venerdì 31 ottobre 2025
Nel bestiario della politica vi è un nome che riecheggia: Francesca Albanese. Chi è costei? Niente di che, una ragazza dell’Appennino campano – nasce ad Ariano Irpino in provincia di Avellino – che ha conseguito una laurea in giurisprudenza e un master in diritti umani presso la School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra. Dal 2020 inizia un dottorato di ricerca in diritto internazionale dei rifugiati presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Amsterdam, come dichiara nel suo curriculum vitae: “PhD Candidate (Refugee Studies), University of Amsterdam, School of Law (2020-present)”. Un profilo biografico come quello di tantissimi giovani che, nel mondo, affrontano la carriera accademica. Ma con una particolarità: nonostante la povertà del percorso di studi, per una di quelle ragioni note soltanto agli iniziati delle ristrette cerchie che controllano gli incarichi nelle istituzioni internazionali, la signora Albanese si ritrova a essere dal 1° maggio 2022 Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967.
Un incarico che sarebbe stato appropriato per un diplomatico di lungo corso, ma tant’è. In tale veste, la nostra connazionale ha cominciato a osservare (da lontano) la condizione dei palestinesi nei territori a loro destinati dagli accordi di Oslo del 1993. Non è che abbia visto granché. Per dirla tutta, ha guardato in una sola direzione – quella israeliana – omettendo di volgere lo sguardo alle malefatte dell’altra parte, palestinese. Tale unilateralità nella valutazione degli accadimenti che storicamente hanno interessato quella infinitesima porzione di mondo, ha condotto la signora Albanese ha costruire una narrazione della vicenda israeliano-palestinese falsa, tendenziosa, superficiale. Non un capolavoro per una persona incaricata di un ruolo tanto prestigioso. In compenso, un ottimo viatico per costruirsi un futuro in politica. L’ultimo documento in ordine di tempo è stato reso noto qualche giorno fa: il Rapporto del Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, [A/80/492, 20 ottobre 2025]. L’abbiamo letto, una roba da voltastomaco. La signora Albanese si ostina a definire genocidio ciò che l’esercito israeliano ha fatto a Gaza. Non è una novità.
Lo scorso luglio la relatrice speciale per conto Onu ha stilato un report per la 59ª Sessione del Consiglio per i diritti umani riunito a Ginevra dal 16 giugno fino al 9 luglio, dal titolo: “Dall’economia dell’Occupazione all’economia del Genocidio”. Ma già in precedenza la signora Albanese si è espressa sulla medesima linea di pensiero. Il report consegnato alla 55ª sessione del Consiglio dei diritti umani (26 febbraio-5 aprile 2024), con all’ordine del giorno la Situazione dei diritti umani in Palestina e in altri territori arabi occupati si intitolava “Anatomia di un genocidio”. Insomma, un chiodo fisso per la Albanese la storia del genocidio a Gaza. Non che i singoli report contenessero elementi di novità significativi dal punto di vista della individuazione del quadro probatorio, atteso che l’analisi è stata sviluppata a distanza dai luoghi esaminati per stessa ammissione della relatrice. Le carte rimestano i soliti concetti a cui la Albanese si è aggrappata per sostenere la sua scioccante testi genocidaria.
Dal punto di vista filosofico, per la Albanese il genocidio si palesa come un elemento intrinseco del colonialismo. Citando Raphael Lemkin, giurista polacco padre putativo del termine “genocidio”, tale deve intendersi “un insieme di diversi atti di persecuzione o distruzione”, che vanno dall’eliminazione fisica alla “disintegrazione forzata” delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali e della religione di un popolo. E questo che avrebbero fatto gli israeliani ai danni dei palestinesi? Ma come si può sostenere una castroneria del genere senza essere in totale malafede? Quindi, per l’Albanese i palestinesi come i Nativi americani negli Stati Uniti d’America, i primi popoli in Australia o gli Herero in Namibia. Scrive l’Albanese: “L’acquisizione di terre e risorse indigene è l’obiettivo del colonialismo, la sola esistenza dei Popoli Indigeni rappresenta una minaccia esistenziale per la società dei coloni”.
Si vede che la signora di Ariano Irpino da quelle parti non c’è stata. Che cosa avrebbero rubato gli israeliani ai palestinesi? Pezzi di deserto dell’ex impero Ottomano punteggiati da qualche oasi, da quattro tende beduine e da un po’ di capre? È stato il mirabile lavoro svolto dagli israeliani nel rendere fertile il nulla che ha dato qualche speranza di sopravvivenza anche ai palestinesi, e non viceversa. Il disprezzo per la verità storica che la Albanese manifesta è sorprendente. Nelle sue ricostruzioni non si fa alcun riferimento alle aggressioni subite dagli israeliani da parte dei vicini arabi. Neanche una parola sul terrorismo islamico-palestinese che ha minato per anni la serenità della vita individuale e collettiva degli israeliani. Nel report, a fronte delle innumerevoli occasioni in cui ricorre la parola genocidio associato a Israele, non appare mai la parola “Hamas”. Il terrorismo islamico-palestinese per la signora Abanese è un non-problema. Al più, deve essere giustificato come una reazione inevitabile a un crimine più grave. Alla faccia della moderazione e della serena equidistanza che dovrebbe caratterizzare la missione di un osservatore dell’Onu.
Ma c’è di più nell’ultimo report. Il genocidio in corso a Gaza sarebbe un crimine collettivo, cioè “sostenuto dalla complicità di influenti Stati terzi che hanno permesso a lungo termine violazioni sistematiche del diritto internazionale da parte di Israele”. È scritto proprio così. Roba da non credere! Gli Stati terzi – tra cui ovviamente spicca l’Italia – avrebbero contribuito con la loro complicità alla costruzione di una narrazione “coloniale” della disumanizzazione dei palestinesi. Per la signora Albanese il crimine non è il pogrom compiuto dai palestinesi di Hamas in territorio israeliano il 7 ottobre 2023 ma il sostegno civile e militare che gli Stati terzi offrono al regime dell’apartheid imposto dagli israeliani ai palestinesi. Siamo alla follia pura. Leggete cosa scrive: “Alla luce di questa complicità, questo rapporto dimostra che il genocidio in corso dei palestinesi deve essere inteso come un crimine promosso a livello internazionale. Molti Stati, principalmente occidentali, hanno facilitato, legittimato e infine normalizzato la campagna genocida perpetrata da Israele. Descrivendo i civili palestinesi come scudi umani e il più ampio assalto a Gaza come una battaglia di civiltà contro la barbarie, hanno riprodotto le distorsioni israeliane del diritto internazionale e dei luoghi comuni coloniali, cercando di giustificare la propria complicità nel genocidio”.
L’utilizzo di civili palestinesi come scudi umani non sarebbe un comportamento vigliacco e feroce dei terroristi di Hamas ma un luogo comune colonialista. Che schifo! Che disgusto! A noi il 7 ottobre è marchiato a fuoco nella mente e nel cuore. Ci siamo sentiti fragili, e in qualche modo sporchi. Ci siamo chiesti se fosse stata anche un po’ colpa nostra, della nostra scarsa attenzione al grido di dolore che da troppi anni risuonava inascoltato dalle terre d’Israele. Ci siamo sentiti un po’ complici, sì ma delle bestie terroriste per il solo fatto di aver chiuso gli occhi quando fiumi di denari europei affluivano copiosi a Gaza e con quei denari Hamas comprava armi e costruiva cunicoli. Siamo stati un po’ complici quando abbiamo visto che nelle scuole di Gaza si insegnava ai bambini che tra il fiume Giordano e il mare vi fosse un buco sulla carta geografica perché il niente si chiama Israele. Per la signora Albanese invece il 7 ottobre ha rappresentato un altro film: “Dopo il 7 ottobre 2023, la maggior parte dei leader occidentali ha ripetuto acriticamente le narrazioni israeliane, diffuse dai media statali e aziendali, ripetendo affermazioni di cui è stata dimostrata la falsità, e cancellando le distinzioni fondamentali fra combattenti e civili”. Cioè, il massacro sarebbe stato un fake.
Questa è la signora Albanese, una connazionale di cui ci vergogniamo profondamente mentre la sinistra la porta in giro come una madonna pellegrina, detentrice di verità. Ha detto bene l’ambasciatore italiano all’Onu, Maurizio Massari, riguardo al report presentato dalla Albanese: “completamente privo di credibilità e di imparzialità. Come Italia, non ne siamo sorpresi”. Come a dire: l’Albanese? È carta nota. Sarà, ma non è una bella cosa che a rappresentare l’Italia in un consesso internazionale sia un personaggio del genere. Questa volta non basta una scrollatina di spalle e via. C’è una Farnesina che dovrebbe sapere tutto di ciò che si muove nel mondo. Allora si dia da fare per capire come ci sia finita l’Albanese all’Onu. Quali siano stati i percorsi per la sua presa in carico; sponsorizzati da chi. Vi erano altri profili, ritenuti meno idonei del suo, candidati a ricoprire quel ruolo? E poi, lo stimato economista Massimiliano Calì, marito della signora Albanese, ha avuto un qualche ruolo nell’ingresso della signora di Ariano Irpino all’Onu, dal portone principale?
Lui, oltre a essere stato Senior country economist per la Banca mondiale in Tunisia, nel 2011 ha svolto una consulenza per il Ministero delle Finanze dell’Autorità palestinese, in collaborazione con l’Undp, il Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo. Un dettaglio che la signora Albanese avrebbe omesso di citare nel curriculum. Non che questa puteolente vicenda debba scuoterci più del dovuto. Resta tuttavia il retrogusto sgradevole generato dalla convinzione – quasi certezza – che questa signora ce la ritroveremo a breve a scorrazzare sulla scena politica nostrana – magari sotto le accoglienti insegne della sinistra radicale – con chi sa quali altre idee gloriose da spacciare.
di Cristofaro Sola