II
POLITICA
II
Il lodo Draghi mette in fuori gioco i Democratici
di
FEDERICO PUNZI
onostante non manchino
pompose dichiarazioni sulla
crisi, i nostri politici mostrano di
muoversi sulla scena nostrana, nel
balletto delle alleanze, prescinden-
do da quanto accade, nel frattem-
po, in Europa. Eppure, difficilmen-
te il futuro assetto del nostro
sistema partitico, gli schieramenti
che si affronteranno alle elezioni e
la coalizione chiamata a governare
nel 2013, non dipenderanno in
qualche misura anche da quanto
viene deciso tra le cancellerie eu-
ropee e nel board della Bce.
A mente fredda i mercati hanno
ponderato meglio il loro giudizio
sulle parole di Draghi e ieri le bor-
se europee si sono riprese dal tonfo
di giovedì (con guadagni corposi
anche prima della positiva apertu-
ra di Wall Street), mentre lo spread
sui decennali italiani ha ripiegato
sotto i 460 punti (gli spagnoli sotto
i 540). Certo, si aspettavano un in-
tervento a breve della Bce, già nel
mese di agosto, mentre Draghi ha
fatto capire che ci vorranno ancora
«alcune settimane», ma dopo tutto
le sue parole dello scorso 26 luglio
a Londra non sono apparse un
bluff. Anche giovedì Draghi ha ri-
badito l’«irreversibilità» della mo-
neta unica, tanto da sfidare aper-
tamente gli speculatori (è «inutile
scommettere contro l’euro»). Se le
sue parole non sono state ben in-
terpretate fin da subito è perché la
soluzione europea non può che
passare attraverso un compromes-
so, un delicato equilibrio, da rag-
giungere passo dopo passo, e la
portata dei passi in avanti non
sempre è immediatamente intelle-
gibile.
La Bce è pronta a usare il suo
bazooka
in difesa dell’euro, acqui-
stando i bond dei paesi in difficoltà
(Spagna e Italia) nelle quantità che
riterrà opportune e anche adottan-
do misure «non standard» di po-
litica monetaria. Dunque, non ac-
N
quisti «limitati», come quelli del
programma usato nell’estate e
nell’autunno del 2011, ma poten-
zialmente illimitati. Ma per rendere
disponibile questo “bazooka”, da
affiancare alle risorse limitate dei
fondi salva-stati, Draghi ha posto
condizioni molto stringenti: i go-
verni dei paesi in difficoltà devono
continuare con il risanamento e le
riforme strutturali, perché la Bce
non può sostituirsi ad essi nel ren-
dere le loro economie compatibili
con la moneta unica. Insomma, lo
scudo anti-spread non verrà atti-
vato su iniziativa della Bce, ma so-
lo dopo che gli stati avranno chie-
sto di accedere ai fondi salva-stati,
accettandone tutte le condizioni e
i monitoraggi previsti.
Questo il compromesso grazie
al quale Draghi sarebbe riuscito a
isolare la Bundesbank, anche ri-
spetto alla cancelliera Merkel. An-
che se probabilmente il governa-
tore non dispera, da qui a qualche
settimana, di poter convincere an-
che la “BuBa”. Un tempo durante
il quale gli speculatori dovrebbero
essere tenuti a freno dalle sue di-
chiarazioni combattive di questi
giorni e di cui i leader politici do-
vrebbero approfittare per affinare
l’intesa (eventualmente anche sulla
licenza bancaria all’Esm).
Bazooka sì, quindi, ma nessuna
scappatoia per Spagna e Italia: do-
vranno chiedere gli aiuti e fare le
riforme. Sarebbe impensabile, in-
fatti, far digerire ai tedeschi l’ac-
quisto di bond da parte della Bce
senza allinearsi alla loro politica
di stringenti condizionalità. Con-
dizionando il proprio intervento
alla richiesta di soccorso ai fondi
salva-stati, quindi all’iniziativa dei
leader politici dei paesi interessati,
la Bce mantiene le mani libere: nes-
sun acquisto sarà automatico o
“dovuto”. Un margine di incertez-
za che responsabilizza sia i mercati
sia i politici, e che soprattutto pre-
serva la funzione di stimolo, di
pressione sui governi, esercitata dai
mercati attraverso lo spread (nella
cui efficacia Berlino crede ferma-
mente).
Le condizioni che si vanno de-
lineando per l’attivazione dello
scudo anti-spread – richiesta for-
male e firma del memorandum –
sembrano mettere in fuori gioco
l’alleanza elettorale Pd-Sel, il nuovo
Pds (“Polo della speranza”), a cui
sta faticosamente lavorando Pier-
luigi Bersani. La “Carta d’intenti”
del Pd (un’analisi approfondita è
uscita su queste pagine due giorni
fa), che getta le basi per l’intesa
programmatica tra i due partiti, è
un manifesto di discontinuità,
nemmeno troppo sfumata, rispetto
all’“agenda Monti”. Certo, l’Eu-
ropa è il «nostro posto», non c’è
alcuna strizzata d’occhio alle pul-
sioni antieuro, ma Bersani è con-
vinto di poter restare ancorato alla
visione di un’Italia saldamente
nell’euro, con un ruolo da prota-
gonista nell’Ue, attuando politiche
da sinistra novecentesca. Gli “in-
tenti” del Pd, sommati a quelli an-
cor più esplicitamente anti-mon-
tiani enunciati da Vendola,
delineano un’alleanza che esprime
una politica di sinistra “identitaria”
per fare il pieno di voti a sinistra,
pronta eventualmente a contami-
narsi con le istanze montiane
dell’Udc dopo il voto, se necessario
per formare una maggioranza par-
lamentare. Ma in questo modo ri-
schiando una riedizione dei con-
flitti interni all’Unione prodiana.
Un’alleanza siffatta sarebbe
“unfit” a rispettare gli impegni
eventualmente assunti dall’Italia
con Ue e Bce a seguito della richie-
sta di attivazione dello scudo, che
potrebbe essere avanzata già a set-
tembre. Ecco perché il “lodo” Dra-
ghi (
bazooka
della Bce sì, ma a
condizioni “tedesche”) mette in
fuori gioco la coppia Bersani-Ven-
dola e aumenta invece le chance di
un Monti-bis dopo il voto, l’unica
prospettiva, al momento, che ren-
derebbe credibile il rispetto degli
impegni da parte del nostro pae-
se.
Se dopo le parole di Draghi
possiamo essere ragionevolmente
ottimisti sullo scudo europeo, ora
serve immediatamente uno scudo
anti-spread italiano: un program-
ma credibile e concreto per l’ab-
battimento, in tempi ragionevoli,
dello stock di debito pubblico e
una riduzione della spesa pubblica
tale da permettere di ridurre gra-
dualmente ma sensibilmente la
pressione fiscale. Una proposta di
abbattimento del debito è giunta
nei giorni scorsi dal Pdl e finirà sul
tavolo di Monti: un piano da 400
miliardi, il quadruplo di quello di
Grilli (15-20 miliardi l’anno per 5
anni), per riportare il debito sotto
il 100%.
Ma c’è uno strano spread tra
Pdl e Pd: il Pdl soffre di scarsa cre-
dibilità, il Pd di troppa credibilità.
Nel senso che il Pdl, pur avendo di
recente formulato una proposta ar-
ticolata e interessante per l’abbat-
timento del debito e la riduzione
delle tasse, ha dimostrato al gover-
no di non saper mantenere le pro-
prie promesse e, anzi, di fare l’esat-
to contrario. Il Pd, al contrario,
quando minaccia la patrimoniale,
quando promette investimenti e di-
rigismo (quindi più spesa), quando
parla di “redistribuzione” e di ge-
stione pubblica dei “beni comuni”,
può essere creduto sulla parola, ma
se lasciato fare ci porterebbe dritti
in Grecia.
Il governatore ha posto
condizioni stringenti:
i governi dei paesi
in difficoltà devono
continuare con il rigore
e le riforme, la Bce
non può farlo
sostituendosi a loro
K
Mario DRAGHI
Le condizioni
che si vanno delineando
per rendere operativa
l’attivazione dello scudo
anti-spread sembrano
mettere in difficoltà
l’alleanza elettorale
Pd-Sel, il nuovo Pds
segue dalla prima
Casini come Follini
(...) della conventio ad excludendum assi-
curata da Yalta e dalla guerra fredda, l’in-
tesa si è sempre risolta in una sorta di “pat-
to leonino” a tutto vantaggio degli eredi di
Togliatti ed a scapito degli eredi di De Ga-
speri. Casini non può aver dimenticato
l’esperienza del compromesso storico vis-
suta da giovanissimo democristiano. E se
proprio conta di fare una alleanza con Ber-
sani che scimmiotti quella antica formula
politica deve necessariamente incamminarsi
lungo la strada opposta a quella percorsa
a suo tempo dal buon Zaccagnini, divenuto
succube ostaggio del Pci durante il caso
Moro. E deve evitare come la peste di se-
guire l’esempio di tutti gli altri ex Dc, da
Rosy Bindi allo stesso Follini, che come l’in-
tendenza di Napoleone hanno il solo com-
pito di seguire passivamente la truppa in
marcia dei post-comunisti. Ma il leader
dell’Udc è in grado di stringere una qual-
siasi alleanza con il rinato Pci di Bersani
senza perdere autonomia, indipendenza,
ruolo ed elettori? Dovrebbe essere un De
Gasperi ed avere alle spalle gli americani.
Purtroppo per lui, però, non è De Gasperi
e non ha gli americani. Solo Caltagirone!
ARTURO DIACONALE
Fermare il declino?
(...) è, al contrario, pura follia politica.
Rasenta la mistificazione anche il tentativo
di farci credere «destra, sinistra, centro
sono categorie che non significano più nul-
la». C’è stato un elettorato che in questi
anni ha scelto «meno tasse» contro «le
tasse sono bellissime». E ci sono stati go-
verni che hanno cercato di riformare il si-
stema dell’istruzione, del pubblico impiego
o del mercato del lavoro; contrapposti a
forze di opposizione che stavano in piazza
con la Cgil a difendere l’esistente e a get-
tarsi a peso morto contro qualsiasi cam-
biamento. Da una parte c’è sempre (o qua-
si) stato il centrodestra. Dall’altra il
centrosinistra. È ridicolo, poi, negare che
da decenni una parte della magistratura
agisce con logiche e obbiettivi da partito
politico, abusando del proprio ruolo senza
neppure essere sottoposta al giudizio degli
elettori come capita ai partiti veri. Eppure,
ci sono state forze politiche che questa
anomalia del sistema l’hanno denunciata
(o almeno hanno provato a farlo) e altre
che hanno negato l’evidenza. Per miopia
o per convenienza di parte. I liberali-libe-
risti del nostro paese, quelli “à la page”
che scrivono sui giornali giusti e insegnano
nelle università cool dell’America buona,
in genere si sono sempre schierati con i
secondi. Per essere credibile, insomma,
un’agenda di questo tipo dovrebbe risol-
vere almeno due fraintendimenti. Il primo
è che possa essere spendibile, indifferen-
temente, con il centrodestra, il centrosini-
stra o con il terzo polo perché - molto
semplicemente - questo non accade e non
è mai accaduto in nessuna parte del mon-
do. Il secondo è un problema di prospet-
tiva: se i liberisti vogliono uscire dall’an-
golo dell’accademia - in cui troppo a lungo
hanno deciso di rintanarsi, rifiutandosi
sdegnosamente di sporcarsi le mani con
la politica - per tentare di conquistare
un’egemonia culturale, devono iniziare ad
essere comprensibili anche alla gente co-
mune. Si deve parlare, insomma, alla gran-
de maggioranza silenziosa che vorrebbe
poter scegliere “meno stato” perché sa be-
nissimo che si traduce in italiano con “me-
no tasse”. Non si va da nessuna parte di-
sprezzando la storia e il percorso di quel
blocco sociale, culturale e politico che, nel
bene e nel male, ha dato vita al centrode-
stra italiano negli ultimi decenni. Con la
spocchia si va forse sui giornali, ma poi si
finisce come Alleanza democratica.
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L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 4 AGOSTO 2012
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