II
CULTURA
II
La strana guerra combattuta dai nostri giovani
di
ALESSANDRO BERTOLINI
l nostro paese sta vivendo un pe-
riodo di stranezze, per colpa del
degrado della politica e della crisi
economica. Ci stiamo avviando al-
la rottamazione della seconda re-
pubblica, che implode a causa di
un’immoralità che non si era vista
neppure nei momenti peggiori di
quella nata dalla resistenza.
Vero è che tra la seconda repub-
blica e quello che ne seguirà non
c’è uno stacco netto, come in oc-
casione di una rivolta o come ac-
cadde con la rivoluzione giudiziaria
di vent’anni fa.
Al contrario, mentre la terza re-
pubblica fa i primi vagiti nella
nur-
sery
,
la seconda è ancora viva e
giace in un hospice di fine vita.
Nella primavera del 1940 i
francesi in armi si convinsero che
la guerra in corso con la Germania
nazista fosse cosa di poco conto,
la definirono
drôle de guerre
o
guerra strana, perché da opposte
fortificazioni i due contendenti si
guardarono in cagnesco per mesi,
senza sparare neppure un colpo di
fucile. Quando c’è qualcosa di stra-
no in ballo, bisognerebbe tenere le
antenne ben alte, perché la situa-
zione potrebbe mutare e i cugini
d’oltralpe rammentano qualcosa
in proposito. La Francia capitolò
nel giugno del 1940, nonostante la
drôle de guerre
.
L’estate del 2011 ha evidenziato
un acuirsi di fenomeni sociali, mo-
tivati dalla prima grave crisi eco-
nomica del terzo millennio e inter-
pretati in modo difforme dalla
gioventù del mondo, che ancora
oggi viaggia a differenti velocità
ideali.
La Gran Bretagna visse un ago-
sto di rivolte e violenze urbane, do-
mate dal governo britannico con
pugno fermo e per questo declas-
sate, per chi ci ha creduto, a sem-
plice fenomeno teppistico.
In Norvegia un invasato fece
strage di giovani, prendendoli a fu-
cilate con serena pazzia, in nome
della tutela razziale di una società
europea, che nel mondo globale di
oggi non esiste più.
I
In tutto il nord Africa arabo nu-
merose rivolte, sostenute da un
passaparola informatico, alcune
pure cruente.In Spagna nacque il
movimento degli indignati, pole-
mici con tutta la politica iberica e
fatto da migliaia di giovani senza
lavoro o con un lavoro precario,
che poi è la stessa cosa.
I gruppi giovanili che ruotano
attorno alla Chiesa accorsero in
Spagna da tutto il mondo per la
giornata della gioventù. Sono tanti
bravi ragazzi, che vivono ancora
in casa, studiano e frequentano gli
oratori. Essi riempiono di speranze
il paese, perché rappresentano una
parte sana e educata della società.
Vivono in un mondo di sogni e
quando si sogna, se non è un incu-
bo, tutto è perfetto. La crisi econo-
mica è roba da adulti, non com-
prano i titoli di stato, le tasse non
le pagano, perché ci pensano i ge-
nitori, il lavoro arriverà al momen-
to giusto, grazie alla provvidenza.
Questi bravi ragazzi sono un
serbatoio di potenziali tensioni,
perché non hanno ancora toccato
il mondo dei call center, non sono
mai stati in coda davanti agli uffici
del lavoro interinale, non sono tra
quanti vorrebbero una casa, un
mutuo, una famiglia e vivono nella
rassegnazione più assoluta, perché
non possono permetterselo non
avendo un lavoro stabile.
Mio figlio maggiore era a Ma-
drid con altri due milioni di ragaz-
zi, si è laureato nello stesso anno,
per continuare a fare il bamboc-
cione, direbbe un personaggio da
poco scomparso, per un secondo
periodo universitario. Un giorno
sarà precario o disoccupato, quan-
do entrerà davvero nella vita reale
e forse si trasformerà da ragazzo
idealista in adulto indignato, lui
come gli altri per ora parcheggiati
nell’utopia dello spirito religioso.
Negli ultimi anni non c’è mai
stata una vera risposta politica alle
attese delle giovani generazioni.
La politica ha usato solo l’arma
delle tasse per risollevare le sorti
del paese, tanto invise ai calciatori,
senza preoccuparsi della nostra gio-
ventù. Quando poi il governo dei
politici dovette lasciare il posto ai
tecnici, che l’anno passato abbiamo
tutti osannato come ‘illuminati’, la
zuppa non è cambiata e le aspira-
zioni dei troppi precari sono cadute
nel vento, direbbe Bob Dylan.
“
Mai visto un governo di per-
sone tanto acculturate”, si coglieva
fino a pochi mesi fa nei bar o sui
mezzi pubblici. Rettori, professori,
docenti, dirigenti, insomma un ag-
glomerato di cervelli, solo esperti
nel loro campo e nessun politicante
di professione, com’è sempre acca-
duto, che in genere era collocato
in ministeri di cui neppure aveva
mai sentito parlare.
Qualche commentatore più
scaltro degli altri ha rammentato
quanto accadde trent’anni fa,
quando chi stava al governo cedet-
te la guida del paese al primo e
unico Presidente del consiglio so-
cialista. Altri tempi. Tra le motiva-
zioni ce ne fu una di politica inter-
nazionale: l’Italia avrebbe dovuto
ospitare in Sicilia, a Comiso, nuove
testate nucleari, ricordo che si era
nel periodo della guerra fredda.
Nessuno avrebbe accettato con se-
renità quella decisione politica e
allora fu deciso di dare la palla ai
socialisti, che da forza di governo
avrebbero dovuto perseguire la real
politik.
Il governo tecnico sta prenden-
do decisioni dure, quanto i missili
a Comiso, senza subire il ricatto
del giudizio elettorale. Ecco perché
qualcuno ha delegato i professori,
che non fanno politica e non
s’identificano con un partito. Stan-
no agendo secondo scienza e co-
scienza, si spera, senza fini o limi-
tazioni elettorali. Strana furbizia
della solita politica italica, verrebbe
da dire.
Il loro agire di questi mesi si è
concentrato solo sul debito pub-
blico. Altri rivendicano la necessità
di una politica per lo sviluppo, che
non si vede, ma nessuno pensa al
futuro dei nostri figli e ad antici-
pare i fermenti della gioventù. Sia-
mo tutti d’accordo sul perché si
debba mettere mano al debito, for-
se bisognerebbe dibattere sul come,
altrimenti il governo dei tecnici non
raccoglierà le speranze della gen-
te.La politica ai massimi sistemi
sembra ignorare i sani principi
dell’economia domestica, che im-
pone tagli alle spese superflue,
quando mancano soldi per arrivare
alla quarta settimana.
Io credo che i piccoli comuni,
le circoscrizioni di quartiere, le co-
munità montane, le stesse province,
tutto quanto generi amministrazio-
ni costose, improduttive e a rischio
d’insane tentazioni, dovrebbe essere
abrogato, in un paese che non usa
il tam tam per comunicare. Uno
stato moderno del terzo millennio
non ha bisogno di un frazionamen-
to amministrativo simile all’epoca
dei gladiatori, perché oggi gran
parte dei bisogni si assolvono on-
line.
La gioventù che non lavora è
sempre più indignata. Essa non è
avversa solo alla politica, è arrab-
biata anche e soprattutto con le ge-
nerazioni precedenti, con i padri,
con tutti noi, perché non siamo sta-
ti in grado di creare il giusto svi-
luppo occupazionale, ma solo de-
bito pubblico.
Da padre di un prossimo indi-
gnato, credo che questo nostro
paese dovrebbe mettere al primo
posto in agenda l’abolizione per
legge del precariato, dei lavori a
tempo determinato, quelli interi-
nali, le vane speranze e i sogni uto-
pici.
L’Italia dovrebbe riportare con-
cretezza e fiducia tra i giovani, che
sono quelli che in futuro, per ga-
rantire anche la mia pensione, ver-
seranno contributi con giuste trat-
tenute dal loro lavoro. Noi adulti
di mezza età dobbiamo offrire un
futuro alle generazioni che ci se-
guono, come in fondo hanno fatto
per noi i nostri padri.Ecco perché
io oggi sono disposto a barattare
la mia pensione di domani, allun-
gando l’età necessaria per acqui-
sirla, non per foraggiare le inutili
strutture politiche che reggono lo
stato fino alla più piccola circoscri-
zione o peggio ancora per versare
interessi su interessi del debito pub-
blico o lasciare che un batman di
provincia rubi soldi allo stato. Non
vorrei neppure fare da cassa di ri-
sparmio per chi non ha il senso di
appartenenza a una comunità ed
evade con sfacciataggine le tasse
oppure ancora per acquistare inu-
tili giocattoli da guerra. Io baratto
la mia futura pensione con posti di
lavoro a tempo indeterminato e
poco importa se siano sotto casa
o nel comune attiguo. Offro la mia
pensione in cambio della fine del
precariato giovanile, che è la vera
e unica piaga sociale di questo pe-
riodo storico.
Lo Stato dovrebbe garantire per
legge, oltre al diritto allo studio,
che alla società costa e deve essere
in ogni caso considerato un inve-
stimento, anche il conseguente di-
ritto al lavoro, la lotta alla disoc-
cupazione e l’abrogazione per legge
di ogni forma di precariato occu-
pazionale.
Questa non è utopia, è il modo
semplice per comprendere e risol-
vere i reali bisogni della società, di-
rebbe mia nonna. Anzi, la forza di
un paese si dimostra quando lo sta-
to garantisce a tutti i cittadini
uguali diritti. Il lavoro è tra questi,
se non erro è scritto pure nella no-
stra Costituzione.
Negli ultimi anni non c’è
mai stata una vera
risposta politica
alle attese delle giovani
generazioni.
La politica ha usato solo
l’arma delle tasse
per risollevare le sorti
del paese senza
preoccuparsi della nostra
gioventù. Quando poi
il governo dei politici
dovette lasciare il posto
ai tecnici la zuppa non è
cambiata e le aspirazioni
dei troppi precari sono
cadute nel vento, direbbe
Bob Dylan.
“
Mai visto un governo
di persone tanto
acculturate”, si coglieva
fino a pochi mesi fa
nei bar o sui mezzi
pubblici. Rettori,
professori, docenti,
dirigenti, insomma
un agglomerato
di cervelli, solo esperti
nel loro campo e nessun
politicante
di professione, com’è
sempre accaduto,
che in genere era
collocato in ministeri
di cui neppure aveva
mai sentito parlare
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 8 NOVEMBRE 2012
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