Nel nome di Charlie

mercoledì 24 settembre 2025


La scorsa domenica, a Glendale in Arizona, erano in 200mila, o forse più, ad assistere al funerale/commemorazione di Charlie Kirk, un eroe americano. Charlie era giovane e piaceva ai giovani per quella sua formidabile capacità di parlare alla gente di valori non negoziabili, di idee solide come la roccia, di fede incrollabile in Gesù Cristo e nell’America, di legge naturale e di lotta alle ideologie post-naturali figlie del relativismo culturale. Kirk è stato un convinto conservatore, nemico giurato del wokismo e del gender ma, nel contempo, è stato un combattente onesto e leale. Non altrettanto lo è stato il suo assassino, al quale è occorsa una pallottola e un tiro di precisione per arrestare il flusso incessante di idee e di argomentazioni che sgorgavano da quella fonte inesauribile di intelligenza e di sentimento che è stato Charlie. Tanto odiato dai suoi nemici progressisti quanto amato dai sostenitori conservatori a tutte le latitudini del potere della destra americana. Dall’ultimo hillbilly dei monti Appalachi fin su all’inquilino della Casa Bianca, che non ha fatto mistero del suo debito di gratitudine verso chi lo ha aiutato a vincere la sfida delle Presidenziali, facendo avvicinare alle ragioni del popolo Maga il pur scettico mondo giovanile. Charlie, da vivo, è stato il campione di un’altra America, quella che si oppone alle derive nichiliste di un progressismo senza limiti, autoreferenziale; da morto, incarna l’icona immortale di quel mondo e di quella storia.

Un’icona che ha varcato l’Oceano e ha messo piede in Europa, sulla sponda conservatrice. Kirk, eroe ultra limes della destra occidentale. In Italia, a ricordarlo, in simultanea, sono stati Matteo Salvini e Giorgia Meloni, a dimostrazione che taluni Pantheon possono essere condivisi e non necessariamente contrapposti per ragioni di bassa bottega elettorale. Naturalmente, a pensarla male facendo peccato di stoltezza, è stata la solita “intellighenziadi sinistra, la quale non ha perso l’occasione per sputare l’ennesima sentenza sbagliata. Tralasciando l’ondata d’insulti e meschinità che hanno riversato sulla memoria del povero Kirk – omofobo, xenofobo, razzista, re-immigrazionista, amico dei nazisti, suprematista, antisemita, antiabortista, anti-gender, anti-femminista e molte altre cose ancora di segno negativo – i “coltiprogressisti si sono trovati d’accordo nel leggere nei comportamenti di Salvini e della Meloni una corsa a intestarsi l’eredità dell’eroe americano per recuperare consensi a destra. In particolare, i due si contenderebbero il messaggio religioso che il compianto Kirk aveva declinato in chiave politica, oltre che morale e valoriale.

Domanda: perché questi supponenti tromboni progressisti non studiano un po’ prima di sfornare stupidaggini? Se avessero conosciuto meglio il mondo della destra radicale, non sarebbero incorsi nell’errore da matita blu. La storia della destra radicale dalla fine della Seconda Guerra mondiale solo parzialmente, e in aggregazioni residuali, si è riconosciuta in un’adesione forte al tradizionalismo religioso, cattolico in particolare. La natura delle anime ideologiche che si sono sviluppate a destra del Movimento sociale italiano avevano, prevalentemente, un’ispirazione pagana, ghibellina, iniziatica, talvolta agnostica, in linea con le correnti del pensiero spiritualista, anti hegeliano. Un’eterodossia ideale che era stata accolta, non senza sospetti, nel grembo delle due ideologie dominanti nel primo Novecento: quella fascista e quella nazionalsocialista. Riguardo al richiamo a un’interpretazione identitaria, radicale, dell’appartenenza religiosa, bisogna riferirsi alla storia politica e intellettuale di un leader carismatico quale fu il rumeno Corneliu Zelea Codreanu e al movimento legionario della Guardia di Ferro (nato come Legione dell’Arcangelo Michele).

Se proprio volessimo stare al gioco dei “sinistri” nel metterla sul piano della geografia elettorale, l’improbabile sfida tra Meloni e Salvini nel nome di Kirk si svolgerebbe in vista di un traguardo che non è a destra degli schieramenti, ma al centro. Sì, una corsa al centro. Perché lì? Perché il centro è stato negli anni della Prima Repubblica il luogo di confluenza naturale di un cospicuo bacino elettorale di cattolici, credenti in un universo valoriale che, in politica, la Democrazia cristiana ha solo parzialmente – e malamente – rappresentato. Nella realtà storica, la Dc ha disatteso le aspettative conservatrici e tradizionaliste di quel mondo il quale, purtuttavia, ha continuato a votarla, magari turandosi il naso, perché facesse da argine al pericolo del comunismo incombente. Una volta cessato l’allarme quello steso popolo si è autoconsegnato al mondo sospeso dei delusi dalla politica e non vi ha fatto più ritorno.

Inutile cercare nei protagonisti della storia recente i responsabili di un tale straniamento dalla politica partecipata. La responsabilità va ricercata negli anni in cui la Democrazia cristiana tradì il suo mandato di partito garante dell’unità dei cattolici in politica avallando, da forza di potere, la scristianizzazione della società attraverso la sottomissione al paradosso gramsciano in forza del quale la religione dovesse essere declassata a fattore individuale negandole una fisicità che, nei secoli, ne aveva fatto la forza di spinta dell’ortodossia della fede nel campo della politica. Fu la Dc a consentire che il complesso dei valori non negoziabili di cui il cattolicesimo era portatore venisse accantonato per trovare una sintesi con il laicismo e il comunismo nell’enfatizzazione dell’antifascismo assunto a fattore comune della democrazia. È accaduto che, nei decenni della ricostruzione economica e morale della Nazione, i cattolici in politica non solo accettassero passivamente e senza opporre soverchie resistenze la scristianizzazione della società ma si ponessero sulla scia di un processo di svuotamento ideale, etico e progettuale della politica che, in prospettiva, avrebbe trasformato l’azione politica in attività meramente gestionale in una società secolarizzata. Il cattolicesimo democratico, che nella sua fase terminale sfocerà nell’aberrazione del “cattocomunismo”, verrà utilizzato dai vertici democristiani come grimaldello per la spoliticizzazione della fede cattolica a vantaggio dell’instaurazione nella vita pubblica della Nazione di un innaturale laicismo tecnocratico.

Il più bizzarro dei paradossi lo si riscontra nel fatto che in un’Italia cattolica, la cultura cattolica fosse stata progressivamente emarginata fino a diventare un’espressione minoritaria, censurata dal mainstream del progressismo egemone quale espressione di un pensiero reazionario, collocato fuori dal perimetro della storia. Fateci caso: tutti hanno sentito anche solo nominare gli sconfitti dalla storia Karl Marx, Lenin, Antonio Gramsci e più o meno sanno chi siano stati e cosa abbiano fatto. Ma quanti conoscono un Antonio Rosmini, un Jacques Maritain o soltanto – per rimanere dalle nostre parti – un Augusto Del Noce? Bisogna andare su Wikipedia per vedere chi siano stati costoro. Con lo smantellamento costante dall’apparato valoriale cattolico, non solo la società è mutata antropologicamente: sono mutati i cattolici. Ma non tutti. Vi è ancora quella “massa dormiente” che potrebbe essere ridestata dal ritorno in politica dalle medesime idee e parole d’ordine che sono state un balsamo per la coscienza dell’America profonda.

Charlie Kirk non era un cattolico ma un evangelico. La differenza non è di poco conto e non riguarda solo l’appartenenza confessionale. Tuttavia, la sua ricetta, di facile lettura e di larga presa, focalizzata sull’arroccamento a difesa di principi non negoziabili, può essere esportata con successo nel mondo dello scontento cattolico che ne patisce la deriva laico-progressista. Cosa chiedeva Charlie? Che non si uccidessero vite umane innocenti tramite l’aborto di Stato; che si difendesse e si promuovesse la famiglia naturale fatta di una mamma e di un papà non del medesimo sesso; che vi fossero “buonescuole per i figli. Kirk lottava contro le ideologie post-naturali del gender e del wokismo; mostrava i pericoli dell’immigrazionismo, soprattutto islamico, foriero di destabilizzazione delle nazioni. Cose semplici, lineari, che in Italia un segmento di potenziali elettori riterrebbe giusto riportare al centro del dibattito politico, come ritiene auspicabile tornare a coinvolgere Gesù Cristo nelle dinamiche quotidiane della vita pubblica della comunità, sottraendolo alla cattività della sfera privata individuale entro la quale il cattolicesimo democratico l’ha rinchiuso.

Ecco allora spiegata la corsa a due, Salvini-Meloni, ad abbracciare Kirk, come incubatore elettorale per il recupero, dal centro, di una massa dormiente di cattolici in cerca di un’identità smarrita.


di Cristofaro Sola