lunedì 3 novembre 2025
Sassolini di Lehner
Attendiamo con ansia che la magistratura riapra i casi di Abele e Remo, riesaminando indizi e prove sul vero ruolo di Caino e Romolo. Sulla condizione della giustizia italiana la domanda è: Cu fu? Magari spunteranno nuovi testimoni oculari o passanti orecchianti, i quali potrebbero rivelare la presenza sulla scena dei delitti di zone d’ombra, nonché di oscuri figuri di massonerie deviate, di accordi mafia-Stato, fin qui sfuggiti alle indagini forensi. Anche su Gneo Marcio Coriolano qualche procura dietrologica si chiede perché fu esiliato invece che gettato dalla Rupe Tarpea. Mentre si riaprono tutti casi giudiziari dalla Creazione sino a Garlasco, è d’uopo dedicarsi a questioni serie e fondamentali per i cittadini come la riforma della giustizia e il prossimo referendum confermativo. L’imperativo categorico è affrancare la liberaldemocrazia dai “pieni poteri” di un Ordine lievitato a dismisura.
La magistratura combattente non possiede, in questo frangente, l’arma dell’avviso di garanzia preventivo, per azzoppare l’Esecutivo e condizionare l’opinione pubblica. Lo stesso circo mediatico-giudiziario ha perduto i suoi forcaioli migliori, a cominciare da Paolo Mieli, da tempo pentito per aver servito in ginocchio il pool di Milano. Ergo, la casta si deve arrabattare, anzi attaccare al tram di Gottfried Leibniz in direzione retoricume spinto. Ispirata dal filosofo-magistrato di Lipsia predicherà sullo status quo giudiziario con altisonante magniloquenza, sino a immortalarlo come il migliore dei mondi togati possibili. Purtroppo, è spuntato fuori un Voltaire di nome Carlo Nordio, pronto a triturare a colpi di dati reali le visioni rosee e l’ottimismo con superficialità a mach 2, a conferma del fatto che Nordio, il Voltaire pessimista, altro non è che un ottimista finalmente bene informato. Il destino cinico e baro abbattutosi sull’Anm fa sì, per giunta, che Giorgia Meloni non sia ricattabile, né incriminabile. A questo ci pensa, ma in solitaria, la Francesca Albanese, che, in nome del turbo pro-Palismo, vorrebbe in galera tutti i leader occidentali.
Giorgia, pur essendo romana de Roma – Roberto D’Agostino, nato sulla Luna, l’accusa di efferata Garbatella – non è nemmeno censurabile per espressioni volgari rivolte alle toghe. La premier non cazzeggia foneticamente, misura le parole, rimanendo, anche nelle reazioni più accese, nei limiti della civile polemica politica con lievi accenti romaneschi. I ricercatori di incontinenza lessicale sino al turpiloquio continuato e aggravato dovrebbero, piuttosto, compiere indagini all’interno della stessa corporazione o, meglio, casta faraonica togata, verificando se sia davvero, anche rispetto al galateo linguistico, il migliore dei mondi possibili. Mi viene in mente un politico serio come Marco Minniti, caduto sotto la mannaia del vocabolario da angiporto del magistrato Emilio Sirianni. Da costui Minniti si prese dello “pseudo-comunista burocrate che ha leccato il culo a Massimo D’Alema per tutta la vita”.
Parolacce a parte, manca il senso: perché mai sarebbe un falso comunista chi fu contiguo al tuttora giammai pentito comunista D’Alema? Lo stesso ineducato rozzo dicitore definì il collega Nicola Gratteri “fascista di merda ma soprattutto un mediocre, un mediocre e ignorante”. Insomma, vocabolario da comunicati delle brigate rozze. Il ritratto, peraltro, non risulta per niente verosimile e neppure incoraggiante per la corporazione, visto che Gratteri occupa a pieno titolo il ruolo di stopper contro la separazione delle carriere. Da notare, a conferma che qualcosa non funziona nella casta, l’ulteriore schiaffo all’oltraggiato Gratteri da parte del Csm. Infatti, non venne sanzionata la trivialità di Sirianni e tantomeno la sputtanescion verticale della presunta obiettività della magistratura ad opera dello stesso Emilio.
Con encomiabile sincerità prossima all’autolesionismo, questo magistrato “democratico” disse chiaro e tondo a Domenico Lucano: “Magistratura democratica è nata con una cultura della corporazione, dicendo noi non siamo giudici imparziali, o meglio noi non siamo indifferenti, noi siamo di parte, siamo dalla parte, siamo dalla parte del più debole, perché questo è scritto nella Costituzione”. Gli stilemi drammaturgici diversissimi di Sirianni e Meloni-Nordio disvelano la vera tragedia della magistratura combattente, ridotta al ruolo di un leibnitius ridimensionato a raccattaballe con annessa scurrilità. Nordio riafferma la civiltà giuridica di Giuliano Vassalli, che fu e rimane un gigante davanti ai sei pollici dei lillipuziani corporativi.
di Giancarlo Lehner