n governo Monti bis cor-
risponde alle esigenze di
stabilità del Paese e anche dell’Eu-
ropa», la frase del segretario Cisl
Raffaele Bonanni è condivisa da
Gianfranco Fini, Pierferdinando
Casini, Francesco Rutelli, Matteo
Renzi e velatamente da gran parte
di Pd e Pdl. Ma allora perché Pier-
luigi Bersani si propone premier,
rompendo quel patto trasversale
agli schieramenti e tanto gradito ai
poteri forti? Nei palazzi serpeggia
una verità tanto ovvia: e cioè che
il Pd appoggerebbe senza problema
alcuno un Monti bis, ma a patto
che tutti collaborino a mandare
Massimo D’Alema al Quirinale.
Una condizione che attende la qua-
dra tra le forze politiche. Gianfran-
co Fini insiste per il Monti-bis, e
auspica che il voto di aprile con-
senta al presidente della Repubblica
di “affidare l’incarico a Mario
Monti”. Per il presidente della Ca-
mera i punti di forza del premier
tecnico continuerebbero ad essere
«
la credibilità internazionale, ma
anche l’aver assunto decisioni con-
crete, non demagogiche, senza voli
pindarici, e anche impopolari». I
beninformati ammettono che la
presidenza della Repubblica a
D’Alema sarebbe gradita anche a
Fini, Casini e Vendola. Sull’argo-
mento Alfano (segretario Pd) non
avrebbe ancora trovato il coraggio
necessario per esprimersi. Ma è fin
troppo evidente che il “salotto buo-
no” gradirebbe importanti mano-
vre di palazzo, reputando equo il
prezzo da pagare al Pd: un Monti
Bis val bene un D’Alema al Quiri-
nale.
A questo patto tra i volenterosi
salvatori dell’Italia starebbe lavo-
rando da mesi Benedetto Della Ve-
dova (capogruppo di Fli alla Ca-
mera): «Nella vita di un paese
contano anche i fatti. Chi è stato
«
U
protagonista del passaggio da Ber-
lusconi a Monti e ha sostenuto sen-
za remore gli sforzi riformatori del
governo ha pieno titolo per chie-
dere agli elettori di proseguire nel
proprio impegno», scrive Della Ve-
dova su
Italiani quotidiano
(
organo
dei Mille per l’Italia). «La sfida dei
prossimi mesi - aggiunge Della Ve-
dova - sarà quella di unire le ener-
gie della già-politica e della non-
ancora-politica su obiettivi comuni,
per costruire un’alternativa all’an-
tagonismo ideologico... e al caos
sgangherato della destra berlusco-
niana». Il progetto è chiaro, unire
gran parte del Pdl allo sbando in
un progetto di Monti-bis. Ergo ga-
rantire all’ex Pdl (comunque cen-
tro-destra) ed anche al Pd di rior-
ganizzare i rispettivi partiti durante
il quinquennio Monti: in fondo il
prezzo da pagare all’intesa sarebbe
solo un D’Alema al Colle.
Il senatore di Fli Mario Baldas-
sarri ammette ai microfoni di Ra-
dio Città Futura il suo personale
sostegno al Monti bis: «Il mio au-
spicio è che le linee che sono state
appena tracciate, continuino nella
prossima legislatura, a patto che
sia un Monti politico, perché ab-
biamo bisogno della forza politica
e non più soltanto di un governo
tecnico». Un Monti politico soste-
nuto da tutti i partiti, fatta eccezio-
ne di Di Pietro e Grillo? Su questo
inizierà a muoversi la propaganda
di tutti i partiti che supportano la
maggioranza tecnica. Spiegando
agli elettori che è necessario un
quinquennio di grigia ma alta re-
sponsabilità politica, quello che nes-
sun leader puro della politica po-
trebbe mai garantire. Nel
frattempo, e dall’alto del Quirinale,
D’Alema vigilerebbe che nella ri-
serva indiana campicchia ancora
un bel po’ di classe politica.
RUGGIERO CAPONE
di
ENRICO STRINA
l pericolo in casa Pd arriva anche
dagli istituti di sondaggio: è Swg,
nella mattinata di ieri, a buttare un
ulteriore fumogeno dentro all’as-
semblea nazionale democratica, in
corso di svolgimento in queste ore.
In sostanza il sondaggio in questio-
ne, mostrato dalla trasmissione
Agorà
(
Rai Tre), dice che se alle
primarie del centrosinistra andas-
sero a votare almeno 4 milioni di
persone, il sindaco di Firenze, Mat-
teo Renzi, raccoglierebbe il 29 per-
cento dei consensi contro il 26 per-
cento per Bersani. L’attuale
segretario sarebbe invece in testa
se alle primarie partecipassero 2,6
o 3,3 milioni di persone, rispetti-
vamente con il 37 e il 33 percento
contro il 29 del sindaco fiorentino.
E qui si apre il tema delle regole di
questa consultazione delle prima-
rie: regole stringenti significano
una partecipazione più selezionata,
più fedele, con meno dispersione
verso elettori improvvisati. Al con-
trario regole più libere aumente-
rebbero il rischio “infiltrati” e pro-
prio qui Renzi e i suoi vogliono
arrivare: pescare elettori nuovi an-
che, perché no, dal centrodestra.
La lotta sulle regole sta però per
andare incontro alla parola fine:
l’assemblea nazionale democratica
infatti sancirà la reale consistenza
della singolar tenzone tra i candi-
dati per la posizione di premier in
pectore. Una singolar tenzone che
in realtà potrebbe diventare a due
turni: Bersani sta infatti spingendo
verso questa soluzione, che potreb-
be favorirlo, dato che altri candi-
dati, Vendola in primis, gli hanno
già mostrato vicinanza ed appog-
gio nel caso dello scontro finale
con Renzi. Il maggiore oppositore
di Bersani in questi giorni è sceso
a più miti consigli, pur di non fi-
I
gurare come la persona in grado
di spaccare il partito, rompendo
quel legame di fiducia con i propri
elettori, comunque molto affezio-
nati al Pd. Il sindaco toscano ha
dapprima detto sì al doppio turno,
potendo contare sul miglior appa-
rato organizzativo dell’intera con-
tesa. In seconda battuta ha accet-
tato anche l’istituzione dell’albo
degli elettori. Ma proprio sulle mo-
dalità di iscrizione a questo albo
casca l’asino del litigio sulle pri-
marie: i bersaniani vogliono un al-
bo chiuso ma pubblico, con una
pre-registrazione da effettuarsi al-
meno una settimana prima del vo-
to e con il ritiro di una vera e pro-
pria tessera elettorale analoga a
quella con cui si vota alle politiche.
I renziani qui sono venuti meno,
essendo favorevoli invece al voto
contestuale alla registrazione. Rac-
contava un anonimo renziano a La
Stampa di ieri: «L’effetto sulla par-
tecipazione (con la pre-registrazio-
ne, ndr) sarebbe devastante. La dif-
ferenza è tra avere 700 mila o 4
milioni di votanti». Proprio il nu-
mero di partecipanti indicato da
Swg per portare Renzi sul gradino
più alto. E lo stesso Renzi, durante
le riunioni preliminari dell’assem-
blea nazionale ha tuonato da Reg-
gio Calabria, confermando gli
orientamenti delle ultime ore: «È
strano che si cambino le regole in
corsa, è strano che si inventino del-
le regole dopo che nel 2005, nel
2007
e nel 2009, quando c’erano
Prodi, Veltroni e Bersani, le regole
non si sono cambiate. Quando si
è votato per il presidente della Pu-
glia o per il sindaco di Milano - ha
proseguito il sindaco fiorentino -
le primarie erano le stesse. Io non
capisco perché oggi si debba cam-
biare. Non siamo qui per fare una
battaglia sulle regole, siamo qui
per fare una battaglia sulle idee.
Noi vogliamo cambiare il futuro
del Paese, non siamo interessati a
una discussione interna al partito.
Spero che almeno - ha concluso il
candidato alle primarie del Pd - ab-
biano il buon senso di evitare le
palesi assurdità come la preregi-
strazione». Il dado è tratto: sulle
primarie i renziani scendono a
buona parte dei compromessi ed
il passaggio favorevole sul doppio
turno, che è, lo ripetiamo, un gran-
de assist a Bersani, è dimostrazione
della buona volontà che Renzi sta
cercando di comunicare a tutto il
corpo del partito. Quali saranno
le decisioni che la confusa assem-
blea democratica (di cui non si ca-
pisce ancora quale sia il numero
esatto degli aventi diritto a parte-
cipare) prenderà, è ancora un di-
venire di colpi e contro colpi di
scena, con un risultato che appare
storicamente scontato: favorire
l’attuale segretario.
II
POLITICA
II
K
Matteo RENZI
segue dalla prima
Casta anticasta
La logica è semplice, come quella usata per
le province: per risparmiare non c’è altra stra-
da che accorpare. Anche la Sardegna e la Si-
cilia? Certo, visto che sono isole. Anche la
Puglia con la Calabria? Ovvio, sempre Sud
sono. E, ovviamente e prima di tutto, vanno
accorpate la Lombardia, il Piemonte ed il Ve-
neto. Che comunque sono il Nord padano,
magari senza ampolla del Po ed in parte dein-
dustralizzato, ma che sempre il Nord rap-
presentano. E la Romagna che fine fa? Torna
a far parte di un centro che ricalca gli antichi
stati della Chiesa? E la Toscana? Per non
scontentare troppo il giovane Renzi si riesu-
mano i Lorena o qualche discendente dei
Medici ? Queste domande ironiche e prete-
stuose non hanno risposta. Perché chi teo-
rizza le macroregioni pensa in realtà solo a
quella del Nord e del resto del paese se ne
infischia allegramente. Nella convinzione,
spesso neppure nascosta ma addirittura esi-
bita, che se il Nord (ma Trento e Trieste fan-
no parte di questa area o sono escluse come
ovviamente lo deve essere l’Alto Adige-Sud
Tirolo) diventa autonomo la parte restante
della penisola può anche sprofondare in Afri-
ca e partecipare alle primavere arabe.
Ma se questa è la logica non vale la pena
neppure di discutere. Aspettiamo che la piena
modaiola passi. Possibilmente senza provo-
care danni eccessivi.
ARTURO DIACONALE
Troppo tardi
Ma oggi? Non farò torto a Bisanzio, che pure
aveva una sua dignità, nel paragonare la no-
stra Italia al tardo impero d’Oriente morente.
Sul Bosforo si discuteva del sesso degli angeli,
come si ricorderà, mentre i barbari preme-
vano dalle lande nord occidentali d’Europa:
qui e ora si fa dell’altro e non sono le dispute
più o meno filosofiche che si sovrappongono
ai vizi di una corte infettata a tenere banco,
ma il malaffare puro e semplice praticato in
maniera rozza e volgare. E ciò è accaduto
perché la politica si è dissolta nel nulla. È
proprio questo a preoccupare dopo la certi-
ficazione, autorevolissima, della fine del Pdl.
La mancanza di idee e di prospettive e di vi-
sione. Ma davvero Berlusconi pensa che in-
ventando una lista civica, assemblando un
po’ di gente che gli sta vicina, raggiungendo
intese occasionali il centrodestra si rianime-
rebbe? Se così è, la toppa si rivelerà peggiore
del buco. Mi rendo conto che quando si è
praticato a lungo la politica delle parole senza
idee, non supportata cioè da una cultura che
rispecchiasse riferimenti sociali ed individuali
radicati, è difficile riprendere il bandolo della
matassa. Ed è ancora più difficile, in vista
delle imminenti elezioni, dare vita a soggetti
attorno ai quali creare le condizioni per ag-
gregare una comunità che si sente perduta.
Se si fosse proceduto allo “spacchettamento”
del Pdl un paio d’anni fa (come chi scrive si
permise di proporre), quando le avvisaglie
della scomposizione erano già evidenti, e si
fosse proceduto alla costituzione di una fe-
derazione dei movimenti che componevano
il partito, probabilmente non saremmo a que-
sto punto. Stupisce che le solite nomenklature
oggi si stiano dando da fare per pervenire ad
un esito, come quello prospettato, terribil-
mente in ritardo e, per di più, avvertano l’esi-
genza di non presentare il simbolo del Pdl
alle elezioni per il rinnovo del Consiglio re-
gionale del Lazio: una proposta estrema che
certo farà franare il centrodestra con ricadute
in tutto il Paese a meno che non si sostituisca
con un altro soggetto, magari frutto di un
rassemblement sia pure dell’ultima ora. Dif-
ficile, ma non impossibile. Resta, tuttavia,
aperta la questione principale: dopo la di-
sfatta, quale politica per un centrodestra che,
chissà quando, dovrà comunque ritrovarsi?
GENNARO MALGIERI
Primarie: conun’alta affluenza
Renzi batterebbe il segretario
Per unMonti-bis,
il Colle a D’Alema
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SABATO 6 OTTOBRE 2012
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