Strabismo politico

mercoledì 2 luglio 2025


Riportano le cronache che Roberto Saviano, querelato dal ministro Matteo Salvini per averlo definito “ministro della mala vita”, nel corso di una recente udienza ove si celebrava il processo a suo carico per diffamazione, si sia lamentato della querela, intimando a Salvini di vergognarsi per averla presentata. Riportano ancora che a quella udienza erano presenti – per sostenere pubblicamente le ragioni di Saviano – alcuni noti scrittori italiani: Chiara Valerio, Nicola Lagioia, Sandro Veronesi. Orbene, in che senso codesti signori intendevano sostenerle? Non è chiaro. Intendevano affermare che l’espressione usata da Saviano a proposito di Salvini sia lecita? Ma allora essi non fanno che anticipare un giudizio che invece spetta esclusivamente al giudice davanti al quale pende la controversia. Intendevano, invece, sostenerlo dal punto di vista psicologico? Oppure mostrare al giudice che loro sono in ogni caso in sintonia umana e culturale con Saviano, al di là di qualunque decisione egli possa adottare? Oppure, infine, intendevano mostrare a tutti dove sta la ragione e dove invece il torto?

In ogni caso, questo vezzo di partecipare alle udienze di uno scrittore accusato di aver diffamato altri, per tutelarne l’immagine pubblica a prescindere dal giudizio che verrà formulato, si è ormai inflazionato, riducendosi a una sorta di pasticciata carovana di sedicenti benpensanti che ritengono d’essere essi soltanto per divina virtù depositari della verità dei rapporti sociali e delle formulazioni giuridiche: mentre gli altri, tutti gli altri sono ovviamente in errore. Ma appunto poiché si tratta di una prassi ormai stancamente e banalmente ripetitiva, ogni interesse decade. Invece, può mantenere un interesse cercare di comprendere per qual motivo non solo Saviano, ma anche altri esponenti della sinistra (politica o culturale) che si trovino a esser querelati per diffamazione da un ministro, da un sottosegretario o comunque da un politico, diano voce alla medesima geremiade, lamentando di trovarsi in una situazione insostenibile, dal momento che – così ripetono – il querelante è un potente, mentre loro sono semplici cittadini, per definizione deboli e indifesi.

Essi, insomma, lamentano un’evidente sproporzione di forze fra il querelante – potente e ricco – e il querelato – fragile e povero, denunciando perciò come ingiusta a priori la querela di cui sono destinatari e come cinico profittatore chi a essa abbia fatto ricorso, nel sottinteso che il giudice ne sarà influenzato e non sarà imparziale. Ora, che queste cose vengano denunciate proprio da esponenti della sinistra appare poco comprensibile per il semplice motivo che son proprio costoro a ribadire sempre e in ogni dove che i giudici italiani sono indipendenti e imparziali e che perciò del loro giudizio bisogna fidarsi al di là di ogni ragionevole dubbio, in quanto ciascuno di loro riuscirà sempre a dare a ciascuno il suo, senza farsi influenzare in alcun modo dalla posizione di potere rivestita da una parte o dall’altra. Ne viene che siccome questa contraddizione appare oggettivamente insanabile – perché è impossibile che una cosa sia e non sia nello stesso tempo e sotto il medesimo riguardo (cioè che i giudici siano imparziali e nello stesso tempo non lo siano) – bisogna concludere che Saviano, gli scrittori che lo sostengono e coloro che assumono tale contraddizione sono affetti da un grave strabismo politico che impedisce loro di vedere al di là del proprio naso.


di Vincenzo Vitale