di
        
        
          
            MURRAY N. ROTHBARD
          
        
        
          uando, nel 1803, venne pub-
        
        
          blicata la prima edizione
        
        
          dell’ottimo
        
        
          
            Traité d’économie po-
          
        
        
          
            litique
          
        
        
          di Jean-Baptiste Say, il suo
        
        
          autore conquistò presto la leader-
        
        
          ship tra i sostenitori francesi di
        
        
          Adam Smith. Say era nato a Lione
        
        
          in una famiglia ugonotta di mer-
        
        
          canti di tessuti, e aveva trascorso
        
        
          gran parte dell’infanzia a Genova,
        
        
          e poi a Londra, dove era diventato
        
        
          un apprendista commerciante. In-
        
        
          fine, tornato a Parigi come impie-
        
        
          gato di un’agenzia di assicurazio-
        
        
          ne sulla vita, il giovane Say
        
        
          divenne rapidamente una delle
        
        
          punte di diamante tra i
        
        
          
            philoso-
          
        
        
          
            phes laissez-faire
          
        
        
          francesi. Nel
        
        
          1794
        
        
          assunse il ruolo di primo re-
        
        
          dattore del più importante gior-
        
        
          nale di questo gruppo di pensato-
        
        
          ri, La
        
        
          
            Décade Philosophique
          
        
        
          .
        
        
          Era
        
        
          un convinto sostenitore non solo
        
        
          del libero mercato, ma anche del
        
        
          nascente industrielisme della rivo-
        
        
          luzione industriale; era infatti con-
        
        
          trario all’assurda dottrina protoa-
        
        
          gricola propugnata dai filosofi
        
        
          fisiocratici.
        
        
          I pensatori della Décade ama-
        
        
          vano definirsi “gli ideologi”, e più
        
        
          tardi furono beffardamente so-
        
        
          prannominati da Napoleone
        
        
          “
        
        
          ideologisti”. Per “ideologia” in-
        
        
          tendevano una disciplina che stu-
        
        
          diasse ogni aspetto dell’azione
        
        
          umana, una ricerca che volesse in-
        
        
          centrarsi sugli individui e le loro
        
        
          interazioni più che su una mani-
        
        
          polazione positivistica o scienti-
        
        
          
            Q
          
        
        
          stica delle persone come semplice
        
        
          materia d’ingegneria sociale. Gli
        
        
          “
        
        
          ideologi” erano ispirati dalle idee
        
        
          e dalle analisi dell’ultimo Condil-
        
        
          lac. Il loro maestro per quel che
        
        
          riguarda la psicologia fisiologica
        
        
          era il dottor Pierre Jean George
        
        
          Cabanis (1757-1808), che lavora-
        
        
          va a stretto contatto con altri bio-
        
        
          logi e psicologi all’École de Midé-
        
        
          cine. Il loro punto di riferimento
        
        
          nelle scienze sociali era il ricco ari-
        
        
          stocratico Antonie Louis Claude
        
        
          Destutt, conte di Tracy (1754-
        
        
          1836).
        
        
          Fu lui a formulare il con-
        
        
          cetto di “ideologia”, che presentò
        
        
          nel primo libro (1801) della sua
        
        
          opera in cinque volumi intitolata
        
        
          
            Éléments d’idéologie
          
        
        
          (1801-15).
        
        
          De Tracy espose per la prima
        
        
          volta la sua visione dell’economia
        
        
          nel Commentario su Monte-
        
        
          squieu, nel 1807, che restò in for-
        
        
          ma manoscritta a causa delle sue
        
        
          posizioni radicalmente liberali.
        
        
          Nel Commentario de Tracy criti-
        
        
          cava la monarchia ereditaria e il
        
        
          principio del comando assolutisti-
        
        
          co, difendendo le ragioni dei giu-
        
        
          snaturalisti. Il testo si apriva con
        
        
          il rifiuto della definizione di Mon-
        
        
          tesquieu della libertà come il «de-
        
        
          siderio di ciò che si può avere» e
        
        
          proponeva una concezione molto
        
        
          più libertaria del termine: la liber-
        
        
          tà secondo de Tracy era la capa-
        
        
          cità di volere e fare ciò che ci ren-
        
        
          de felici.
        
        
          Nel Commentario, l’autore da-
        
        
          va grande importanza all’econo-
        
        
          mia nella vita politica, dato che il
        
        
          maggiore obiettivo della società è
        
        
          soddisfare, attraverso lo scambio,
        
        
          le necessità e le felicità materiali
        
        
          dell’uomo. De Tracy elogiava il
        
        
          commercio come «la fonte di tut-
        
        
          to il benessere umano», e lodava
        
        
          il processo di divisione del lavoro
        
        
          come punto di partenza per una
        
        
          maggiore produzione, senza con-
        
        
          siderare nessuna delle critiche sol-
        
        
          levate da Adam Smith riguardo al-
        
        
          la cosiddetta alienazione.
        
        
          Sottolineava inoltre il fatto che
        
        
          «
        
        
          in ogni traslazione commerciale,
        
        
          in ogni scambio di merci, ambo le
        
        
          parti traggono beneficio dall’ac-
        
        
          cordo, o entrano in possesso di un
        
        
          bene di maggior valore rispetto a
        
        
          quello che cedono». La libertà di
        
        
          commercio entro i propri confini
        
        
          è dunque tanto importante quanto
        
        
          il libero scambio tra diverse na-
        
        
          zioni. Ma, deplorava de Tracy, in
        
        
          questo meraviglioso meccanismo
        
        
          del libero scambio, e di produtti-
        
        
          vità in costante ascesa, spunta una
        
        
          ruggine: il governo.
        
        
          Le tasse, puntualizzava, «sono
        
        
          sempre attacchi alla proprietà pri-
        
        
          vata, e servono a sostenere spese
        
        
          costose e improduttive». Nella mi-
        
        
          gliore delle ipotesi, tutte le spese
        
        
          del governo sono un male neces-
        
        
          sario, e la maggior parte dei ser-
        
        
          vizi, «come ad esempio i lavori di
        
        
          pubblica utilità, potrebbero essere
        
        
          portati a termine in modo miglio-
        
        
          re dai privati». De Tracy si oppo-
        
        
          neva con asprezza alla produzione
        
        
          di denaro da parte del governo e
        
        
          alle manomissioni compiute dalla
        
        
          circolazione forzosa della moneta.
        
        
          La svalutazione era, semplicemen-
        
        
          te, «una rapina» e le banconote
        
        
          dei beni il cui valore sta solo nella
        
        
          carta in cui sono stampate. De
        
        
          Tracy criticava anche il debito
        
        
          pubblico e invocava una moneta
        
        
          metallica standard, preferibilmente
        
        
          d’argento.
        
        
          Il quarto volume degli
        
        
          
            Élé-
          
        
        
          
            ments
          
        
        
          di de Tracy, il
        
        
          
            Traité de la
          
        
        
          
            volonté
          
        
        
          ,
        
        
          era, nonstante il titolo,
        
        
          un trattato d’economia. De Tracy
        
        
          era ora arrivato all’economia co-
        
        
          me parte del suo grandioso siste-
        
        
          ma. Terminato verso la fine del
        
        
          1811,
        
        
          il Traité fu finalmente pub-
        
        
          blicato dopo la caduta di Napo-
        
        
          leone nel 1815, e venne costruito
        
        
          sulle intuizioni del Commentario
        
        
          su Montesquieu.
        
        
          Seguendo il suo amico e colle-
        
        
          ga Jean-Baptiste Say, de Tracy ora
        
        
          descriveva l’imprenditore come la
        
        
          figura centrale della produzione
        
        
          dei beni. De Tracy è stato qualche
        
        
          volta definito un teorico della teo-
        
        
          ria del valore lavoro, ma il “lavo-
        
        
          ro” venne confermato come alta-
        
        
          mente produttivo se comparato
        
        
          alla terra.
        
        
          Inoltre, il “lavoro” per de Tra-
        
        
          cy era soprattutto quello dell’im-
        
        
          prenditore nel conservare e inve-
        
        
          stire i frutti del lavoro precedente.
        
        
          L’imprenditore, egli sottolineò, ri-
        
        
          sparmia il capitale, dà lavoro ad
        
        
          altri individui e produce un’utile
        
        
          maggiore del valore originario del
        
        
          suo capitale. Solo il capitalista ri-
        
        
          sparmia parte di ciò che guadagna
        
        
          per reinvestirlo e produrre nuova
        
        
          ricchezza. De Tracy concludeva
        
        
          con un’immagine drammatica:
        
        
          «
        
        
          Gli impresari industriali sono re-
        
        
          almente il cuore del corpo politi-
        
        
          co, e il loro capitale è il suo san-
        
        
          gue».
        
        
          Inoltre, sottolineava, tutte le
        
        
          classi sociali hanno un comune in-
        
        
          teresse nelle transazioni del libero
        
        
          mercato. «Non esistono», stabilì
        
        
          acutamente de Tracy, «classi prive
        
        
          di proprietà», poichè, come citava
        
        
          Emmet Kennedy, «tutti gli uomini
        
        
          hanno almeno la più preziosa di
        
        
          tutte le loro proprietà, e cioè le lo-
        
        
          ro facoltà, e i poveri hanno lo
        
        
          stesso interesse dei ricchi a pro-
        
        
          teggere ciò che possiedono». Al
        
        
          centro della puntualizzazione di
        
        
          de Tracy sui diritti di proprietà
        
        
          stava perciò il diritto fondamen-
        
        
          tale di ogni uomo su sè stesso e
        
        
          sulle proprie facoltà. L’abolizione
        
        
          della proprietà privata, avvertì
        
        
          l’autore, condurrebbe solo
        
        
          all’«eguaglianza nella miseria»
        
        
          tramite l’eliminazione del rischio
        
        
          personale.
        
        
          Peraltro, dato che nel libero
        
        
          mercato non esistono classi fisse,
        
        
          e ogni uomo è sia consumatore
        
        
          che proprietario e può diventare
        
        
          un capitalista se risparmia, non
        
        
          c’è ragione di attendersi parità di
        
        
          stipendio, dacchè gli uomini dif-
        
        
          feriscono largamente in abilità e
        
        
          talenti. L’analisi del governo di de
        
        
          Tracy era identica a quella presen-
        
        
          te nel suo Commentario. Tutte le
        
        
          spese del governo sono improdut-
        
        
          tive, anche quando sono necessa-
        
        
          rie, tutte implicano la cessione di
        
        
          parte dello stipendio dei produt-
        
        
          tori e sono oltretutto parassitiste
        
        
          per natura. La migliore agevola-
        
        
          zione che il governo può dare al-
        
        
          l’industria è “lasciarla da sola” e
        
        
          il miglior governo è quello più
        
        
          parsimonioso. Riguardo al denaro,
        
        
          de Tracy prese una posizione fa-
        
        
          vorevole alla moneta metallica.
        
        
          Deplorò che le monete non fosse-
        
        
          ro più connesse a semplici unità
        
        
          di peso d’oro o argento.
        
        
          Vedeva chiaramente la svalu-
        
        
          tazione come un furto, e le ban-
        
        
          conote come un furto su larga sca-
        
        
          la. Le banconote, inoltre, non
        
        
          erano altro che una graduale, na-
        
        
          scosta serie di successive svaluta-
        
        
          zioni della moneta standard. Ana-
        
        
          lizzò gli effetti distruttivi
        
        
          dell’inflazione e attaccò le banche
        
        
          che detenevano il monopolio, de-
        
        
          finendole istituzioni «radicalmente
        
        
          viziose».
        
        
          Seguendo Jean-Baptiste Say
        
        
          nella sua messa in rilievo dell’im-
        
        
          prenditore, de Tracy anticipò il
        
        
          suo amico nel rifiutare l’uso della
        
        
          matematica o della statistica nelle
        
        
          scienze sociali. Non più tardi del
        
        
          1791,
        
        
          de Tacy scriveva che molto
        
        
          della realtà e dell’azione umana è
        
        
          semplicemente non quantificabile,
        
        
          mettendo in guardia dalla “ciar-
        
        
          latanesca” applicazione della sta-
        
        
          tistica alle scienze sociali. Attaccò
        
        
          l’uso della matematica nelle sue
        
        
          Memorie sulla facoltà del pensiero
        
        
          (1798),
        
        
          e nel 1805 respinse le idee
        
        
          del suo defunto amico Condorcet
        
        
          che sottolineava l’importanza del-
        
        
          la “matematica sociale”.
        
        
          Forse influenzato dal Trattato
        
        
          di Say di due anni prima, de Tracy
        
        
          stabilì che il metodo esatto da se-
        
        
          guire nelle scienze sociali non fos-
        
        
          se quello delle equazioni matema-
        
        
          tiche, ma la deduzione delle
        
        
          implicite caratteristiche contenute
        
        
          nelle verità assiomatiche - in bre-
        
        
          ve, la prasseologia. Per de Tracy,
        
        
          l’assioma corretto fondamentale
        
        
          è che «l’uomo è un essere sensibi-
        
        
          le»: da ciò si deduce che ogni ve-
        
        
          rità può essere colta con l’osser-
        
        
          vazione e la deduzione, non
        
        
          attraverso la matematica. Per de
        
        
          Tracy, questa «scienza della com-
        
        
          prensione dell’umano» è il fonda-
        
        
          mento per tutte le scienze umane.
        
        
          Thomas Jefferson (1743-1826)
        
        
          era stato amico e ammiratore dei
        
        
          philosophes e degli ideologi dagli
        
        
          anni ’80 del XVIII secolo, durante
        
        
          i quali era diplomatico in Francia.
        
        
          Quando gli ideologi assaporarono
        
        
          un po’ di potere politico nel pe-
        
        
          riodo del consolato di Napoleone,
        
        
          nel 1801, Jefferson fu nominato
        
        
          membro dell’Institut National.
        
        
          Gli ideologi - Cabanis, du
        
        
          Pont, Volney, Say e de Tracy - in-
        
        
          viarono a Jefferson i loro scritti e
        
        
          ricevettero in risposta calorosi in-
        
        
          coraggiamenti. Dopo che ebbe fi-
        
        
          nito il Commentario su Monte-
        
        
          squieu, de Tracy mandò il mano-
        
        
          scritto a Jefferson chiedendogli di
        
        
          tradurlo in inglese. Jefferson ne
        
        
          tradusse di buon grado una parte;
        
        
          il completamento e la pubblica-
        
        
          zione del lavoro furono merito del
        
        
          pubblicista del giornale di Phila-
        
        
          delphia William Duane. In questo
        
        
          modo, il Commentario apparve in
        
        
          lingua inglese (1811) otto anni
        
        
          prima che potesse essere pubbli-
        
        
          cato in Francia. Quando Jeffeson
        
        
          inviò una copia dell’opera a de
        
        
          Tracy, l’entusiasta filosofo si sentì
        
        
          spinto a concludere il suo
        
        
          
            Traité
          
        
        
          
            de la volonté
          
        
        
          ;
        
        
          lo inviò rapidamen-
        
        
          te a Jefferson chiedendogli di tra-
        
        
          durre anche quel volume. Jeffer-
        
        
          son apprezzò moltissimo il Traité.
        
        
          Anche se lui stesso aveva fatto
        
        
          molto per preparare la guerra con-
        
        
          tro la Gran Bretagna nel 1812,
        
        
          non si faceva illusioni riguardo al
        
        
          debito pubblico, l’alta tassazione,
        
        
          le spese governative, le valanghe
        
        
          di monete cartacee, e il fiorire dei
        
        
          monopoli bancari che accompa-
        
        
          gnarono il conflitto.
        
        
          Aveva capito che il suo Partito
        
        
          Democratico-Repubblicano aveva
        
        
          esattamente adottato la politica
        
        
          economica degli odiati federalisti
        
        
          hamiltoniani, e gli attacchi di de
        
        
          Tracy a queste politiche lo indus-
        
        
          sero a cercare di ottenere la tra-
        
        
          duzione inglese del Trattato. Inviò
        
        
          nuovamente il manoscritto a Dua-
        
        
          ne, ma questi si rovinò economi-
        
        
          camente, e Jefferson si limitò a re-
        
        
          visionare l’incompleta traduzione
        
        
          di Duane. Infine il testo venne
        
        
          pubblicato nel 1818 e intitolato
        
        
          Trattato sull’economia politica.
        
        
          L’ex presidente degli Stati Uniti
        
        
          John Adams, le cui posizioni in di-
        
        
          fesa di una moneta strettamente
        
        
          connessa all’oro erano vicine a
        
        
          quelle di Jefferson, accolse il Trat-
        
        
          tato di de Tracy come il miglior
        
        
          libro di economia mai pubblicato.
        
        
          Lodò particolarmente il capitolo
        
        
          di de Tracy sul denaro che difen-
        
        
          deva «i sentimenti che ho nutrito
        
        
          nel corso di tutta la vita». Adams
        
        
          aggiunse che «le banche hanno in-
        
        
          flitto più danni alla religione, alla
        
        
          moralità, alla quiete, alla prospe-
        
        
          rità e ad ogni bene della nazione
        
        
          di quanti benefici possano [...] mai
        
        
          regalare. Tutto il nostro sistema
        
        
          bancario mi ha sempre ripugnato,
        
        
          mi ripugna ancora adesso e do-
        
        
          vrebbe scomparire nel disprezzo
        
        
          generale… Ogni banca il cui inte-
        
        
          resse è di essere pagata, o che ri-
        
        
          cerca un qualsiasi profitto ottenu-
        
        
          to dal deponente, non è altro che
        
        
          una forma di corruzione».
        
        
          Non più tardi del 1790, Tho-
        
        
          mas Jefferson definì
        
        
          
            La ricchezza
          
        
        
          
            delle nazioni
          
        
        
          il miglior libro di
        
        
          economia politica, assieme alle
        
        
          opere di Turgot. Un suo amico, il
        
        
          vescovo James Madison (1749-
        
        
          1812),
        
        
          che fu presidente del Wil-
        
        
          liam and Mary College per 35 an-
        
        
          ni, fu il primo professore di
        
        
          economia politica negli Stati Uniti.
        
        
          Libertario, aveva da tempo sotto-
        
        
          lineato che “l’uomo è nato libe-
        
        
          ro”; e usava
        
        
          
            La ricchezza delle na-
          
        
        
          
            zioni
          
        
        
          come libro di testo. Nella
        
        
          sua prefazione al Trattato di de
        
        
          Tracy, Thomas Jefferson espresse
        
        
          il desiderio che il libro diventasse
        
        
          il testo fondamentale dell’econo-
        
        
          mia politica in America. Per un
        
        
          po’ lo William and Mary College
        
        
          adottò il Trattato di de Tracy per
        
        
          l’insistenza di Jefferson, ma questo
        
        
          primato non durò a lungo. Presto
        
        
          il Trattato di Say surclassò de Tra-
        
        
          cy nella gara per la popolarità ne-
        
        
          gli Stati Uniti.
        
        
          Il pericoloso “panico” del 1819
        
        
          confermò le opinioni in materia
        
        
          di banche di Jefferson, rigorosa-
        
        
          mente a favore alla moneta me-
        
        
          tallica. Nel novembre di quell’an-
        
        
          no, elaborò una proposta
        
        
          riparatrice per la depressione; co-
        
        
          m’era nelle sue corde chiese al-
        
        
          l’amico William C. Rives che ve-
        
        
          nisse presentata all’assemblea
        
        
          legislativa della Virginia senza ri-
        
        
          velarne l’autore. L’obiettivo del
        
        
          progetto, «la perpetua sospensione
        
        
          della banconota», era dichiarato
        
        
          schiettamente. Ci si proponeva di
        
        
          ridurre gradualmente la moneta
        
        
          in circolazione alla sola moneta
        
        
          metallica; il governo dello Stato
        
        
          doveva imporre il completo ritiro
        
        
          delle banconote in cinque anni, e
        
        
          prelevare ogni anno un quinto del-
        
        
          le banconote per restituirle in mo-
        
        
          nete metalliche dello stesso valore.
        
        
          Inoltre, la Virginia avrebbe dovuto
        
        
          dichiarare reato l’accettazione da
        
        
          parte delle banche di banconote
        
        
          di qualsiasi altro Stato. Alle ban-
        
        
          che che si fossero oppose al piano
        
        
          sarebbe stata revocata la licenza,
        
        
          o sarebbero state costrette a resti-
        
        
          tuire immediatamente in monete
        
        
          metalliche tutto il loro denaro car-
        
        
          taceo. In conclusione, Jefferson di-
        
        
          chiarò che nessun governo, statale
        
        
          o federale, avrebbe dovuto avere
        
        
          il potere di istituire una banca; al
        
        
          contrario la circolazione del de-
        
        
          naro si sarebbe dovuta limitare al-
        
        
          la moneta metallica.
        
        
          Traduzione di Paolo Amighetti
        
        
          dal sito dell’Istituto
        
        
          Ludwig von Mises Italia
        
        
          Da “An Austrian Perspective
        
        
          on the History of Economic
        
        
          Thought, vol. 2,
        
        
          Classical Economics” (1995)
        
        
          II
        
        
          CULTURA
        
        
          II
        
        
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          CULTURA
        
        
          II
        
        
          Thomas Jefferson e l’economia di mercato
        
        
          Jefferson apprezzò
        
        
          moltissimo il “Traité
        
        
          d’économie politique”
        
        
          di Jean-Baptiste Say.
        
        
          Anche se lui stesso
        
        
          aveva fatto molto
        
        
          per preparare la guerra
        
        
          contro la Gran Bretagna
        
        
          nel 1812, non si faceva
        
        
          illusioni riguardo al
        
        
          debito pubblico, l’alta
        
        
          tassazione, le spese
        
        
          governative,
        
        
          le valanghe di monete
        
        
          cartacee, e il fiorire
        
        
          dei monopoli bancari
        
        
          che accompagnarono
        
        
          il conflitto. E, non più
        
        
          tardi del 1790,
        
        
          definì “La ricchezza
        
        
          delle nazioni”
        
        
          di Adam Smith
        
        
          il miglior libro
        
        
          di economia politica,
        
        
          assieme alle opere
        
        
          di Jacques Turgot
        
        
          K
        
        
          
            Thomas JEFFERSON
          
        
        
          
            L’OPINIONE delle Libertà
          
        
        
          DOMENICA 3 FEBBRAIO 2013
        
        
          
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