Page 3 - Opinione del 7-10-2012

II
POLITICA
II
Appello per il riscattomorale di una nazione
di
ALESSANDRO DE ROSSI
l punto in cui siamo arrivati tra
scandali, ruberie e deficit de-
mocratico, con relativo e obbligato
commissariamento della politica,
forse, qualche anno fa non lo
avremmo immaginato. Tra gli anni
Settanta e Ottanta (e oltre), quando
a pieno regime funzionava la ster-
minata miriade delle società pubbli-
che scientificamente create e con-
trollate dal Tesoro, dalle
Partecipazioni statali, dalla Cassa
del mezzogiorno, dall’Iri-Italstat e
tante altre parapubbliche emanazio-
ni, non mi sembra che le cose an-
dassero tanto meglio quanto a cor-
rettezza e onestà di singoli uomini
politici che queste istituzioni gover-
navano. È un fatto che imprese
grandi e meno grandi, assistite a pa-
gamento dalla cinghia di trasmis-
sione del sindacato (meglio nota al
tempo come Trimurti), ieri come og-
gi, facevano anticamera negli uffici
dei vari capigabinetto di sottosegre-
tari e ministri, sindaci e assessori per
essere invitati a gare pubbliche da
esperire rigorosamente a trattativa
privata, con modalità a dir poco ar-
bitrarie se non addirittura quando
apertamente illegali. Proponendo
nell’offerta, per vincere, il più con-
veniente “rialzo” a base d’asta da
spartire dopo con coloro che gra-
ziosamente avevano ammaestrato
la gara. In quegli anni la perfetta
meccanica messa a punto con stra-
ordinaria efficienza e puntuale scien-
tificità tra politica affaristica, sinda-
cato connivente, rete imprenditoriale
e burocrazia asservita, era così ben
congegnata che gli enti pubblici con
capacità di spesa sembravano essere
stati creati appositamente per faci-
litare non la produttività e il legit-
timo utile delle imprese, ma per ga-
rantire la massima libertà al
consolidato sistema di corruzione e
di auto alimentazione di (quasi) tutti
partiti del cosiddetto arco costitu-
zionale. Non per caso quelli furono
gli anni in cui istituzionalmente le
figure del controllato e del control-
lore vennero sempre più fatte coin-
cidere in tutti i settori della pubblica
amministrazione. Con il tacito as-
A
senso di alcuni Ordini professionali.
Erano anni, quelli, in cui chi voleva
entrare nel sistema pubblico degli
appalti, degli incarichi e delle con-
sulenze professionali non aveva scel-
ta. O trovava lo “sponsor” politico,
o si riferiva ad un sindacato, o a
qualche loggia più o meno coperta,
o si raccomandava al monsignore
di turno che avrebbe fatto quanto
in suo potere, talvolta anche a titolo
gratuito. Quella era l’epoca in cui
anche gli scandali cosiddetti di co-
stume (sessuale) avvenivano con la
stessa regolare puntualità con la
quale si scoprivano, per poi essere
subito ricoperti per rispetto della co-
mune decenza e delle “istituzioni”;
come peraltro i vizietti di droga, in
seguito ammessi con pubbliche di-
chiarazioni anche in parlamento, da
insospettabili e compunti personaggi
politici. Anni in cui era vano pensare
di vincere qualche concorso o ap-
palto pubblico senza una spintarella,
una raccomandazione, una presta-
zione hard, senza una mazzetta.
Nella morale comune dell’epoca
quello che comunque stupiva era la
pubblica condanna e la privata as-
soluzione anche da parte di chi non
era “addetto ai lavori”. Le tangenti
date ai singoli uomini politici (im-
propriamente chiamato finanzia-
mento ai partiti) era allora così ben
strutturato che spesso venivano sol-
lecitate creazioni di società ad hoc
per destinare quote di proprietà a
coloro che poi in un altro momento
avrebbero erogato fondi pubblici
per finanziare quelle stesse società
di cui erano soci. Tutto ciò era noto
a tutti. Chi fosse stato solo per un
attimo vicino a questo mondo
avrebbe potuto sapere, conoscere e
capire. Anche la magistratura tal-
volta vedeva, guardando spesso da
un lato e poco dall’altro. Borse piene
di denari viaggiavano alla velocità
della luce in un tripudio di corru-
zione diffusa, di cene, champagne e
regali. Tanti regali. Volevi la licenza
edilizia per costruire una palazzina
o per realizzare un intero quartiere?
Non c’era problema. Si conosceva
la tariffa per metro cubo destinata
all’assessore o al suo portaborse o,
in percentuale, all’impiegato delle
tasse che archiviava la pratica di ac-
certamento e tutto filava come l’olio.
Questo costume a tutti andava bene,
tanto da essere stato codificato con
l’orribile espressione: “dazione am-
bientale” da un noto magistrato che
poi ha fatto una fulminea carriera
politica, forse per migliorare il siste-
ma. In fondo anche questa era, co-
me si diceva al tempo tra la gente
comune, tra concussi e concussori,
una economia parallela ancorchè in
nero. Era comunque una economia
che, sommata a quella della mafia,
della ‘ndrangheta, della camorra e
della sacra corona unita faceva gi-
rare gli affari. Si diceva. Quando ci
fu un timido tentativo di moraliz-
zare il sistema, ricordo che un sin-
dacalista esperto in queste pratiche
mi disse cinicamente che, per la nota
legge di mercato, a fronte di un au-
mento del rischio sarebbero aumen-
tate le “tariffe”.
La differenza oggi qual’è? L’ar-
chitettura di base in sostanza è ri-
masta la stessa, c’è solo l’aggiunta
di una maggiore, insopportabile ar-
roganza da parte di chi crede di ave-
re acquisito, grazie al voto dei cit-
tadini, il diritto a rubare e concutere.
Ma l’Italia del Duemila non è più
la stessa di quegli anni. In quel tem-
po esisteva in più la leva della poli-
tica monetaria che consentiva allo
stato italiano quando era necessario
di svalutare la lira con cifre a due
decimali. Oggi qualcuno, incom-
prensibilmente, lamenta che questo
non è più possibile. E la nazione
schiacciata dall’euro e dalla politica
degli irresponsabili si trova a un pas-
so dal fallimento. Ancor di più per-
ché è venuta meno la sua più grande
risorsa creatasi dopo la seconda
guerra mondiale. Quella che con-
sentiva all’Italia, prima del fatidico
1989,
l’anno della caduta del muro
di Berlino, di vivere di una rendita
di posizione geopolitica di non mar-
ginale importanza. Oggi la sua col-
locazione geografica non è più con-
siderata strategica come lo era al
tempo dell’Unione Sovietica. L’ita-
lietta degli Andreotti, dei Saragat,
dei Rumor e dei tanti altri che in
quegli anni ci hanno governato
quando c’era il pericolo comunista,
non aveva l’imperativo dell’equili-
brio di bilancio, per di più imposto
dalla Bce. Prima del fatidico ’89 era
sufficiente bussare alle casse del-
l’America e il problema era risolto.
L’Italia, allora, aveva la forza della
sua debolezza. Eravamo una peni-
soletta in mezzo al Mediterraneo,
ma, a differenza di oggi, confinava-
mo con la Yugoslavia, con i carri ar-
mati sempre con i motori accesi. Te-
nevamo anche noi le basi militari
sul nostro territorio e per questo do-
vevamo essere adeguatamente ri-
compensati e comunque protetti.
Anche economicamente. Nella stra-
tegia politica internazionale l’im-
portante era far valere il nostro ruo-
lo di stato-confine: limes
dell’Occidente, del mondo libero e
della democrazia. E, un po’ svalu-
tando la lira, un po’ con qualche
aiuto americano (e anche sovietico)
alle nostre aziende, nonostante la
corruzione e il famelico quanto in-
saziabile appetito dei politici e dello
stato sciupone, riuscivano a soprav-
vivere. Senza chiedere troppi sacrifici
al popolo bue imponendogli, come
dopo l’Ottantanove è avvenuto, ma-
novre e manovrine per salvare l’Ita-
lia dalla bancarotta. Il Paese, però,
nonostante gli aiuti che gli proveni-
vano dall’estero, senza rendersene
conto s’impoveriva lo stesso nelle
sue strutture produttive, nella sua
tenuta imprenditoriale che perdeva
giorno dopo giorno la capacità del
confronto, della sfida e della con-
correnza.
Questa sistematica incapacità al
confronto, alla selezione e perciò al
merito, indottaci da un falso modo
di intendere democrazia, uguaglian-
za e solidarietà ci è costata forse il
prezzo più alto: il rinunciare nei fatti
alla politica, cioè alla scelta. Gli ita-
liani hanno via via imparato a ri-
nunciare a estromettere dalla poli-
tica i peggiori, gli analfabeti e i
corrotti. Viceversa hanno progres-
sivamente imparato ad accettare
sempre più la menzogna, il deterio-
ramento etico, la degenerazione e il
pubblico malaffare. Il popolo ha
passivamente accettato che l’inqui-
namento del sistema progredisse
senza capire che tutto ciò prima o
poi si sarebbe ritorto contro di lui,
contro i suoi figli, contro il futuro
dell’Italia. Oggi siamo giunti ad ac-
cettare che la politica sia fatta tacere
da un commissario autoritativamen-
te nominato Capo del governo di
salute pubblica. Una sorta di Gran
maestro revisore dei conti che, im-
ponendo agli italiani rigide regole
provenienti dall’esterno della auto-
noma sovranità nazionale, a buon
ragione, ha eclissato la politica dal
suo ruolo di guida democratica, svi-
lendo la funzione parlamentare ad
un rito consunto e incredibile. Triste
è l’ammettere che questa rovina pri-
ma di essere economica è fallimento
morale dell’intera nazione. Riscat-
tiamoci da questo decadimento, ri-
scopriamo anche singolarmente in
noi stessi quei valori che hanno fatto
grande l’Italia di un tempo. Non
perdiamo la nostra dignità e il fu-
turo dei nostri figli svendendoci di
nuovo all’imbonitore di turno, che
alle prossime elezioni ci prometterà
il “meglio-di-tutto”, dandogli il voto.
Non scegliamo chi sappiamo non
meriti di governarci. Vadano a casa
e non osino ripresentarsi al popolo
italiano coloro che hanno portato
l’Italia a questo punto.
Triste è l’ammettere
che questa rovina prima
di essere economica
è fallimento morale
dell’intera nazione.
Riscattiamoci
da questo decadimento,
riscopriamo anche
singolarmente in noi
stessi quei valori
che hanno fatto grande
l’Italia di un tempo.
Non perdiamo la nostra
dignità e il futuro
dei nostri figli
svendendoci di nuovo
all’imbonitore di turno,
che alle prossime elezioni
ci prometterà
il “meglio-di-tutto”,
dandogli il voto.
Non scegliamo
chi sappiamo non meriti
di governarci.Vadano
a casa e non osino
ripresentarsi al popolo
italiano coloro
che hanno portato
l’Italia a questo punto
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 7 OTTOBRE 2012
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