedren che
doveva aver stipulato un qualche
tipo di patto con il padrone del
tempo, anni fa ho visto uno dei ca-
polavori di Alfred Hitchcock: quel
The Birds
che, con l’aiuto di Evan
Hunter (uno degli pseudonimi di
Ed McBain, alias Salvatore Lombi-
no) aveva saputo ricavare dal rac-
conto di Daphne Du Maurier; e in
quelle scene dove, durante una fe-
sta, uno stormo di gabbiani attacca
i bambini, o quando una trentina
di ragazzini sono attaccati da una
frotta di corvi mentre escono da
scuola, ecco: sembrava di esserci
dentro...
Fin dalle sue origini, il Festival
di Locarno si è fatto un punto
d’onore di proporre un’immagine
di manifestazione coraggiosa, at-
tenta alle nuove correnti estetiche,
agli spostamenti geografici, alla na-
scita di nuovi cineasti.
Locarno col tempo, ha conqui-
stato una sua peculiarità, diventan-
do per undici giorni la capitale
mondiale del cinema d’autore, con
migliaia di amanti e professionisti
della settima arte che si danno ap-
puntamento per fare nuove scoper-
te e condividere una passione per
il cinema in tutte le sue poliedriche
espressioni. Un connubio perfetto
tra “dolce vita” e professionalità,
serietà e servizi di qualità. Un festi-
val a dimensione umana: l’atmo-
sfera è senz’altro diversa rispetto a
quella di altri grandi appuntamenti
internazionali legati al cinema.
Quello che viene offerto è un pro-
gramma ambizioso, un mix di espe-
rimenti cinematografici e di film più
classici, in cui si mescolano dram-
ma e commedia. Si prenda, per
esempio, la retrospettiva, quest’an-
no dedicata al grande regista Otto
Preminger, omaggio a un grande
maestro; molti dei suoi film sono
insieme grandi successi commerciali
e classici intramontabili:
The Man
with the Golden Arm
, con un gran-
de Frank Sinatra nella sua miglior
Fin dalle sue origini,
il Festival di Locarno
si è fatto un punto
d’onore di proporre
un’immagine
di manifestazione
coraggiosa, attenta
alle nuove correnti
estetiche,
alla nascita di nuovi
cineasti.
Col tempo,
ha conquistato
una sua peculiarità,
diventando per undici
giorni la capitale
mondiale del cinema
d’autore.
Qui si parla una babele
di lingue, che va
dal francese al tedesco,
dall’inglese
allo spagnolo,
e non mancano presenze
indiane, cinesi, sud
americane, africane,
ma vedere qualcosa
di italiano
è raro, confinato
più che altro
nelle retrospettive
dedicate al bel cinema
di un tempo
prova d’attore e con la musica di
Duke Ellington,
Anatomy of a
Murder
, con James Stewart, Lee
Remick e Ben Gazzara;
Exodus
,
con un eccellente Paul Newman,
Eva Marie Saint e Lee J.Cobb...
Una retrospettiva che andrebbe ac-
quistata in blocco...
Preminger: eccellente regista, ma
non di quelli che vengono in men-
te... Considerato un grande regista
in Europa, un abile produttore negli
Stati Uniti, è stato uno dei primi ci-
neasti hollywoodiani che ha saputo
guadagnarsi indipendenza dagli stu-
dios. Il suo cinema appare l’apogeo
del classicismo, figlio di un’arte
dell’equilibrio e di un genio della
composizione plastica tanto della
narrazione che sa riunire destini in-
dividuali e storia, violenza, arro-
gante scetticismo, umanesimo...
un’arte dell’invisibilità che forse ha
nuociuto al riconoscimento della
sua arte, ma è l’autore che ha sa-
puto raggiungere gradi di perfezio-
ne stilistica. Pensiamo a un film co-
me
Exodus
: scorre come un fiume
maestoso, è capace di coniugare il
tema su cui si basa la trama con la
vastità della storia che assorbe i
conflitti e i destini personali...
Unico film italiano in corncorso
Padroni di casa
di Edoardo Gab-
briellini, con un Gianni Morandi
in piena forma, un Elio Germano
e un Valerio Mastrandrea che si
confermano come tra i migliori at-
tori della nuova generazione; e tut-
tavia non ha molte chances: l’avvio
del film è promettente, intrigante
nell’ambientazione: il mondo bello
e meschino di una provincia abbar-
bicata nell’Appennino tosco-emi-
liano, il buono e il bello che non
sono nè buono nè bello, tutt’altro...
poi qualcosa si inceppa, e arrivi alla
fine con un qualcosa che manca, un
qualcosa di troppo o di troppo po-
co.
Locarno poi, quest’anno “sdo-
gana” il cinema comico di Renato
Pozzetto: da
Oh, Serafina!
di Alber-
to Lattuada, a
Sono fotogenico
di
Dino Risi e
Un amore su misura
,
dello stesso Pozzetto. L’obiettivo,
spiega Père, è quello di essere attenti
al cinema popolare italiano dove,
accanto ai grandi maestri, negli ul-
timi decenni ci sono stati tanti film
‘di genere importanti.
Già, si deve far ricorso a film e
autori del passato; magari glorioso,
ma sempre passato. E torna la do-
manda iniziale: perché il cinema ita-
liano boicotta Locarno?
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 12 AGOSTO 2012
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