II
        
        
          POLITICA
        
        
          II
        
        
          RichardNixon, un secolo dopo la sua nascita
        
        
          di
        
        
          
            MARCO RESPINTI
          
        
        
          ell’indagine promossa nella pri-
        
        
          ma metà degli anni 1950 per
        
        
          individuare e stanare le spie e gli
        
        
          agenti del comunismo sovietico den-
        
        
          tro le alte sfere del governo, e - in
        
        
          perfetta obbedienza alla strategia
        
        
          gramsciana per la presa marxista
        
        
          del potere nelle articolate società oc-
        
        
          cidentali - nei gangli della vita cul-
        
        
          turale degli Stati Uniti, fu artefice
        
        
          meno il suo protagonista indiscusso,
        
        
          il senatore Repubblicano - e catto-
        
        
          lico - del Wisconsin Joseph McCar-
        
        
          thy (1908-1957) che non l’avvocato,
        
        
          allora sconosciuto ma di belle spe-
        
        
          ranze, che si occupò d’istruire le
        
        
          pratiche e di portare i colpevoli (per-
        
        
          ché i colpevoli c’erano, a iosa, com’è
        
        
          stato documentato abbondantemen-
        
        
          te) in tribunale. Ovvero Richard Ni-
        
        
          xon, quella perfetta macchina da
        
        
          guerra burocratica che fra scartoffie,
        
        
          codici e clausole scritte proverbial-
        
        
          mente in piccolo ha sempre nuotato
        
        
          come un pesce nell’acqua, e che da
        
        
          peone di partito è cresciuto sino a
        
        
          diventare il 37° presidente federale
        
        
          degli Stati Uniti d’America. Richard
        
        
          Milhous Nixon nacque esattamente
        
        
          un secolo fa, il 9 gennaio 1913 a
        
        
          Yorba Linda, in California, nella
        
        
          contea di Orange, una delle più con-
        
        
          servatrici di quello Stato, quella che
        
        
          puntualmente ribalta la scontatezza
        
        
          liberal della Costa Occidentale. Tutti
        
        
          ricordano giustamente la sua presi-
        
        
          denza per la Guerra del Vietnam,
        
        
          per lo “scandalo Watergate”, per
        
        
          l’abbandono del riferimento aureo
        
        
          del dollaro, per i viaggi nella Cina
        
        
          comunista, per il trattato Salt per la
        
        
          limitazione delle armi strategiche,
        
        
          per il Programma Apollo, i più raf-
        
        
          finati magari persino per l’”Opera-
        
        
          zione Condor”, ma della sua “mis-
        
        
          sione pubblica” ci sono altri aspetti
        
        
          fondamentale che cerimonie e cele-
        
        
          brazioni lasciano immancabilmente
        
        
          inesplorati e che dunque merita di
        
        
          essere rievocato. Sin dal giorno della
        
        
          laurea, Nixon sognava del resto di
        
        
          lavorare, come però mai fece, nel-
        
        
          
            D
          
        
        
          l’Fbi. Durante la Seconda guerra
        
        
          mondiale si arruolò in Marina, e fu
        
        
          ufficiale: in virtù della sua fede
        
        
          quacchera, pacifista a oltranza,
        
        
          avrebbe potuto esserne facilmente
        
        
          esentato, ma scelse di fare il contra-
        
        
          rio. Andò volontario, patriota con-
        
        
          vinto. Nel dopoguerra accarezzò poi
        
        
          l’idea della carriera politica. Detto
        
        
          fatto, nel 1946 venne eletto nelle fila
        
        
          dei Repubblicani come deputato fe-
        
        
          derale a Washington in rappresen-
        
        
          tanza della California e nel 1950 fe-
        
        
          ce il bis al Senato. Va però ricordato
        
        
          che negli anni 1940 il Partito Re-
        
        
          pubblicano statunitense non era af-
        
        
          fatto quello che sarebbe divenuto a
        
        
          partire dalla campagna presidenziale
        
        
          condotta nel 1964 dal senatore con-
        
        
          servatore dell’Arizona Barry Gol-
        
        
          dwater (1909-1998). Era piuttosto
        
        
          una formazione politica che spesso
        
        
          faceva concorrenza a sinistra agli
        
        
          avversari del Partito Democratico.
        
        
          Il senatore dell’Ohio Robert A.
        
        
          Taft (1889-1953) aveva cercato di
        
        
          rompere, a destra, il ghiaccio, ma si
        
        
          era trattato di una sortita pionieri-
        
        
          stica, quasi estemporanea. Ronald
        
        
          Reagan, per esempio, all’epoca era
        
        
          ancora un Democratico: solo dopo,
        
        
          proprio negli anni di McCarthy, si
        
        
          trasformò in un Repubblicano, e in
        
        
          un Repubblicano deciso a portare
        
        
          fino in fondo la sfida lanciata da
        
        
          Goldwater dentro quello stesso par-
        
        
          tito e vissuta per decenni, forse an-
        
        
          cora oggi, come una vera e propria
        
        
          guerra civile intestina. Evidentemen-
        
        
          te, però, Nixon aveva fiutato qual-
        
        
          cosa d’importante, e non solamente
        
        
          l’aria che cominciava a tirare, tra-
        
        
          sformandosi in breve tempo nell’uo-
        
        
          mo-chiave della svolta interna Re-
        
        
          pubblicana, vale a dire in spalla
        
        
          perennemente in penombra ma co-
        
        
          stantemente imprescindibile di eroi
        
        
          del conservatorismo politico ame-
        
        
          ricano quali sono stati Goldwater
        
        
          e Reagan. Assurto alla notorietà na-
        
        
          zionale durante i processi contro le
        
        
          spie comuniste, venne dunque scelto
        
        
          per la vicepresidenza da Dwight D.
        
        
          Eisenhower (1890-1969) e con lui
        
        
          nel 1952 entrò alla Casa Bianca, re-
        
        
          standovi fino al 1960. Dopo di che,
        
        
          pensò di scendere in campo per la
        
        
          massima carica politica statunitense;
        
        
          in quel 1960, però, gli Stati Uniti
        
        
          mostrarono di non essere ancora
        
        
          pronti per un presidente Repubbli-
        
        
          cano che aveva cominciato a legare
        
        
          i propri destini a quelli dell’eletto-
        
        
          rato conservatore e gli preferirono
        
        
          John F. Kennedy (1917-1963). La
        
        
          tragica scomparsa, nel 1963, di quel
        
        
          presidente Democratico partorì
        
        
          quindi la sconfitta di Goldwater nel
        
        
          1964
        
        
          contro Lyndon B. Johnson
        
        
          (1908-1973),
        
        
          l’ex vice di Kennedy,
        
        
          ma, com’è stato bene e più volte
        
        
          detto, si trattò di una “sconfitta vit-
        
        
          toriosa”.
        
        
          La candidatura di Goldwater
        
        
          aveva infatti sancito per sempre
        
        
          quella spaccatura profonda tra i Re-
        
        
          pubblicani che da allora è sempre
        
        
          stata un elemento fondamentale di
        
        
          chiarezza, ma soprattutto aveva in-
        
        
          nescato quel vasto processo di cre-
        
        
          scita della componente conservatrice
        
        
          del partito che proprio in questi ul-
        
        
          timissimi anni è entrata nella fase,
        
        
          pur non indolore, forse conclusiva.
        
        
          Nel mezzo, punto di riferimento co-
        
        
          stante e testimonianza storica di un
        
        
          precedente vincolante, di una pos-
        
        
          sibilità fattasi storia, essa ha pro-
        
        
          dotto virtuosamente la presidenza
        
        
          Reagan dal 1980 al 1988. Ebbene,
        
        
          quel momento cruciale quanto fra-
        
        
          gile sia della trasformazione interna
        
        
          del Partito Repubblicano sia della
        
        
          maturazione anche politica del con-
        
        
          servatorismo americano non sareb-
        
        
          be mai stato possibile senza due “sì”
        
        
          decisivi: quello pronunciato da Rea-
        
        
          gan all’indomani della sconfitta di
        
        
          Goldwater disponendosi a racco-
        
        
          glierne il testimone e quello di Ni-
        
        
          xon disponendosi a fornirgli la stra-
        
        
          tegia necessaria per passare dalle
        
        
          intenzioni ai fatti. Per i tempi e i
        
        
          modi della politica, strutturalmente
        
        
          incapaci di lavorare a medio, figu-
        
        
          rarsi a lungo termine, quella di Ni-
        
        
          xon fu un’impresa davvero colos-
        
        
          sale.
        
        
          L’unica certezza, infatti, era che
        
        
          ci sarebbero voluti anni, molti; alla
        
        
          fine sarebbero stati ben 16, un’eter-
        
        
          nità, ovviamente altalenanti tra altri
        
        
          e bassi, eppure impagabili proprio
        
        
          grazie alla pervicacia e all’ostina-
        
        
          zione di Nixon. Fu infatti Nixon
        
        
          l’uomo che, dopo la sconfitta di
        
        
          Goldwater, si mise immediatamente,
        
        
          con un lavoro quotidiano da certo-
        
        
          sino, a ritessere le fila di un mondo
        
        
          che aveva dimostrato di potersi ef-
        
        
          ficacemente unire ma che a quel
        
        
          punto rischiava di sciogliersi senza
        
        
          lasciare traccia. Fu lui a ricominciare
        
        
          dai “comitati elettorali” di Goldwa-
        
        
          ter, uno a uno, uno dopo l’altro, rin-
        
        
          cuorando, promettendo, coinvol-
        
        
          gendo. Fu lui a ripercorre tutte e
        
        
          ognuna le strade di quegli Stati del
        
        
          Sud che mai avrebbero votato il
        
        
          “
        
        
          partito di Abraham Lincoln”, i Re-
        
        
          pubblicani, ma che pure si erano
        
        
          sorpresi a vedere per la prima volta
        
        
          in un “lincolniano diverso” qual era
        
        
          Goldwater una luce politica inspe-
        
        
          rata. Nixon comprese subito, prima
        
        
          di altri, l’indispensabilità del Sud:
        
        
          impiegò più di tre lustri, ma alla fine
        
        
          riuscì convincerne proprio quei con-
        
        
          servatori del Sud che con Reagan e
        
        
          attorno a Reagan cominciarono fi-
        
        
          nalmente ad abbandonare in massa
        
        
          il Partito Democratico. Nixon è sta-
        
        
          to insomma l’uomo-cerniera venuta
        
        
          nel mondo della politica americana
        
        
          al momento giusto e pure nel modo
        
        
          giusto. Aveva poco carisma, ma riu-
        
        
          scì ad ammaliare. Era bravissimo
        
        
          come passacarte, e riuscì a governa
        
        
          un Paese come gli Stati Uniti. Nel
        
        
          1968,
        
        
          allorché tentò di nuovo la Ca-
        
        
          sa Bianca (nel 1962 aveva fallito an-
        
        
          cora le elezioni per il governatorato
        
        
          della California), finalmente vinse.
        
        
          La sua “southern strategy”, com’è
        
        
          stata chiamata, funzionava, la prima
        
        
          generale lo aveva dimostrato. Nel
        
        
          1972
        
        
          accadde di nuovo, con ampio
        
        
          margine. Ora, considerare transito-
        
        
          ria la sua presidenza sarebbe da in-
        
        
          sipienti, e quindi nessuno lo può le-
        
        
          citamente fare: ma che essa costituì
        
        
          lo snodo necessario per ben più alti
        
        
          risultati lo si deve invece dire ad alta
        
        
          voce, pena la non comprensione del
        
        
          ruolo storico svolto da Nixon, uo-
        
        
          mo strano e ambiguo, enigmatico e
        
        
          contradditorio, eppure sempre coe-
        
        
          rente e fedele. Da presidente Nixon
        
        
          si trovò tra le mani la guerra spino-
        
        
          sa e controversa del Vietnam. Non
        
        
          l’aveva iniziata lui, “falco” Repub-
        
        
          blicano, ma la “colomba” Kennedy,
        
        
          cattolico e liberal, permettendo l’as-
        
        
          sassinio del presidente sudvietnami-
        
        
          ta Ngo Dinh Diem (1901-1963),
        
        
          cattolico e anticomunista, e com-
        
        
          mettendo un errore dopo l’altro. Ni-
        
        
          xon invece quella guerra la chiuse,
        
        
          un po’ male come male era iniziata,
        
        
          ma ciò forse più per colpa del cini-
        
        
          smo del suo segretario di Stato Hen-
        
        
          ry Kissinger che per demerito pro-
        
        
          prio. L’era Nixon subì l’onda lunga
        
        
          del Sessantotto e fu durante la sua
        
        
          presidenza che nel 1973 venne le-
        
        
          galizzato l’aborto americano, ma
        
        
          pochi ricordano quanto egli stesso
        
        
          abbia vissuto con angoscia quei mo-
        
        
          menti drammatici della vita nazio-
        
        
          nale. Al massimo lo ricordano in-
        
        
          vece per lo “scandalo Watergate”,
        
        
          una vera e propria macchiolina a
        
        
          confronto della malapolitica che og-
        
        
          gi trionfa anche negli Stati Uniti. Ni-
        
        
          xon si appellava costantemente a
        
        
          quella che è stata definita la “mag-
        
        
          gioranza silenziosa” degli americani,
        
        
          cioè i conservatori che sono di più
        
        
          ma che gridano di meno, ma in re-
        
        
          altà era Nixon che quella maggio-
        
        
          ranza conservatrice la ricercava
        
        
          sempre e solo silenziosamente. Ri-
        
        
          chard Nixon è morto il 22 aprile
        
        
          1994.
        
        
          Uno dei suoi ultimi gesti pub-
        
        
          blici, ricordato ancora oggi come
        
        
          un lascito impegnativo, è stato l’en-
        
        
          tusiasmarsi per la guerra dichiarata
        
        
          ai “nuovi giacobini” del mondiali-
        
        
          smo imperante da Claes G. Ryn,
        
        
          americano di origine svedese, do-
        
        
          cente di Dottrine politiche nell’Uni-
        
        
          versità Cattolica di Washington, vale
        
        
          a dire uno dei cervelli migliori del
        
        
          conservatorismo culturale statuni-
        
        
          tense contemporaneo.
        
        
          da “Italia Domani”
        
        
          
            segue dalla prima
          
        
        
          
            Un ambientalismo
          
        
        
          
            nazionale e liberale
          
        
        
          (...)
        
        
          L’ambientalismo nuovo destinato a col-
        
        
          mare il vuoto lasciato dal vecchio,in sostan-
        
        
          za, dovrebbe lanciare una proposta per usci-
        
        
          re dalla crisi ispirata ai valori ecologici
        
        
          generali ma calata concretamente sulla realtà
        
        
          nazionale e sulle sue singolari ed uniche ca-
        
        
          ratteristiche. Dovrebbe, in sintesi, farsi pro-
        
        
          motore della necessità di non insistere esclu-
        
        
          sivamente su industria e finanza ma di
        
        
          puntare anche su territorio e cultura, che
        
        
          sono gli elementi fondati dell’identità na-
        
        
          zionale italiana, per far uscire il paese dalla
        
        
          crisi. Se la metà degli aiuti e degli stanzia-
        
        
          menti che lo stato destina alle aziende de-
        
        
          cotte fossero destinate alla riconversione
        
        
          delle coste scempiate dalla speculazione sel-
        
        
          vaggia del secondo dopoguerra, alla conser-
        
        
          vazione del paesaggio e dei grandi bacini
        
        
          culturali di cui è ricca l’Italia, agli interventi
        
        
          contro i rischi idrogeologici e sismici ed, in
        
        
          generale, alla tutela dei nostri beni ambien-
        
        
          tali e culturali, si aprirebbe la strada ad un
        
        
          modello di sviluppo diverso e stabile da af-
        
        
          fiancare a quello tradizionale. Investire, per
        
        
          il pubblico e per il privato, su Pompei può
        
        
          essere più conveniente e produttivo che in-
        
        
          vestire sull’Ilva. Puntare su cultura ed am-
        
        
          biente nei grandi parchi nazionali può con-
        
        
          sentire di riassorbire la disoccupazione di
        
        
          un settore manifatturiero in difficoltà. Ma
        
        
          può nascere un ambientalismo nazionale e
        
        
          liberale se le forze politiche da cui dovrebbe
        
        
          scaturire non riescono a capire che la loro
        
        
          sopravvivenza non dipende dalla composi-
        
        
          zione delle liste ma dal recupero delle idee
        
        
          di cui queste liste dovrebbe essere l’espres-
        
        
          sione?
        
        
          
            ARTURO DIACONALE
          
        
        
          
            Pannella e le elezioni
          
        
        
          
            illegali. Come il ‘76
          
        
        
          (...)
        
        
          In pratica è la giustizia lo scopo di que-
        
        
          sta lista di scopo, e l’amnistia, pure presente
        
        
          sul logo del simbolo, è un mezzo e non un
        
        
          fine per il ripristino della legalità. Ma c’è da
        
        
          dire che sinora tutti e tre gli schieramenti in
        
        
          campo di tutto hanno parlato tranne che
        
        
          del risanamento anche costituzionale di que-
        
        
          sta infrastruttura ormai collassata. Un paese
        
        
          con la giustizia ridotta come in Italia è pa-
        
        
          ragonabile a uno stato europeo che avesse
        
        
          tutte le autostrade distrutte da una calamità,
        
        
          o le linee ferroviarie interrotte o gli aeroporti
        
        
          bombardati. Ma questo in Italia, tranne Pan-
        
        
          nella, nessuno ha il coraggio di dirlo agli
        
        
          elettori. Che invece continuano ad abboccare
        
        
          al gioco delle parti dei talk show dove i pre-
        
        
          sunti nemici, vedi il caso Santoro-Berlusconi,
        
        
          vengono in realtà messi in condizione di ac-
        
        
          crescere a buon mercato le preferenze in una
        
        
          sorta di scambio scellerato con l’audience.
        
        
          Per la cronaca “Servizio Pubblico” venerdì
        
        
          ha avuto 6 milioni e 780 mila telespettatori
        
        
          per uno share che ha quasi raggiunto il
        
        
          34%,
        
        
          roba che per una tv come La7 è pra-
        
        
          ticamente fantascienza. In compenso la Rai,
        
        
          che è teoricamente pagata con le tasse dei
        
        
          cittadini per fare il vero “servizio pubblico”
        
        
          se ne frega anche di ripristinare le tribune
        
        
          politiche nelle settimane calde di questa cam-
        
        
          pagna elettorale da incubo, se non da film
        
        
          dell’orrore. «Dopo che per cinque anni sono
        
        
          state cancellate illegalmente le tribune po-
        
        
          litiche – spiega Mario Staderini, segretario
        
        
          dei Radicali italiani - ora sono stati previsti
        
        
          prima della fase finale della campagna elet-
        
        
          torale solo due spazi sulla Rai di 7 e 10 mi-
        
        
          nuti ciascuno, e in orari di basso ascolto.
        
        
          Per tutti gli altri, naturalmente, c’è Ballarò
        
        
          and company».
        
        
          
            DIMITRI BUFFA
          
        
        
          
            Direttore Responsabile:
          
        
        
          ARTURO DIACONALE
        
        
        
          
            Condirettore:
          
        
        
          GIANPAOLO PILLITTERI
        
        
          
            Vice Direttore:
          
        
        
          ANDREA MANCIA
        
        
          
            Caposervizio:
          
        
        
          FRANCESCO BLASILLI
        
        
          
            AMICI DE L’OPINIONE soc. coop.
          
        
        
          
            Presidente
          
        
        
          ARTURO DIACONALE
        
        
          
            Vice Presidente
          
        
        
          GIANPAOLO PILLITTERI
        
        
          Impresa beneficiaria per questa testata dei contributi
        
        
          di cui alla legge n. 250/1990 e successive modifiche e integrazioni.
        
        
          IMPRESA ISCRITTA AL ROC N. 8094
        
        
          
            Sede di Roma
          
        
        
          VIA DEL CORSO 117, 00186 ROMA
        
        
          TEL 06.6954901 / FAX 06.69549024
        
        
        
          
            Amministrazione - Abbonamenti
          
        
        
          TEL 06.69549037 / 
        
        
        
          
            Ufficio Diffusione
          
        
        
          TEL 02.6570040 / FAX 02.6570279
        
        
          
            Progetto Grafico:
          
        
        
          EMILIO GIOVIO
        
        
          
            Tipografia
          
        
        
          L’OPINIONE S.P.A. - VIA DEL CORSO 117, 00186
        
        
          ROMA
        
        
          
            Concessionaria esclusiva per la pubblicità
          
        
        
          SISTECO S.P.A. - VIA DEL CORSO 117, 00186 ROMA
        
        
          TEL 06.6954901 / FAX 06.69549024
        
        
        
          
            Organo del movimento delle Libertà per le garanzie e i Diritti Civili
          
        
        
          Registrazione al Tribunale di Roma n.8/96 del 17/01/’96
        
        
          
            L’OPINIONE delle Libertà
          
        
        
          SABATO 12 GENNAIO 2013
        
        
          
            2