lunedì 27 ottobre 2025
Nei sondaggi politici, i numeri sono un indice del gradimento di cui partiti e leaders godono presso l’opinione pubblica, ma dietro alle cifre ci sono rapporti concreti, personali, esistenziali, che eccedono i dati numerici. In genere, infatti, i sondaggi traducono in termini quantitativi orientamenti e sentimenti politici che sono sempre, per loro essenza, di carattere qualitativo, ed è quest’ultimo che occorre esaminare per comprendere il senso dei numeri.
Nel caso della politica italiana degli ultimi tre anni, a far data cioè dall’insediamento del governo Meloni, i dati dicono che i partiti che formano la maggioranza di governo continuano a ricevere un consenso stabile e che il presidente Giorgia Meloni ha raggiunto un indice di consenso che sfiora il 50 per cento, tanto che i più autorevoli sondaggisti ne sono sorpresi, al punto da dire, riassumo, che una tale solidità del consenso per i partiti di governo a così grande distanza dall’inizio della legislatura è un fatto inedito, perché di solito dopo meno di un anno dall’insediamento si registra un calo di consenso e una crescita dei partiti di opposizione. Consenso inedito dunque, e proprio perciò degno di attenzione, dentro e fuori dei confini nazionali. Non a caso infatti molti e importanti osservatori stranieri hanno ripetutamente dedicato analisi e commenti positivi al Governo italiano e al Presidente del Consiglio, evidenziando la stabilità complessiva dell’Italia in un quadro geopolitico molto inquieto, derivata proprio da una qualificata azione di leadership esercitata da Giorgia Meloni.
È da questo dato di fatto, cioè dalla stabilità meloniana, che bisogna partire per qualsiasi analisi, a qualsiasi livello venga condotta, sulla situazione politica, sociale ed economica dell’Italia attuale. Altrettanto fondamentale è comprendere come si è arrivati a questa stabilità.
Per chi conosce i percorsi politico-culturali, le qualità morali e le capacità direttive di Giorgia Meloni, la situazione attuale appare come una logica conseguenza del dispiegamento di quei percorsi, quelle qualità e capacità sul piano istituzionale del governo della nazione. D’accordo, ma la realtà spesso genera eventi che mettono a dura prova le qualità di un leader finendo talvolta per imbrigliarle o annullarle. E gli eventi che si sono succeduti nel corso dei primi tre anni di Governo Meloni sono paragonabili a terremoti. A elencarli si corre il rischio di dimenticarne qualcuno: l’interminabile e orribile guerra che la Russia ha sferrato all’Ucraina e all’Europa intera; il pogrom del 7 ottobre perpetrato da Hamas contro Israele e contro il popolo ebraico, con la conseguente devastazione di Gaza e le sofferenze della sua popolazione; gli sconvolgimenti economici causati da fattori esterni all’Occidente (come la crescente avanzata cinese o il rafforzamento dell’area dei cosiddetti BRICS, di cui si è avuta un’inquietante rappresentazione il 2 settembre 2025 con la parata di Pechino) e da sconquassi interni (come il parziale e speriamo temporaneo scollamento dell’unità euro-americana, i perniciosi dazi imposti da Washington o le inerzie burocratico-politiche dei vertici dell’Unione Europea); le difficoltà economiche dell’Europa connesse con l’impegno finanziario e militare a fianco dell’Ucraina; senza dimenticare la sempre tossica atmosfera politica e sociale causata dalla sinistra italiana, che pur di colpire gli avversari non esita a infiammare le piazze e a indebolire il Paese, applicando la vecchia teoria sovietica secondo cui ogni mezzo è buono pur di raggiungere lo scopo.
Basti dunque esaminare questi fattori per capire che non era affatto scontato che il Governo Meloni conseguisse gli ottimi risultati che può legittimamente vantare. Di questa buona conduzione della nazione gli italiani sono consapevoli e da qui scaturisce il consenso che i sondaggi continuano a riportare. Era inevitabile che molti problemi venissero risolti solo in parte, ma proprio in ciò consiste lo stimolo per il Governo ad alzare l’asticella del risultato, e anche di questa proiezione dell’impegno gli elettori sembrano consapevoli e soddisfatti.
Le quotazioni del Presidente del Consiglio riflettono dunque questa valutazione positiva, in un circolo virtuoso oggettivamente constatabile: Giorgia Meloni e il suo Governo lavorano bene, gli italiani manifestano il loro apprezzamento, Giorgia e il Governo intensificano il loro sforzo, e a beneficiarne è la nazione intera.
Il consenso deriva dalla concretezza di questo lavoro collettivo e dalla buona reputazione che ha in primo luogo il Presidente del Consiglio. Reputazione è un termine molto usato nella comunicazione odierna; si parla perfino di reputazione digitale o di web reputation. Per chiunque, avere una buona nomea è di grande importanza, e lo è ovviamente anche per i politici. Ma reputazione è un concetto a doppio taglio, che può essere autenticamente fondato ma anche manipolabile, perché può dipendere da una presunzione più o meno fondata. Nel vasto mare della rete informatica e delle sue ramificazioni sociali, la reputazione galleggia e ondeggia, secondo le fluttuazioni della convenienza o del gusto.
Molto più solido e univoco invece è il concetto di affidabilità, che supera l’arbitrarietà della mera presunzione e si radica nell’oggettualità del giudizio. Nel rapporto fra politici ed elettori che si estende nel tempo, l’affidabilità sta su entrambi i lati della sequenza temporale: viene dopo, perché è legata alla valutazione positiva dell’opinione pubblica; ma sta anche prima, perché per essere tale, l’affidabilità dev’essere già da prima in sintonia con il popolo. Reputazione è un concetto formale, affidabilità è un concetto concreto. Reputazione è un dato acquisito, affidabilità è una qualità primaria. Con una solo apparente tautologia, potremmo dire: bisogna possedere affidabilità, per essere affidabili.
Giorgia Meloni è affidabile non perché ha un’eccellente reputazione, ma ha un’eccellente reputazione perché è affidabile. Ed è affidabile non solo perché agisce in modo da garantire determinati esiti positivi (lato futuro della linea temporale), ma anche perché possiede una sintonia con quel sentire del popolo che precede ogni valutazione sull’operato (lato temporale anteriore). Si può agire bene o meno, in modo efficace o improduttivo, ma la consonanza con il popolo c’è o non c’è. E in Giorgia Meloni, indubitabilmente c’è.
Chiariamo subito: in questa sintonia meloniana non c’è traccia di populismo, perché il populista è colui che capta gli umori della gente e, con crudo cinismo, senza nemmeno credere in ciò che sostiene, dice ciò che il popolo si aspetta di sentire. Il populista strumentalizza il popolo e proprio perciò populismo è un concetto trasversale agli schieramenti politici. Infatti, una delle astuzie della sinistra è stata certamente quella di rappresentarsi come non populista, mentre in realtà la sinistra, da sempre e ovunque, ha non solo strumentalizzato il popolo ma lo ha perfino schiavizzato: populismo della peggiore specie. In nome del popolo, politici senza scrupoli hanno commesso crimini spaventosi. È ora di smascherare quell’ipocrisia che sequestra il popolo vivente appropriandosi del concetto.
Se dunque il populista fiuta l’aria e la segue blandendo il popolo, Giorgia Meloni stabilisce un rapporto diametralmente opposto: elabora e procede, crea l’aria e poi trova l’adesione del popolo. È ovvio che il politico deve ascoltare le esigenze del popolo, ma corrispondere alle istanze dei cittadini non significa adularli e poi raggirarli, come appunto fa il populismo.
Altro necessario chiarimento: per i populisti di qualsiasi parte e in particolare per i comunisti (oggi camuffati da progressisti), popolo è una categoria separata dalle élites e per quanto ampia possa essere la fascia che lo costituisce è inteso sempre come uno strato di classe, mentre per i liberali e per conservatori autentici il popolo è – o almeno dovrebbe essere – un concetto unitario, nel quale si riflettono tutti gli strati sociali e nel quale si riconosce l’intera nazione. Ed è in questa originale e innovativa accezione nazional-popolare che si riflette la concezione meloniana di «popolo».
Il popolo, così ora definito, ritiene dunque che Giorgia Meloni sia affidabile. Affidabilità significa anche, come sapevano i greci che avevano pensato la parola pistis o i latini con la parola fides, lealtà. È affidabile colui sul quale si può fare affidamento, ed è affidabile chi è leale. Persino la celeberrima phronesis aristotelica, quella saggezza politica che ha il tratto della prudenza, può essere concepita come una forma dell’affidabilità.
La sintonia con il popolo, da cui scaturisce l’affidabilità meloniana, è data da una forma contemporanea dell’antica parresia, dal parlare chiaro e quindi dal dire il vero, un atteggiamento che sta agli antipodi rispetto al ben noto doppio discorso teorizzato e praticato dai comunisti e dai loro attuali epigoni progressisti per dissimulare le loro vere intenzioni, che potrebbero indisporre o spaventare gli elettori. Meloni invece non maschera niente, assumendosi anche tutti i rischi di questa parresia in un ambiente politico e sociale pieno di insidie e di tranelli, ed è perciò che è apprezzata e benvoluta dal popolo.
Giorgia ha dimostrato, con le idee e con i fatti, che la destra (insisto: quella autentica, liberalconservatrice) può governare con successo una grande nazione come l’Italia e ricevere un plauso che, al netto dell’opposizione parlamentare ed extraparlamentare, viene dal popolo in tutte le sue dimensioni. Le nitide e sincere relazioni con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sono un ulteriore e brillante segno della capacità di governo della destra meloniana e dei suoi alleati. Oltre che nell’efficace azione governativa nel suo insieme, pur con tutti i limiti che ogni azione umana sempre include, il bilancio positivo e lusinghiero dei primi tre anni di governo trova il suo baricentro e il suo vertice proprio nell’affidabilità che caratterizza la figura politica e personale di Giorgia Meloni.
di Renato Cristin