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ESTERI
II
L’Atlas Society e ladura lotta contro lo stato sociale
di
STEFANO MAGNI
l capitalismo e il suo sistema di
valori sono sotto processo. Non
solo da quest’ultima sconfitta dei
Repubblicani alle presidenziali sta-
tunitensi, ma dall’inizio della crisi.
Con l’intensificarsi della campagna
elettorale americana, si sono molti-
plicati gli attacchi contro il libero
mercato e la dottrina politica che lo
sostiene. In particolar modo contro
Ayn Rand (1905-1982), la filosofa
russa che è considerata, a torto o a
ragione, come la principale musa
ispiratrice dello sconfitto candidato
repubblicano alla vicepresidenza,
Paul Ryan. Dalla scorsa estate, sulla
stampa
mainstream
americana, così
come sui maggiori quotidiani italia-
ni, abbiamo letto descrizioni ben po-
co edificanti della filosofia oggetti-
vista (la dottrina di Ayn Rand),
definita, di volta in volta darwini-
smo sociale, legge della giungla,
ideologia dei ricchi contro i poveri.
Questo ritratto non corrisponde alla
reale filosofia oggettivista. Come
mai si è venuta a sovrapporre questa
vera e propria calunnia intellettuale
al vero pensiero dell’Oggettivismo?
L’Opinione
ne ha parlato con un
oggettivista vero, il professor David
Kelley, fondatore del centro studi
The Atlas Society
.
Professor Kelley, la principale accusa
all’Oggettivismo è: si tratta di una
filosofia darwinista sociale, che pre-
dica la selezione naturale nella so-
cietà e il trionfo dei ricchi sui poveri.
Lei cosa ne pensa?
Prima di tutto il darwinismo so-
I
ciale è una dottrina del XIX Secolo,
secondo cui la teoria darwinista
dell’evoluzione naturale si poteva
applicare anche alle dinamiche della
società umana. Era fondata su una
premessa collettivista: la competi-
zione nel capitalismo favorisce l’evo-
luzione della specie. Se il tuo stan-
dard di moralità è l’evoluzione di
una specie, hai una teoria che è esat-
tamente l’opposto dell’individuali-
smo promosso dall’Oggettivismo.
Ayn Rand credeva che ogni indivi-
duo fosse un fine, non un mezzo.
Che ogni individuo godesse di un
diritto inalienabile di vivere la pro-
pria vita e di interagire con gli altri
su basi strettamente volontarie. Il
capitalismo altro non è che un in-
sieme di interazioni volontarie fra
singoli.
Si dice sempre, però, che il mercato
sia come la legge della giungla: c’è
sempre qualcuno che vince a scapito
dei perdenti. Non è così?
Questa è un’altra idea distorta
dei darwinisti sociali. Essi hanno
mutuato da Darwin la stessa con-
vinzione che, all’interno di una spe-
cie e fra le specie, vi sia una compe-
tizione per la sopravvivenza. Nel
capitalismo, però, la competizione
è solo uno dei vari aspetti. E la con-
correnza nel libero mercato non è
analoga a quella fra (o dentro una)
specie. Secondo i darwinisti è in cor-
so una lotta per accaparrarsi una
quantità limitata e immutabile di ri-
sorse naturali. Non è questo il caso
del mercato: l’economia umana pro-
duce risorse e ricchezza in continua
crescita. In uno scambio abbiamo
un gioco a somma positiva: entram-
be le parti guadagnano. Chi più, chi
meno, ma ottengono entrambe
qualcosa che prima non avevano.
Non abbiamo affatto un gioco a
somma negativa, come lo intendono
i darwinisti, in cui un individuo gua-
dagna sempre a scapito di un per-
dente.
Sui nostri quotidiani si legge anche
che Ayn Rand fosse “contro” i po-
veri, perché riteneva che la loro con-
dizione di miseria fosse una loro col-
pa…
No, Ayn Rand non credeva nel-
l’eguaglianza. Gli uomini sono di-
versi nelle ambizioni, nel talento, nel
carattere. Quando gli uomini com-
petono in un libero mercato, non
possiamo avere un’eguaglianza negli
esiti: ci sarà sempre qualcuno più
ricco degli altri. Ma Ayn Rand ri-
spettava chiunque lavorasse al me-
glio delle sue capacità, indipenden-
temente dal successo ottenuto.
Onorava il successo, ma, in termini
morali e politici, credeva nell’egua-
glianza dei valori e dei diritti. Non
faceva alcuna differenza morale tra
vincitori e perdenti, bensì fra i pro-
duttori e i saccheggiatori.
Ma, in un sistema capitalista di li-
bero mercato, “i ricchi saranno sem-
pre più ricchi e i poveri sempre più
poveri”?
E’ una leggenda che non tiene
conto della realtà storica. Prendiamo
il 20% dei più poveri, oggi, negli
Stati Uniti. E paragoniamoli al 20%
dei più poveri negli Stati Uniti di
100
anni fa. Quelli di oggi vivono
infinitamente meglio, in termini di
speranza di vita, opportunità, be-
nessere materiale. Se si lascia libero
il mercato, i ricchi diventeranno
sempre più ricchi e i poveri sempre
più ricchi. Innovazioni tecnologiche
che rendono la nostra vita molto più
facile ogni anno diventano sempre
meno cari. Oggi anche l’americano
più povero può permettersi un cel-
lulare. Questa visione distorta del
“
ricco più ricco e povero più pove-
ro” è dovuta a una miopia storica:
si guarda solo al presente, alle dif-
ferenze che ci sono oggi fra ricchi e
poveri, senza alcuna prospettiva.
L’economia di libero mercato è, in-
vece, una continua evoluzione.
Altra accusa frequente: era una
“
guerrafondaia”? Una sorta di Dot-
tor Stranamore in gonnella?
Veniva dall’Unione Sovietica, da
cui era fuggita. Ed era assolutamente
consapevole della minaccia posta
dal comunismo internazionale. Ma
era filosoficamente convinta che il
male potesse vivere solo come un
parassita del bene. Che un regime
totalitario potesse sopravvivere solo
drenando risorse gentilmente con-
cesse dalle società libere. Quel che
suggeriva non era una guerra contro
l’Unione Sovietica, ma un boicot-
taggio. Smettere di aiutare un regime
totalitario, smettere di fornirgli tutto
ciò che era necessario alla sua so-
pravvivenza. Senza alcuna collabo-
razione sarebbe collassato su se stes-
so. Ed è quel che è puntualmente
avvenuto, nel 1989, sette anni dopo
la morte di Ayn Rand. Che, purtrop-
po, non ha potuto assistere alla con-
ferma della sua tesi. Detto questo,
la Rand non era assolutamente una
guerrafondaia. Credeva che il go-
verno dovesse entrare in guerra solo
quando era in gioco la vita dei suoi
cittadini. Non sottoscrisse la dottri-
na, prima democratica, poi neocon-
servatrice, secondo cui gli Usa de-
vono giocare il ruolo di “poliziotto
del mondo”, esportando all’estero
la democrazia.
Morto il comunismo sovietico, oggi
qual è, secondo lei, la principale mi-
naccia ideologica?
In Occidente, sicuramente è
l’ideologia dello stato sociale. L’idea
che lo stato debba fornire, a tutti i
suoi cittadini, non solo una rete di
sicurezza, ma anche l’educazione, la
sanità, le pensioni. Questo sistema
sta facendo bancarotta ovunque,
specialmente in Europa. E anche gli
Usa sono a rischio.
Gli uomini non sono
tutti uguali. Sono diversi
nelle ambizioni,
nel talento, nel carattere
In un libero mercato,
i ricchi diventano sempre
più ricchi e i poveri
sempre più ricchi
Gli Usa del post-voto sull’orlo dell’abisso fiscale
lla Casa Bianca e al Congres-
so, passata la sbornia della
vittoria, i Democratici tornano
alla dura realtà. Una realtà che si
chiama
fiscal cliff
,
letteralmente:
abisso fiscale. Obama è apparso
in video in lacrime. E non sono
solo lacrime di gioia. Il
fiscal cliff
è quella situazione in cui, a causa
della scadenza di leggi sul bilan-
cio ancora in vigore, il Congresso
deve per forza approvare un au-
mento di tasse e un aumento del-
la spesa pubblica. A meno che
non si raggiunga un accordo fra
le parti per rinnovare in tutto o
in parte le leggi in scadenza.
Le norme in questione sono il
Tax Relief Act
del 2010 e il
Bud-
get Control Act
del 2011. Il primo
consiste nell’estensione, per due
anni, dei tagli fiscali voluti, a suo
tempo, dall’amministrazione di
George W. Bush. I Democratici
hanno accettato questa estensione
nel nome (lo dice il nome stesso
della legge) della creazione di po-
sti di lavoro. Oltre che per attrarre
i consensi della tartassata classe
media. Il
Budget Control Act
,
vo-
luto dai Repubblicani all’indoma-
ni della loro vittoria al Congresso,
A
impone invece una serie di tagli
alla spesa pubblica (le
sequestra-
tions
)
delle agenzie governative,
predisposte per scattare automa-
ticamente nel caso il debito superi
un tetto predefinito. Se queste due
leggi dovessero scadere senza che,
in Congresso, si sia raggiunto un
accordo, gli americani si trovereb-
bero alle prese con un aumento di
tasse e con una spesa pubblica
meno controllabile. L’effetto pre-
visto dall’Ufficio Congressuale del
Bilancio, è una possibile recessione
in tutto il 2013.
Teoricamente si dovrebbe ripe-
tere la situazione di muro-contro-
muro che aveva caratterizzato il
dibattito nel 2011: i Repubblicani
non intendono rinunciare ai tagli
fiscali e vogliono la riduzione del-
la spesa pubblica, i Democratici
chiedono l’opposto. Dopo la scon-
fitta alle presidenziali, però, l’at-
teggiamento del Gop sembra es-
sere cambiato. Lo speaker della
maggioranza alla Camera, John
Boehner, ha parlato ieri di «pos-
sibile intesa bipartisan»: maggiori
introiti fiscali sarebbero ben ac-
cetti, purché siano compensati da
altri tagli alla spesa pubblica e da
una complessiva riforma del fisco.
Il leader repubblicano, per «mag-
giori introiti fiscali», però, non in-
tende un aumento delle aliquote.
Dai tempi di Reagan, il Gop si ba-
sa sulla curva di Laffer: più au-
mentano le aliquote, meno entrate
ci saranno. I Democratici, al con-
trario, vorrebbero cancellare i tagli
fiscali sui redditi più alti, aumen-
tando le tasse ai ricchi. E Obama
stesso, a meno di 24 ore dalla sua
vittoria, ha già annunciato la nuo-
va
carbon tax
.
Insomma, sulla car-
ta un’intesa è ancora lontana e
l’abisso fiscale si avvicina. È cam-
biato l’atteggiamento, appunto:
lo speaker repubblicano si dice
pronto a trattare. Ma questo può
essere un pericolo per il Gop,
perché la base è già molto delusa
dall’inclinazione al compromesso
dei suoi rappresentanti. In stati
come l’Ohio, la Virginia e il New
Hampshire, milioni di elettori re-
pubblicani non hanno votato, o
hanno dato la preferenza al più
coerente Partito Libertario, pro-
prio perché iniziano a pensare
che i Repubblicani non difenda-
no i contribuenti con sufficiente
determinazione.
ste. ma.
K
L’aula del Congresso in cui si aprirà il dibattito sulla questione fiscale
Il Congresso si ritrova
alle prese con l’aumento
forzato delle tasse
e della spesa pubblica
Il Gop non intende
rinunciare ai tagli
e vogliono la riduzione
degli sprechi pubblici
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 10 NOVEMBRE 2012
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