Una tassa è una tassa è una tassa: anche i due euro sui pacchi

martedì 16 dicembre 2025


Sappiamo che i Governi ci vogliono tassare, ma dovrebbero almeno smettere di pretendere che è per il nostro bene

Giusto un paio di settimane fa scrivevamo che, ogni volta che si discute di patrimoniali sui ricchi, si finisce a tassare i poveri. Puntualmente, è arrivato l’emendamento del Governo alla legge di bilancio per imporre un balzello di due euro sui pacchi di valore inferiore a 150 euro – inizialmente immaginato per tutte le spedizioni, poi circoscritto a quelle provenienti da Paesi extraeuropei. Rischia di essere un enorme passo falso per Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti: a maggior ragione se, come sembra probabile, da luglio se ne aggiungerà un’altra di matrice europea, pressoché identica, del valore di tre euro. L’Esecutivo spera di prendere due piccioni con una fava: ricavarne gettito fiscale (122,5 milioni di euro nel 2026 e circa il doppio a partire dall’anno successivo) e proteggere i commercianti italiani da forme di concorrenza “sleale”. Non è la prima volta che si cercano strumenti per impedire ai consumatori di perseguire il proprio interesse e soddisfare i propri bisogni. Ma la misura potrebbe rivelarsi un boomerang.

Partiamo dagli obiettivi dichiarati dalla norma: contrastare gli acquisti online e, nelle argomentazioni più sofisticate, compensare le esternalità negative legate ai lunghi viaggi che le merci devono percorrere. Non serve discuterne granché. È abbastanza evidente che, appena sotto la superficie, si cela un intento protezionista: e non solo, in senso stretto, per contrastare l’importazione di beni dall’estero, ma molto più terra-terra per difendere i canali fisici di distribuzione e vendita. Piaccia oppure no, gli stili di consumo delle persone ormai sono cambiati in modo irreversibile, e gli stessi commercianti devono adattarsi valorizzando il proprio vantaggio competitivo (che fondamentalmente riguarda il rapporto diretto e fiduciario con l’acquirente). Pensare che i consumatori smetteranno di acquistare online per effetto del balzello è del tutto illusorio. Forse lo faranno meno e certamente si sforzeranno di mitigare gli impatti della nuova tassa, per esempio accorpando gli acquisti: e magari questo potrebbe indurli addirittura a utilizzare in modo più intensivo l’e-commerce. Le stesse piattaforme potrebbero adottare contromisure, per esempio utilizzare centri logistici europei, come del resto diverse tra le più grandi già fanno (anche per ragioni di costi). Quindi, alla fine dei conti il gettito potrebbe essere ben inferiore alle attese.

Ma se prendiamo per buone le stime, allora la norma è ancora più discutibile. La soglia di 150 euro è molto elevata, rispetto alla maggioranza degli acquisti che facciamo su Internet: siano essi libri, come piacerebbe agli intellettuali, o ninnoli da regalare o regalarsi, raramente si va oltre la decina o le poche decine di euro. L’incidenza dei due euro (che potrebbero diventare cinque) è enorme. Con un paradosso politico: dopo aver attaccato (giustamente) il presidente Donald Trump per le sue scomposte politiche protezionistiche, italiani ed europei lo stanno seguendo e anzi superando. Proprio l’abolizione dell’esenzione de minimis sugli acquisti di piccolo importo, in vigore dal 1938, ha suscitato grandi polemiche negli Usa.

Ma il modello americano prevede l’applicazione del dazio in vigore sul paese da cui la merce proviene: quindi, per esempio, un acquisto dall’Europa è soggetto a un dazio del 15 per cento. Ipotizzando un prezzo di 10 euro, la tassa sarebbe di 1,5: molto meno dei due italiani, dei tre europei e ancora più dei cinque complessivi. E a farne le spese saranno ovviamente i compratori che più spesso acquistano beni a basso prezzo e, presumibilmente, di non eccelsa qualità: i più poveri. Le giustificazioni addotte da Washington, Bruxelles e Roma sono diverse: la Casa Bianca dice che serve a contrastare le importazioni illegali di fentanyl, l’Unione europea chiama in causa la tutela dei consumatori e la garanzia degli standard ambientali e lavoristici, Palazzo Chigi la concorrenza sleale. Vale per tutti ciò che hanno scritto Phil Magness e Alberto Mingardi commentando l’iniziativa trumpiana: “Se l’obiettivo di un politico è tassare, regolamentare e restringere le scelte dei consumatori, allora sarebbe meglio lasciar cadere il pretesto che lo sta facendo per il nostro bene”.


di Istituto Bruno Leoni