venerdì 4 luglio 2025
Non siamo meteorologi (al più, meteoropatici). E neppure siamo tuttologi, come, purtroppo, tanti in circolazione nel mondo dei media. Ragione per la quale non proveremo ad avventurarci in sproloqui sul disastro climatico, sul mondo in ebollizione, sullo scioglimento dei ghiacciai, sugli oceani che divoreranno le terre emerse. L’unica certezza che possiamo consegnare alla conoscenza è la seguente: fa un caldo della malora. Tuttavia, la colonnina del mercurio che sale non è, di per sé, una ragione sufficiente perché i soliti furbi ci prendano per i fondelli. Se di meccanica dei fluidi e di termodinamica non sappiamo niente, di certo conosciamo a dovere la prima regola della politica che recita: “In politica, nulla è mai come appare”. Vale sempre, a maggior ragione quando si parla di clima. Perciò, proviamo a riflettere tenendo costantemente d’occhio quella regola aurea. L’allarme per il caldo eccessivo si è repentinamente trasformato in allarmismo. Si aprono i telegiornali con la notizia che qualche povero cristo sia passato a miglior vita a causa delle temperature da bollino rosso. Non importa sapere se il malcapitato fosse malconcio di suo.
Non conta! Ciò che serve è che quella morte venga donata alla santa causa dell’allarmismo sociale. Giacché siamo i perfidi maliziosi di sempre, ci domandiamo: Cui prodest? Risposta: a un sacco di gente, il cui unico interesse è lucrare. Qualunque possa essere il genere di profitto da ottenere. Fa comodo alle opposizioni, che possono accusare il Governo di non fare nulla per fronteggiare l’aumento delle temperature. Fa comodo alle associazioni ambientaliste, che beccano una montagna di prebende pubbliche per fare le prefiche professioniste sui disastri combinati dal capitalismo e dall’aspirazione degli uomini al benessere. Fa comodo alle lobby e ai gruppi di pressione, che puntano a fare oceani di denari imponendo una transizione ecologica che non ha capo né coda, ma che è destinata a spremere le poche sostanze economiche che ancora restano ai più poveri per trasferirle nelle tasche già stracolme dei pochi ricchissimi. Fa comodo ai cinesi, inquinatori seriali, per spingere quei “bamba” degli europei a disfarsi definitivamente delle proprie filiere manifatturiere, come da decenni hanno fatto gli Stati Uniti, per comprare tutto made in China. Fa comodo al caravanserraglio delle Nazioni Unite, che nelle battaglie strampalate e antistoriche ritrova una vacua ragion d’essere.
Fa comodo all’eurocrazia di Bruxelles, che giustifica il proprio potere per i decenni a venire, perché i divieti comportano postille, commi e sottocommi, note, a margine e in calce, glossari, armonizzazioni giuridiche, precisazioni, appendici alle regole vigenti e, inevitabilmente, burocrati chiamati a occuparsene. Lo chiamano “Deep State”, Stato profondo, ma in Europa quella profondità arriva alle porte dell’inferno. Chilometri di regole che sono catene ai polsi dei cittadini. E delle imprese. Di nefandezze nella storia ne sono state fatte e viste di tutti i generi. Ciò che le accomunava era la particolarità che tutte o quasi venivano giustificate come l’ottemperamento di una volontà superiore, trascendente l’umana comprensione. “Dio lo vuole”, era il grido di battaglia dei Crociati. Oggi non è diverso, la crociata alla quale dei governanti animati dalla più bieca malafede vogliono obbligarci è fraudolentemente motivata dall’appagamento di una volontà superiore: quella del nuovo dio dell’ambientalismo climatico.
E se, un tempo, i potenti reclutavano un’invasata visionaria da mettere alla testa dei loro eserciti, oggi si ripetono. La Giovanna d’Arco dei giorni nostri? Greta Thunberg, la ragazzina dall’espressione eternamente ingrugnata. E noi, stupidi allocchi, dovremmo berci tutte le stupidaggini che ci raccontano sull’apocalisse prossima ventura? Ma se ne vadano a ramengo! Lo diciamo dritto per dritto: il problema climatico c’è e nessuno lo nega, ma non è affamandoci e condannandoci all’inedia che lo si risolve. La soluzione non è tornare a fare i bucolici. Almeno non lo è per coloro che non hanno conti bancari a cinque zeri o non sono debosciati figli di papà che, per ammazzare la noia, giocano a fare gli ambientalisti. Smettere di produrre alle condizioni finora in uso presso gli apparati industriali e con i mezzi di produzione alimentati da energie fossili, allo scopo di ridurre le emissioni di carbonio nell’atmosfera, è il suicidio di una civiltà, di un mondo che ha ruotato perennemente intorno all’asse valoriale del lavoro, della fabbrica e della manifattura. Le idee che porta avanti la Commissione europea, imponendo per legge tempi accelerati al raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050, con una tappa obbligata al 2040 di riduzione delle emissioni inquinanti del 90 per cento, è una roba che non sta in cielo né in terra.
Darsi un tale genere di traguardi significa condannare a morte la produzione industriale tradizionale e alla fame e alla disperazione un’ampia fascia di popolazione. E cosa ce ne faremo di un continente più green se, nel frattempo, saremo tutti crepati di stenti e di inedia e appiedati perché un’auto elettrica alle condizioni di mercato date, resta per tantissimi un miraggio? I cimiteri sono green, ma non per questo vorremmo affrettare il passo per prendervi dimora. E poi, ce lo siamo chiesti come vivranno le prossime generazioni, che dovranno vedersela con i nuovi padroni che verranno da Est e parleranno cinese? Compreranno tutto da loro, che saranno così magnanimi da fornirgli quel minimo di sostentamento economico per acquistare ciò che loro producono: è il corso satanico della vita secondo il vangelo green. E dovranno dar via la proprietà delle loro case perché non avranno i denari per adeguarle alle regole scritte nei testi sacri dell’ambientalismo ideologico. E saranno alla mercé di chi, dall’estero, le comprerà per un piatto di lenticchie concedendogli di continuare a viverci da affittuari. Se questa è la prospettiva, fuck you Unione europea! Fuck you, Ursula von der Leyen! Ci andassero piano i “gretini” arruolati in servizio permanente: su un tale giro di vite, il solitamente tranquillo ceto medio è in grado di scatenare una rivoluzione. D’altro canto, quando non si ha più niente da perdere si tenta il tutto per tutto. Ora, dei progressisti non parliamo perché sappiamo che sono i traditori dell’interesse nazionale.
Ma di Giorgia Meloni sì. Su questa vicenda la sentiamo un po’ più afona del solito. E il fatto che lei tenga molto a farsi vedere in giro con la von der Leyen potrebbe rivelarsi un danno invece che un vantaggio. Il Governo italiano deve scolpirlo sulla pietra: il Green deal che ha in testa l’Unione europea è una follia che deve essere fermata. A qualsiasi costo. Se perfino Emmanuel Macron dice che è una roba da pazzi furiosi, cosa sta aspettando Palazzo Chigi ad alzare la paletta dello stop? Si vuole fare qualcosa contro il cambiamento climatico? Si parta allora dalla prevenzione per mettere in sicurezza i territori dal rischio idrogeologico connesso alla mutazione del clima. Si può fare, basta la volontà politica di orientare la spesa pubblica nella giusta direzione. Vi è un settore del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destinato alla transizione ecologica. Una barcata di miliardi di euro per implementare l’economia circolare, l’agricoltura sostenibile, le energie rinnovabili, le infrastrutturazioni di rete; rendere virtuoso il ciclo di smaltimento dei rifiuti.
Azioni importanti che di certo aiuteranno il sistema-Paese ad adeguarsi alle esigenze di un ragionevole adattamento al cambiamento climatico. Ma se è di energia pulita che ci dobbiamo preoccupare, allora l’imperativo categorico che deve impegnare la nazione è il ritorno, il più repentino possibile, al nucleare. Se vogliamo fare a meno del carbone, del petrolio e del gas, sole e vento non bastano per soddisfare il bisogno energetico di società avanzate quali sono quelle occidentali. Serve il nucleare. E il Governo di centrodestra non abbia paura a dirlo ai cittadini e a fare ciò che serve per accelerare i tempi della transizione al nucleare. E per il caldo odierno? Bisogna tornare al Panama (nel senso del cappello) e a indossare abiti fatti di tessuti freschi (si raccomanda il lino). Una bottiglia d’acqua sempre a portata di mano e stare a casa nelle ore più calde dotandosi (per chi non ce la fa a permettersi un condizionatore d’aria) di un ventaglio (se ne vendono di bellissimi). E, vedrete, che anche questa passa. Perché, ahinoi, tutto passa.
di Cristofaro Sola