II
ECONOMIA
II
di
FEDERICO PUNZI
A fronte di un calo del Pil, cioè
della ricchezza prodotta nel nostro
paese, del 2,4% nel 2012, il gover-
no si ritrova nei primi nove mesi
dell’anno (gennaio-settembre) un
aumento delle entrate tributarie
del 3,8%. Siamo in recessione ma
lo stato ci guadagna. Com’è pos-
sibile? Verrebbe da pensare al mi-
racolo della moltiplicazione dei
pani e dei pesci, invece si tratta di
un corposo trasferimento, non tan-
to di ricchezza – perché di nuova
non ne è stata creata – ma di ri-
sparmi dai cittadini allo Stato, una
sorta di prelievo bancomat dai no-
stri conti corrente. Un dato che dà
la misura dei sacrifici sopportati
dagli italiani per chiudere i buchi
di bilancio causati dalle politiche
dissennate dei governi che si sono
susseguiti.
L’extra-gettito si deve non al-
l’aumento delle entrate da imposte
sui redditi di impresa o personali,
che sono lievemente in calo, risen-
tendo maggiormente della crisi, ma
alle imposte patrimoniali introdot-
te sia dal governo Berlusconi-Tre-
monti che da Monti: la prima rata
dell’Imu e le nuove tasse su inte-
ressi e altri redditi da capitale. Ad
essere colpito, dunque, è il nostro
risparmio, cioè una ricchezza pas-
sata che già era stata abbondante-
mente tassata nel momento della
sua creazione. Ma aumentano an-
che le ritenute dei dipendenti pub-
blici (+0,6%) e privati (+1,4%), il
che vuol dire, al netto della disoc-
cupazione, che la stangata fiscale
si è abbattuta pesantemente anche
sull’Irpef, mentre la flessione del
gettito Iva (-1,4%), nonostante
l’aumento di un punto percentuale
delle aliquote, dimostra l’impatto
profondamente recessivo delle po-
litiche attuate.
Sarà interessante vedere che
percentuale raggiungerà l’aumento
delle entrate a fine anno, quando
arriverà il gettito della seconda ra-
ta dell’Imu, rispetto alla percen-
tuale di diminuzione della spesa
pubblica. Vedremo, allora, in che
misura stato e cittadini avranno
contribuito al risanamento.
I partiti di maggioranza, nel
frattempo, hanno chiesto e otte-
nuto di rinunciare al mini-taglio
delle aliquote Irpef inizialmente
previsto dal governo nella legge di
stabilità. Le risorse così liberate
serviranno innanzitutto a limitare
all’aliquota ordinaria l’aumento
di un punto dell’Iva (dal 21 al
22%),
risparmiando quella agevo-
lata (al 10%), e a salvare dai tagli
detrazioni e deduzioni fiscali. Re-
sterebbe un “tesoretto” di 6,7 mi-
liardi che nelle intenzioni dei rela-
tori di Pd e Pdl dovrebbe essere
utilizzato per ridurre il cuneo fi-
scale. Solo che la portata di questo
benefico intervento è ancora poco
chiara e rischia di rivelarsi un flop.
Innanzitutto, perché i risparmi del-
la mancata riduzione dell’Irpef sa-
ranno piuttosto scarsi nel 2013
(1,1
miliardi), e solo dal 2014-
2015
più corposi (3,1 e 2,5 miliar-
di). E poi perché le «inutili catti-
verie» che i relatori si propongono
di cancellare dal testo sono molte.
Quei soldi dovranno servire anche
ad aumentare la spesa sociale (200
milioni), esentare dalle tasse coo-
perative sociali e pensioni di guer-
ra, evitare i tagli alla scuola, allen-
tare i vincoli di bilancio dei Co-
muni, limitare i tagli al comparto
sicurezza, allargare la platea degli
“
esodati” salvaguardati. Che sia
«
meglio tagliare il cuneo fiscale
piuttosto che ridurre l’Irpef», come
si sente ripetere, non c’è dubbio,
ma dopo gli interventi citati quanti
soldi rimarranno?
Le risorse per una sensibile ri-
duzione del costo del lavoro po-
trebbero arrivare da altre voci di
spesa. Peccato che siano chiusi da
mesi nei cassetti dei ministeri sia
il rapporto Ceriani sulla revisione
organica delle agevolazioni fiscali
(700
voci censite per oltre 250 mi-
liardi, di cui solo 80 non aggredi-
bili), sia il rapporto Giavazzi, se-
condo il quale sarebbe possibile
ridurre da subito il cuneo fiscale
di 10 miliardi tagliando i sussidi
pubblici alle imprese.
Il colmo è che un’operazione
simile a quella proposta mesi fa da
Giavazzi, per ora rimasta sulla car-
ta, la sta per attuare la Francia di
Hollande. Nel «rapporto choc»
sulla competitività delle imprese
francesi commissionato a Louis
Gallois, ex ad di Eads e Sncf, si
chiede al governo di alleggerire di
20
miliardi i contributi sociali a
carico delle imprese e di 10 quelli
sui lavoratori entro uno o due an-
ni, per un totale di 30 miliardi.
Dopo solo 24 ore dalla presenta-
zione del rapporto, Parigi ha già
annunciato un piano di sgravi per
20
miliardi in tre anni (10 nel
2013
e 5 nel 2014-2015). Il che,
secondo il primo ministro Ayrault,
corrisponderebbe ad un taglio del
6%
del costo del lavoro, fra i più
alti in Europa e tra i principali fre-
ni alla competitività delle imprese.
La riduzione del cuneo sarà finan-
ziata da tagli alla spesa pubblica
per ulteriori 10 miliardi a partire
dal 2014 e da un leggero aumento
dell’Iva: dal 19,6 al 20% l’aliquota
ordinaria, dal 7 al 10% quella ri-
dotta, di cui beneficiano soprattut-
to i ristoranti, mentre quella sui
prodotti alimentari scenderà dal
5,5
al 5%. Dunque, a luglio il go-
verno francese ha commissionato
il rapporto e dopo un solo giorno
dalla sua presentazione è già pron-
to ad agire mettendo in pratica, al-
meno parzialmente, i suggerimen-
ti.
Siamo in recessione
ma lo Stato ci guadagna.
Com’è possibile? Non è
di certo un miracolo,
ma il risultato finale
di un corposo
trasferimento di risparmi
dai cittadini allo stato
Sarà interessante vedere
che percentuale
raggiungerà l’aumento
delle entrate a fine anno,
con la seconda rata
dell’Imu, rispetto
alla diminuzione
della spesa pubblica
segue dalla prima
Ai moderati ora
servono nuove idee
(...)
superamento dell’attuale fase politica.
Non basta un programma di riforme eco-
nomiche come quello ricco e condivisibile
di “Fermare il declino”. È necessario qual-
cosa (o molto) di più. Perché la crisi non è
solo economica ma anche e soprattutto mo-
rale ed istituzionale. E solo prospettando
al paese un percorso concreto da seguire
per risalire dall’abisso di immoralità attra-
verso una grande e rivoluzionaria riforma
delle istituzioni, potrà essere possibile strap-
pare i voti all’astensione al lla protesta ste-
rile. Ci vuole, in sostanza, la visione di una
nuova Italia. E l’indicazione delle idee di
fondo su cui procedere alla ricostruzione
dalle macerie del paese.
I vecchi ed i nuovi centristi, fino a questo
momento, non hanno espresso neppure
mezza di queste idee. Ma se vogliono dare
effettivamente corpo al Monti bis debbono
necessariamente indicare quale Italia do-
vrebbe essere preparata dall’azione del go-
verno dei tecnici. Se fosse quella di sempre
nessun voto potrebbe essere mai strappato
all’astensione o a Grillo!
ARTURO DIACONALE
Non siamo mica
gli americani...
(...)
pretenda di sottrargli la gran parte delle
ricchezze conquistate a prezzo di uno sforzo
immane per ridistribuirle a chi non è stato
abbastanza bravo, abbastanza determinato
o anche solo abbastanza diligente da fare
la propria parte per conto proprio.
Secondo l’ottica italiana, chi perde, perde
solo perché è sfortunato, perché l’arbitro
della contesa era parziale o perché l’avver-
sario ha giocato sporco. Chi vince, di con-
seguenza, ha sicuramente truccato le carte
per sopravanzare tutti gli altri. Non ci passa
nemmeno per l’anticamera del cervello che
laggiù nella “terra delle opportunità”, dove
a tutti bene o male viene data l’occasione
di dimostrare ciò di cui sono capaci, questi
parametri non abbiano senso. Per questo
un manager in grado di far guadagnare mi-
lioni di dollari alla sua azienda e a tutti i
suoi azionisti sarà sempre guardato quan-
tomeno con un certo sospetto, mentre un
prodigo benefattore avrà sempre la massi-
ma comprensione, nonostante faccia la ca-
rità coi soldi altrui.
L’iconografia del cowboy solitario che a
Romney calza a pennello ci piace solo se è
su celluloide, e possibilmente declinata in
uno
Spaghetti Western
.
Eppure, al di là di
ogni facile luogo comune, è proprio quella
che descrive l’America meglio di ogni altra.
Ma a noi italiani che sognamo l’America
dal momento in cui veniamo al mondo,
l’America vera non piace. Perché guardan-
dola attraverso le lenti annebbiate da una
patina di socialismo salottiero non la capi-
remo mai fino in fondo. Preferiamo l’illu-
sione di uno stato che risolve sempre tutti
i nostri problemi, senza renderci conto che
la sua onnipresenza non fa altro che crear-
ne di nuovi. Preferiamo la vulgata secondo
la quale il merito, la capacità e l’ambizione
non sono pregi, bensì inaccettabili insulti
a quella mediocrità cui tutti dovremmo
aspirare per non scontentare mai nessuno.
Preferiamo persino l’endorsement della
popstar, dell’attore e dell’intellettuale mul-
timilionario che pur non avendo mai lavo-
rato nemmeno un solo giorno in tutta la
loro ovattata esistenza non perdono occa-
sione per indottrinarci su quanto sia bello
e giusto pagare più tasse.
Anche per questo, sognando eterna-
mente Obama, ci condanniamo regolar-
mente a votare in casa nostra delle brutte
copie sbiadite.
LUCA PAUTASSO
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MERCOLEDÌ 7 NOVEMBRE 2012
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