II
CULTURA
II
Il Novecento raccontato dalle parole di Abate
di
GIUSEPPE TALARICO
i sono dei libri che hanno il po-
tere e la forza di suscitare nel-
l’animo del lettore, grazie allo stile
letterario denso di immagini poeti-
che, pensieri e riflessioni, sicchè ri-
mangono per sempre custoditi nella
memoria personale dei lettori. Ap-
partiene a questa categoria di opere
letterarie l’ultimo romanzo di Car-
mine Abate,
La Collina Del Vento
edizioni Mondadori, con il quale lo
scrittore di origine calabrese, che vi-
ve in Trentino, si è aggiudicato il
prestigioso premio letterario Cam-
piello di questo anno. Recensendo
questo libro, uno studioso di lette-
ratura come Giulio Ferroni ha os-
servato che si tratta di una opera
ambiziosa, poiché nella narrazione
sono incastonati e evocati con gran-
de bravura e scrupolo storiografico
gli episodi e gli eventi che hanno
scandito e accompagnato lo svilup-
po di un secolo di storia: il Nove-
cento. Per questo motivo il libro,
uno dei maggiori pubblicati questo
anno in Italia, ha evidenti somiglian-
ze con altre recenti opere letterarie,
come
Canale Mussolin
i di Antonio
Pennacchi e
Le Due Chiese
di Se-
bastiano Vassalli. Il nucleo della nar-
razione nel libro di Abate è rappre-
sentato dalle vicende esistenziali
della famiglia Arcuri, che abita e vi-
ve in un paese immaginario in Ca-
labria, il cui nome è Spillace, situato
tra Cirò Marina ed il mare Ionio.
Nella prima parte del romanzo Ar-
turo da bambino, figlio di Alberto
Arcuri, assiste ad un delitto che vie-
ne commesso sulla colina del Ros-
sarco, chiamata così perché ricoper-
ta dai fiori rossi di Sulla. La collina,
che si trova esposta dinanzi al mare
Ionio e per i suoi fiori e profumi
sembra un luogo paradisiaco, è di
proprietà della famiglia Arcuri, con-
tadini e grandi lavoratori, che dalla
terra sanno trarre ciò di cui hanno
bisogno per vivere. Proprio, durante
il periodo che precede l’inizio della
prima guerra mondiale, compare
sulla collina del Rossarco il grande
Archeologo Paolo Orsi, impegnato
a ricercare le antiche vestigia della
città di Krimisa e del tempio di
Apollo Aleo, che secondo lo storico
Strabone venne fondata nella magna
Grecia da Filottete, in fuga dalla
guerra di Troia, vicenda raccontata
da Sofocle nella sua tragedia. In
questa parte del romanzo l’inven-
zione letteraria si mischia con fatti
storici realmente accaduti, visto che
l’archeologo Paolo Orsi fece degli
scavi negli anni Venti in questa parte
della Calabria. Dei tre figli di Alber-
to Arcuri, mandati a combattere nel-
la prima guerra mondiale, soltanto
Arturo riuscirà a ritornare nel suo
paese. Nel libro viene mostrato il le-
game profondo che unisce in un
vincolo indistruttibile ed eterno le
diverse generazioni degli Arcuri con
la collina del Rossarco, che simbo-
leggia le radici ancestrali della cul-
tura contadina. Arturo, durante il
fascismo, si oppone alla volontà di
Don Lino, il barone e latifondista
divenuto podestà di Spillace, che de-
sidera divenire proprietario della
collina considerata una terra fertile
e generosa. Per questo, accusato di
essere un oppositore del regime fa-
scista, viene condannato a cinque
anni di confino da scontare sull’isola
di Ventotene. Durante la seconda
guerra mondiale, per avere dato ed
V
offerto rifugio ad un pilota inglese,
precipitato vicino alla collina del
Rossarco, Arturo, dopo che il pilota
è stato impiccato, sparisce nel nulla.
Nel secondo dopo guerra, la collina
del Rossarco diventerà oggetto del
desiderio degli uomini e degli affa-
risti impegnati nella speculazione
edilizia, sicchè i discendenti della fa-
miglia Arcuri dovranno difenderla
e impedirne la devastazione. Ovvia-
mente questa vicenda nel romanzo
assume un significato simbolico,
poiché indica le devastazioni che il
territorio ed il paesaggio in Calabria
hanno subito, a causa della presenza
della criminalità mafiosa e della
‘
ndrangata. Michelangelo Arcuri,
divenuto insegnante, l’unico nella
sua famiglia di contadini ad avere
studiato, dopo la scomparsa del pa-
dre, sposa una archeologa torinese,
impegnata a proseguire le ricerche
sulle tracce della città di Krimisi sot-
to la guida del grande meridionalista
Umberto Zanotti Binco. Proprio nel
libro, nella parte in cui è raccontato
il secondo dopo guerra e la nascita
della repubblica, viene chiarito il
pensiero di questo grande meridio-
nalista, per il quale lo scopo delle
ricerche archeologiche era quello di
saldare il passato remoto al presen-
te, per svelare al mondo ed ai cala-
bresi ignari la grandezza di una terra
aspra e sfortunata, conosciuta sol-
tanto per la sua arretratezza, pover-
tà e la violenza mafiosa. Belle ed in-
tense sono le pagine che raccontano
la lotta del contadini, nel secondo
dopo guerra, contro il latifondo e
per avere il diritto a coltivare la ter-
ra, di cui erano proprietari, prima
della riforma agraria, i grande lati-
fondisti calabresi. La sorella di Mi-
chelangelo Arcuri, Ninnabella do-
tata di un grande talento per la
pittura, e che si era innamorata del
pilota inglese durante la seconda
guerra mondiale, prima che fosse
ucciso, abbandonerà Spillace per an-
dare a vivere e a dipingere a Londra.
Nella parte finale del libro, la cui
voce narrante è quella di Rino, l’ul-
timo discendente della famiglia Ar-
curi, non soltanto verrà svelato il
segreto legato al delitto avvenuto
sulla collina ai primi del novecento,
ma viene mostrato in modo impres-
sionante in che modo la modernità
ha modificato e distrutto per sempre
la millenaria cultura contadina, che
si era stratificata e depositata lungo
il corso dei secoli. Questo romanzo
racconta le vicende di un secolo di
storia attraverso le generazioni di
una famiglia di contadini calabresi,
considerate e rappresentate da un
prospettiva legata ad un microco-
smo, il piccolo paese immaginario
di Spillace, e riesce a disseminare
nella narrazione in modo sorpren-
dente le tematiche della migliore cul-
tura meridionalistica, oggi agoniz-
zante e in preda ad una afasia
imperdonabile, vista la gravità della
situazione che vi è in tutto il sud Ita-
lia e non solo in Calabria. Il lettore
difficilmente dimenticherà la bravu-
ra letteraria con cui Carmine Abate,
che osserva la Calabria da una po-
sizione di distacco, visto che vive in
Trentino da molto tempo, restituisce
sulla pagina la bellezza inebriante
dei profumi e la magnificenza del
paesaggio di un luogo, il Rossarco,
sospeso tra il mare e la collina, inon-
dato e attraversato da una luce di-
vina e dai colori indimenticabili. Un
libro notevole e molto bello.
Questo romanzo
racconta le vicende
di un secolo di storia
attraverso
le generazioni
di una famiglia
di contadini calabresi
considerate
e rappresentate
da un prospettiva
legata al microcosmo
di un piccolo paese
immaginario Spillace,
e riesce a disseminare
nella narrazione
le tematiche
della migliore cultura
meridionalistica,
oggi agonizzante
vista la gravità
della situazione
che vi è in tutto
il sud Italia
e non solo in Calabria.
Il lettore difficilmente
dimenticherà
la bravura letteraria
con cui Abate osserva
la punta dello stivale
da una posizione
di distacco,
visto che vive
inTrentino
da molto tempo,
e di come restituisce
sulla pagina
la bellezza dei profumi
e la magnificenza
del paesaggio di un
luogo, il Rossarco,
sospeso tra il mare
e la collina
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 7 OTTOBRE 2012
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