II
CULTURA
II
Il federalismo di Cesare Balbo
Il cattolico liberale piemontese
di
NICCOLÒ DIMIVI
Il papà fu sindaco di Torino e poi
ambasciatore a Parigi e a Madrid;
la mamma era una Taparelli d’Aze-
glio e quindi Cesare era cugino in
primo grado dei fratelli Roberto,
Luigi e Massimo Taparelli d’Aze-
glio.
Seguendo gli spostamenti del
padre ebbe l’opportunità di cono-
scere direttamente i sostenitori di
quelle idee illuministiche che si an-
davano sempre più diffondendo.
Durante il periodo napoleonico ri-
coprì diversi incarichi pubblici e,
rientrato a Torino, fu fra gli ani-
matori dell’«Accademia dei Con-
cordi» che, nata come espressione
del patriottismo piemontese contro
i francesi, si evolse come centro
d’irradiazione delle idee liberali.
Balbo sosteneva che i Savoia
avrebbero dovuto concedere lo Sta-
tuto e mettersi a capo di una con-
federazione di Stati italiani.
Fu coinvolto, come il cugino
Roberto, nei moti torinesi del 1821
e fu confinato per dieci anni a Ca-
merano (in provincia di Asti), dove
si dedicò agli studi storici. Qui visse
un periodo di isolamento quasi to-
tale che gli diede l’opportunità di
approfondire un suo duplice inte-
resse: il problema dell’indipendenza
degli Stati italiani dallo straniero,
con la conseguente liberazione della
dominazione austriaca, per opera
di Casa Savoia, e la tematica della
conciliazione dei principii cristiani
con le idee liberali.
Nel 1844 pubblicò a Parigi una
delle sue opere più importanti «Le
speranze d’Italia». Vi criticava il
programma di Gioberti (del primo
Gioberti) e vi illustrava il proprio
punto di vista.
Se è vero che Gioberti costitui-
va un importante passo in avanti
nel raggiungimento dell’unità d’Ita-
lia, tuttavia - sosteneva il Balbo -
non precisava a sufficienza quale
sarebbe stato il ruolo dell’Austria
nella confederazione italiana. In-
fatti, se l’Austria vi fosse entrata,
quasi certamente ne avrebbe pre-
teso il primo posto, e quindi l’ege-
monia, per cui il predominio stra-
niero sarebbe risultato rafforzato.
Se invece non vi avesse partecipato,
allora, assieme all’Austria, sarebbe
rimasta fuori dalla Confederazione
l’importante regione del Lombar-
do-Veneto.
Secondo Balbo, però, per allon-
tanare l’Austria del Lombardo-Ve-
neto non era necessaria la guerra.
L’Austria era destinata, con il crollo
dell’impero turco che sembrava im-
minente, ad espandersi verso il Da-
nubio e i Balcani. Era il cosiddetto
“compenso balcanico” che avrebbe
dovuto accontentare largamente la
monarchia asburgica.
D’altronde, per convincere l’Au-
stria a lasciare l’Italia per i Balcani,
la presenza di un forte esercito, co-
me quello piemontese, avrebbe
avuto un effetto deterrente. Ecco
perché, concludeva Balbo contro il
primo Gioberti, per raggiungere
l’unità d’Italia, non bisognava guar-
dare il Pontefice, ma il Piemonte.
Proponeva dunque una federa-
zione italiana, dove ogni principe
avrebbe governato la propria re-
gione, dove il Papato doveva eser-
citare una funzione moderatrice,
mentre il Piemonte doveva assol-
vere a un compito militare.
Balbo, però, poneva come pri-
ma condizione la concessione dello
Statuto da parte della dinastia sa-
bauda, perché le varie classi sociali
dovevano essere rette da un regime
costituzionale sul tipo di quello in-
glese. Lo Statuto concesso dai Sa-
voia, poi, avrebbe dovuto fare da
traino anche presso gli altri gover-
nanti italiani.
Alberto riconobbe la validità del
pensiero di Balbo, per cui non solo
gli concesse di ritornare a Torino
ma, addirittura, gli affidò anche,
nel marzo del 1848, l’incarico di
guidare il primo governo costitu-
zionale del Regno di Sardegna.
Con lui come Presidente del
Consiglio, si ebbero, un mese dopo,
le prime elezioni della Camera dei
Deputati (il Senato era di nomina
regia). Le elezioni si svolsero a scru-
tinio uninominale.
Ma dopo tre mesi, Balbo, coe-
rentemente con le sue idee, si dimi-
se perché il parlamento non aveva
approvato la sua proposta di unire
al Piemonte la Lombardia, e le pro-
vince di Padova, Vicenza, Treviso
e Rovigo.
Tornato semplice deputato, du-
rante il governo presieduto dal cu-
gino Massimo d’Azeglio, gli fu af-
fidato (1849) l’incarico, che svolse
con successo, delle trattative per il
ritorno di Pio IX da Gaeta a Ro-
ma.
Nel 1852 Vittorio Emanuele II
gli affidò l’incarico di formare un
nuovo governo, ma vi rinunciò per-
ché il cugino Massimo d’Azeglio e,
soprattutto, Cavour vi si opposero,
essendo stato Balbo contrario al-
l’approvazione della legge sull’abo-
lizione del foro ecclesiastico e sul-
l’incameramento dei beni della
Chiesa.
Ritornato ai suoi studi, si dedicò
a scrivere parecchi saggi, sia storici
che politici, molti dei quali saranno
pubblicati postumi, ove si conti-
nuava ad affermare la prospettiva
della riunificazione italiana ad ege-
monia piemontese, contrapponen-
dosi però ad ogni rottura rivolu-
zionaria, e ove si continuava a
sostenere la necessità di coniugare
i valori cristiani con le idee liberali,
vedendo in ciò l’affermazione della
Provvidenza.
È interessante ricordare la sua
concezione del pluralismo, fondata
sul concetto di legalità, per cui non
c’era spazio né per il giacobinismo
né per il reazionismo. Rileviamo,
infine, che postulando l’eliminazio-
ne dei due estremi, non propose
un’ipotesi centrista, che egli giudi-
cava fattore di ambiguità e di op-
portunismo, bensì una dialettica
politica tra moderati conservatori
e moderati progressisti, rispondente
al modello inglese.
Puntate precedenti dedicate
ai cattolici liberali: 10 e 24 giugno;
8, 15, 22, 29 luglio 2012
Seguendo gli
spostamenti del padre
ebbe l’opportunità
di conoscere
direttamente i sostenitori
di quelle idee
illuministiche
che si andavano sempre
più diffondendo.
Durante il periodo
napoleonico ricoprì
diversi incarichi pubblici
e fu tra gli animatori
dell’«Accademia
dei Concordi» che, nata
come espressione
del patriottismo
piemontese contro
i francesi, si evolse come
centro d’irradiazione
delle idee liberali. Balbo
sosteneva che i Savoia
avrebbero dovuto
concedere lo Statuto
e mettersi a capo di una
confederazione di stati
italiani. Il suo pensiero,
andava contro quello
del primo Gioberti,
sostenendo che per
raggiungere l’unità
d’Italia, non bisognava
guardare al Pontefice,
ma al Piemonte,
proponendo una
federazione italiana,
dove ogni principe
avrebbe governato
la propria regione
Il modello proposto da Cesare
Balbo, tuttavia, contrariava sia i
consiglieri del re sabaudo sia i so-
stenitori della cospirazione contro
il sovrano. Balbo, quindi, era mal
visto da entrambe le parti politi-
che.
Richiamandosi alle idee dei cat-
tolici liberali, Balbo riproponeva il
pensiero neo-guelfo aggiungendo
una sua soluzione alla situazione
contraddittoria causata dalla pre-
senza austriaca. Egli sosteneva,
inoltre, la necessità delle riforme
nello Stato Pontificio, differenzian-
dosi nettamente così anche dai cat-
tolici conservatori del suo tempo.
Pensando che fosse difficile
un’azione concorde dei principi ita-
liani e vedendo come non pratica-
bile un’insurrezione popolare, egli
credeva opportuno attendere
un’occasione favorevole di carat-
tere internazionale: l’espansione
dell’impero asburgico verso l’area
dei Balcani, in modo che l’Austria
fosse indotta a lasciare la penisola.
Ecco il significato della sua opera
«Le speranze d’Italia», che lo pone
come uno dei maggiori interpreti
del cattolicesimo liberale italiano,
capace di confrontarsi con le sfide
della modernità.
Con il passar degli anni, Carlo
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 5 AGOSTO 2012
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