II
ESTERI
II
AllarmeAl Qaeda in Spagna
La polizia ferma 3 sospetti
di
STEFANO MAGNI
entre dormiamo sonni relati-
vamente tranquilli e la nostra
preoccupazione è “solo” l’economia,
Al Qaeda, benché orfana di Bin La-
den, continua a pianificare l’inferno
in Europa. Un attentato sventato
non fa notizia e dunque sembra vi
siano ben pochi pericoli di terrori-
smo. Errore. La percezione cambia,
se solo ci mettiamo a leggere le no-
tizie di attentati sventati. Eccone
una, di ieri: in Spagna hanno arre-
stato tre uomini, presunti membri
di Al Qaeda. Stando alle dichiara-
zioni del ministro dell’Interno di
Madrid, Jorge Fernandez Diaz, ave-
vano sufficiente esplosivo per far sal-
tare in aria un autobus. Diaz ha de-
finito uno dei tre sospetti «un
personaggio molto importante nella
struttura internazionale di Al Qae-
da», esperto nella sintesi di veleni e
nella fabbricazione di esplosivi per
autobomba. Vi sarebbero «delle
prove evidenti che gli arrestati stes-
sero pianificando attacchi in Spagna
o Europa».
I tre uomini sono stati presi, si-
multaneamente, in due diverse lo-
calità della Spagna. Il primo, di na-
zionalità turca, è stato catturato con
un’irruzione nell’appartamento in
cui viveva, a La Linea de Concep-
cion, in Andalusia. È lì che la polizia
ha trovato l’esplosivo. Gli altri due,
ceceni, sono stati presi ad una sta-
M
zione di servizio a Ciudad Real.
Viaggiavano su un autobus partito
da Cadice e diretto a Irun, al confine
con la Francia. Uno dei due cauca-
sici ha mostrato di avere una «una
forza non comune per resistere al-
l’arresto - secondo il rapporto della
polizia – sfruttando l’addestramento
militare che ha ricevuto. Le forze
speciali sono dovute intervenire».
Almeno uno dei tre sospetti, secon-
do le indagini che hanno preceduto
l’arresto, ha passato un periodo di
addestramento in Pakistan.
Dove erano diretti e cosa vole-
vano fare questi presunti terroristi?
Per ora l’unico indizio reso pubblico
è riportato dal quotidiano spagnolo
El Pais: Al Qaeda della Penisola
Arabica (le cui basi sono soprattutto
nello Yemen), all’inizio di luglio ave-
va diffuso un messaggio di recluta-
mento di “lupi solitari” con una
buona conoscenza della lingua spa-
gnola. Ma non si sa quale fosse il
loro obiettivo. La Spagna, in ogni
caso, è sempre in prima linea nel-
l’invisibile guerra al terrorismo, me-
rito anche della sua posizione geo-
grafica ai confini fra Europa e
Africa. Gli arresti di ieri sono stati
i primi che hanno comportato anche
il sequestro di esplosivi. Ma i pre-
cedenti non sono da sottovalutare.
Il marzo scorso era stato preso in
territorio spagnolo un reclutatore
di Al Qaeda, un cittadino saudita,
nato in Giordania, noto nel mondo
jihadista con lo pseudonimo di “li-
braio”. Gestiva, nel Web, uno dei
principali forum di reclutamento del
network terrorista. Un anno fa,
nell’agosto del 2011, è stata la volta
di Abdellatif Aoulad Chiba, un
37enne marocchino, fermato sempre
a La Linea de la Conception, sospet-
tato dalla polizia spagnola quale
propagandista di Al Qaeda nel Ma-
ghreb Islamico. Nel settembre del
2010, invece, era finito in galera un
cittadino americano di origine alge-
rina, con l’accusa di finanziamento
del network terrorista.
La Spagna, insomma, appare co-
me la naturale “portale” di Al Qae-
da in Europa, anche se non subisce
direttamente attentati dall’11 marzo
del 2004, quando le bombe esplo-
sero sui treni dei pendolari di Ma-
drid provocando 191 morti.
Siria, Kofi Annan getta la spugna
K
Kofi Annan, ex segretario generale dell’Onu e finora inviato
speciale delle Nazioni Unite in Siria, ha rassegnato le sue dimissioni
ieri. Il suo piano di pace, da aprile ad oggi, è stato disatteso
Quebec, più forte
l’indipendentismo
Un turco, due ceceni
e abbastanza esplosivo
da far saltare in aria
un autobus.Mentre tutti
pensano all’economia,
la polizia iberica indaga
sulla nuova minaccia
dell’islam estremista
Pechino impone ai tibetani
un finto PanchemLama
n Quebec, la provincia autonoma
francofona del Canada, una pro-
testa studentesca locale sta provo-
cando un effetto collaterale molto
più importante: potrebbe provocare
la caduta del governo liberale e
spianare la strada al partito indi-
pendentista. La protesta dei giovani
è del tutto analoga a quella avve-
nuta nel Regno Unito l’anno scor-
so. Gli studenti non accettano la ri-
forma varata dal governo locale,
guidato dal liberale Jean Charest,
volta ad aumentare le rette univer-
sitarie, dai 2168 dollari canadesi
attuali ai 3793 entro il 2017. Si
tratta di una riforma molto gradua-
le, finalizzata a far cassa, ma le or-
ganizzazioni studentesche ritengono
che sia inaccettabile, considerando
anche che le rette, dal 1968 ad oggi
sono già aumentate del 300%. Dal-
lo scorso febbraio ad oggi si sono
I
svolte numerose proteste, spesso
degenerate in scontri con la polizia.
A maggio, per cercare di placare il
disordine, il governo locale ha pro-
posto la nuova Legge 68, che vieta
picchetti e manifestazioni che non
siano stati precedentemente segna-
lati e approvati dalla polizia. In
questo modo, però, il governo ha
gettato benzina sul fuoco, rendendo
la contestazione ancor più violenta
e dilagante. A questo punto si sono
rese necessarie elezioni anticipate:
erano previste per la fine del 2013,
ma si terranno a settembre prossi-
mo. Jean Charest, annunciandole,
ha espresso il desiderio di far sentire
finalmente la voce della “maggio-
ranza silenziosa”, contraria ai di-
sordini continui. Ma potrebbe ri-
cevere una brutta sorpresa dalle
urne: secondo un sondaggio effet-
tuato da Leger Marketing alla fine
di luglio, i cui risultati sono stati
pubblicati ieri, è in testa il Parti
Quebecois, indipendentista, con
una maggioranza relativa del 33%,
contro il 31% del Partito Liberale.
Se si votasse oggi, insomma, gli in-
dipendentisti andrebbero al gover-
no e, grazie alla distribuzione dei
seggi, avrebbero una maggioranza
abbastanza solida. In caso di vitto-
ria, il Parti Quebecois punterebbe
subito a indire un terzo referendum
per l’indipendenza, dopo quelli ten-
tati (e perduti) nel 1980 e nel 1995.
(ste. ma.)
tibetani che vivono in esilio a
Dharamsala, in India, lo chiama-
no “impostore”, “falso”, “buratti-
no”. A sentire Pechino invece, è lui
l’unico, vero monaco in grado di
dare continuità al buddismo, per-
ché capace di identificare la perso-
na in cui si reincarnerà il Dalai La-
ma (una volta morto). Parliamo di
Gyaltsen Norbu, undicesimo Pan-
chen Lama, che dallo scorso 24 lu-
glio è impegnato in un pellegrinag-
gio nei luoghi più significativi del
Tibet (città sante e monasteri), se-
guito da uno stuolo di giornalisti.
Una sovraesposizione mediatica
del tutto simile a quella già vista
in occasione del precedente viaggio
in Tibet di Norbu (nel 2010), e che,
oggi come allora, ha il sapore di
una “excusatio non petita”: uno
sforzo per dare legittimità ad una
figura fortemente contestata pro-
prio da chi - i tibetani - dovrebbe
vedere in essa una guida importan-
te. Ma così non è.
L’attuale Dalai Lama, Tenzin
Gyatso, aveva riconosciuto come
Panchen Lama il giovane Gedhun
Choekyi Nyima il 14 maggio del
1995, ma pochi mesi dopo la po-
lizia rapì il bambino e la sua fami-
glia. Sempre nello stesso anno (a
novembre del 1995), la Cina scelse
un sostituto di comodo a Gedhun:
Gyaltsen Norbu (che al tempo ave-
va sei anni, come il piccolo rapito),
e lo nominò “vero” Panchen Lama
I
dicendo di avere utilizzato, per la
sua identificazione, rituali religiosi
più autentici di quelli scelti dal Da-
lai Lama. Nel 2010, Norbu fece
poi il suo ingresso nella vita poli-
tica nazionale, partecipando ai la-
vori della Conferenza politica con-
sultiva del popolo, organismo che
affianca l’Assemblea nazionale del
popolo (sede legislativa cinese).
Funzione quantomeno bizzarra per
un religioso. Attraverso il rapimen-
to prima e la sostituzione poi, Pe-
chino ha messo bene in chiaro qual
è l’unica strada ammissibile per la
sopravvivenza del buddismo tibe-
tano in Cina: la sottomissione al
Partito, regola valida per tutte le
religioni ufficiali presenti nel Paese.
Ma questa opzione per i tibetani
non è accettabile. Il Dalai Lama è
considerato dai suoi seguaci molto
più di un leader spirituale: il Dalai
Lama e il Tibet sono un’unica cosa.
E proprio questa profonda identi-
ficazione culturale e identitaria ren-
de impossibile l’assimilazione del
popolo tibetano.
Pechino oggi investe molto sul
“finto” Panchen Lama, a cui, in un
futuro non troppo lontano, spet-
terà il compito di nominare un ca-
po spirituale non inviso al Partito
Comunista. Nel frattempo, dall’al-
tro lato della barricata, l’attuale
Dalai Lama - Tenzin Gyatsu - in-
vecchia in esilio cercando un modo
per dare continuità alla cultura del
suo popolo e facendo frequente ri-
ferimento al fatto che la sua pros-
sima reincarnazione potrebbe na-
scere al di fuori dal Tibet.
In questa complessa partita, i
tibetani hanno più da perdere che
da guadagnare. A giocare contro
di loro è in primis il fattore tempo:
quando il Dalai Lama morirà, la
sua reincarnazione verrà trovata
in un bambino. E anche se questo
bambino vivrà in India, lontano
dall’influenza cinese, dovranno pas-
sare anni prima che il piccolo erede
sia pronto e sufficientemente edu-
cato per esercitare la funzione di
leader. Un lungo interregno in cui
i tibetani saranno privi della loro
guida più alta. Un vuoto che può
avere conseguenze fatali per la cul-
tura di un intero popolo.
ELISA BORGHI
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 3 AGOSTO 2012
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