Il mondo piccolo della sinistra italiana

lunedì 9 giugno 2025


L’overdose di movimentismo a cui la sinistra ci condanna ha pur sempre un che di salutare. E per questo dovremmo esserle grati. Gli schiamazzi di piazza, generosamente mescolati con grossolane invettive contro la destra – nostrana e mondiale – restituiscono una nitida rappresentazione del progetto politico dei progressisti qualora, sciaguratamente, dovessero tornare alla guida della Nazione. La manifestazione pro-Palestina dello scorso sabato in Piazza San Giovanni a Roma è un ulteriore tassello del sinistro mosaico che si va componendo sottoforma di campo progressista. Sull’iniziativa, discretamente partecipata (forse 300mila?) non intendiamo aprire un dibattito, tanta è scontata la propaganda demagogica anti-israeliana che ha impregnato le motivazioni della mobilitazione. Ciò che, invece, interessa evidenziare è il quadro d’insieme di un’ipotetica politica estera perseguita da un Governo targato Partito democratico-Movimento 5 stelle-Alleanza Verdi e Sinistra.

Dall’elenco escludiamo volutamente Italia Viva e Azione di Carlo Calenda, per la semplice ragione che il loro apporto in termini elettorali a una coalizione ampia dei progressisti potrebbe non essere determinante a causa del probabile mancato raggiungimento della soglia minima di accesso alla rappresentanza parlamentare. Quindi, restiamo alla photo opportunity dello scorso fine settimana con Elly Schlein, Giuseppe Conte e la premiata ditta Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli a fare bella mostra di sé. Se dovessero essere loro i prossimi inquilini di Palazzo Chigi, della Farnesina e del Viminale, quale Italia sarebbe? Quale la sua immagine da proiettare all’estero, nelle relazioni con gli altri Stati? L’assioma da cui si dipana la strategia progressista è il seguente: non si dialoga, non si fanno affari, non si collabora con i Governi che non ci piacciono; che non sono sulla stessa lunghezza d’onda degli ideali progressisti; che stanno dall’altra parte della barricata ideologica.

Se tale è la premessa discriminante, che è di metodo ma anche di sostanza, proviamo a fare una simulazione di scenario partendo dall’odierno quadro politico globale. Il Governo Schlein – sarebbe la leader del Partito democratico in quanto maggiore raggruppamento della coalizione a guidarlo, in assenza di un federatore o di un “papa straniero” che non sono alle viste – romperebbe le relazioni diplomatiche con l’Ungheria di Viktor Orbán perché quest’ultimo ritenuto un dittatore, nemico giurato dei progressisti. Fin qui poco male, perché la nostra economia vanta un export, rilevato al 2024, di 5 miliardi 528 milioni di euro verso il Paese della Mitteleuropa. È un volume d’affari di cui si potrebbe fare a meno. Comunque, il danno economico sarebbe nulla rispetto all’enorme vantaggio propagandistico che la sinistra ne ricaverebbe nel dichiarare ai quattro venti: noi con i fascisti ungheresi? Neanche un caffè. Ok, cancelliamo Budapest dalla carta geografica delle relazioni estere di Roma.

Poi, però, cominciano i problemi. Perché di destra in Europa non c’è solo Orbán ma altri piccoli conservatori/sovranisti crescono altrove. In Slovacchia, c’è il leader nazionalista Roberto Fico, che non è il gemello separato alla nascita del Roberto Fico grillino attualmente parcheggiato nell’hangar del Movimento 5 stelle in attesa di sistemazione. Il suo populismo, soprattutto sulla lotta all’immigrazione, è, se possibile, più radicale di quello di Viktor Orbán. Perciò, niente rapporti con la Slovacchia. In Albania c’è il premier Edi Rama. Si dirà: finalmente un socialista. Neanche per idea, lui è quello che si è accordato con l’odiata Giorgia Meloni per la creazione dei “lager” in terra albanese in cui rinchiudere gli immigrati illegali che l’Italia non vuole. All’epoca fu la rappresentanza italiana del Pd all’interno del Partito socialista europeo a chiedere l’espulsione con infamia di Rama. Richiesta che non ebbe successo e fu pesantemente spernacchiata da tutti i “compagnieuropei del Pse.

Una Schlein primo ministro potrebbe abbracciare e baciare un simile traditore della causa progressista e liberal? No, non potrebbe. Allora cassiamo l’Albania dall’elenco dei Paesi in rapporti privilegiati con l’Italia. Poi, però, ci sono la Polonia e l’Olanda che sono due Nazioni in bilico dal punto di vista delle relazioni con un’ipotetica Italia progressista. In Polonia di recente ha conquistato la presidenza Karol Nawrocki, espressione del sovranismo polacco, sostenuto dai conservatori del PiS (Prawo i Sprawiedliwość), che in Europa sono stretti alleati di Giorgia Meloni. La vittoria della destra ha messo in grave difficoltà il fragile Governo di Donald Tusk che potrebbe cadere a breve. Se dovesse tornare la destra al potere in Polonia, Varsavia bye-bye. In Olanda, invece, un Governo di destra c’era ma è stato messo in crisi dal Partito per la Libertà (Pvv) di Geert Wilders, amico e sodale in Europa di Matteo Salvini e di Marine Le Pen. Il sovranista Wilders punta a tornare alle urne perché ritiene di avere ottime chance di conquistare i numeri sufficienti a formare un Governo sotto la sua guida. Se ciò dovesse accadere come si posizionerebbe la sinistra italiana al potere? Fine dei rapporti anche con l’Olanda.

Finora abbiamo considerato lo scenario europeo dove insistono piccole realtà statuali – oltre a quelle citate, ve ne sono altre con le quali un ipotetico Governo Schlein farebbe fatica a relazionarsi – ma ora non posiamo evitare di parlare del vero elefante nella stanza che si chiama Donald Trump. I “compagni” lo hanno detto pubblicamente: Giorgia Meloni dovrebbe chiudere con Washington finché c’è il tycoon alla Casa Bianca. È ragionevole pensare che se a Palazzo Chigi adesso ci fosse la Schlein, la linea con Washington sarebbe irrimediabilmente interrotta. Quindi, niente più Stati Uniti d’America.

E che dire del presidente argentino Javier Milei, che va in giro con una motosega, che adora Giorgia Meloni e che si dice conservatore e liberista duro e puro? Per l’Italia progressista, niente più Argentina. Oggi il diktat della piazza antisemita e pro Hamas di sabato: chiudere con Israele che è genocida, con quel criminale di Benjamin Netanyahu che fa strage dei “poveriterroristi islamisti e dei loro fiancheggiatori e prodigarsi perché uno Stato di Palestina vi sia e vada dalle rive del Giordano a quelle del Mediterraneo, che significa la cancellazione dello Stato ebraico dalla faccia dell’orbe terracqueo. Quindi, rapporti Italia-Israele kaputt. Cosa resta? Ben poco. C’è Lula – al secolo Luiz Inácio da Silva – in Brasile che per i “compagni” rappresenta l’usato sicuro. Lui sì che è un amico da coltivare. Proprio lui, che se fosse stato presidente del Brasile all’epoca della cattura di quell’assassino terrorista “rosso” di Cesare Battista non ce l’avrebbe mai consegnato perché scontasse da noi la meritata galera.

Ci sarebbero alcune marginali realtà africane e asiatiche con cui provare a dialogare. Alla fine della fiera, all’Italia progressista resterebbe la carta cinese da giocare. Grazie ai buoni uffici di Giuseppe Conte che di liaisons con il leader cinese Xi Jinping ne sa parecchio, la Elly Schlein presidente del Consiglio potrebbe trovare un interessato lord protettore nel capo della più grande tirannia del pianeta. Il prezzo da pagare sarebbe altissimo – l’Italia avamposto dell’espansionismo cinese nel Vecchio Continente – ma cos’è che non si paga su questa Terra? E per quale obiettivo? Dare al nostro Paese un mondo piccolo, ridotto, con cui relazionarsi in un tempo storico che premia le ideologie conservatrici e diffidenti verso la globalizzazione senza regole e verso le ideologie woke.

La nostra digressione potrebbe apparire un divertissement giornalistico concepito per occupare il tempo libero. Volesse il cielo che lo fosse. Purtroppo, è tutto maledettamente realistico. Le ipotesi profilate non sono peregrine ma hanno fondamento nelle dichiarazioni pubbliche e nelle prese di posizione parlamentari dei leader del capo progressista. Sebbene sia ovvio che un conto è governare altro è fare propaganda a buon mercato dai banchi dell’opposizione e che quando si approda al Governo tutto quello che è stato detto prima non valga più ma intervenga la ragion di Stato, rimane un quid sui convincimenti profondi di questa sinistra che non può essere sottovalutato o negato. Gli elettori, gli italiani, devono esserne coscienti perché quando, nel prossimo futuro, saranno chiamati a decidere a chi affidare le chiavi del proprio destino individuale e collettivo sappiano compiere la scelta giusta. Perché a nessuno verrà concessa l’attenuante del “non sapevo”.

Stavolta, lo diciamo alla maniera dei magistrati del pool di Mani pulite: Nessuno poteva non sapere, votando per la sinistra, in quali mani si stesse mettendo e a quale infausto destino avesse condannato l’Italia.


di Cristofaro Sola