venerdì 23 maggio 2025
Stefano Vitelli, il giudice che assolse Alberto Stasi nel primo grado di giudizio, ha rilasciato una lunga e, a mio avviso, esemplare e istruttiva videointervista alla Stampa. Dopo aver ripercorso i passaggi salienti del procedimento che lo convinsero a pronunciare un verdetto favorevole all’unico imputato dell’epoca, Vitelli chiude il suo intervento con qualcosa che somiglia molto a un accorato appello nei confronti di una deriva giudiziaria che noi, nel nostro piccolo, abbiamo spesso denunciato su queste pagine: “Comunque vada questo caso di Garlasco, il ragionevole dubbio è un valore importantissimo, culturale – ha sentenziato il magistrato – che ci deve unire tutti. Tutti noi: dal magistrato, all’avvocato, all’opinione pubblica. Perché come ci insegnano i maestri rimane (il ragionevole dubbio) un insegnamento insuperabile. È meglio un colpevole fuori che un innocente dentro. Anche mia mamma, che non c’è più, quando io studiavo le carte di questo e di altri processi, nel farmi la pasta mi diceva questo; e aveva la quinta elementare”.
Ebbene, al di là della montagna di falsità e di leggende metropolitane, spacciate per prove schiaccianti dalla preponderante informazione colpevolista, sulla reità di quello che fu definito spregiativamente “il ragazzo dagli occhi di ghiaccio”, le parole di questo coraggioso magistrato spero che contribuiscono a squarciare il velo di colpevole compiacenza (colpevolezza passata da tempo in giudicato nella coscienza dei pochi garantisti di questo disgraziato Paese) che trasforma buona parte di tale informazione da cane da guardia del potere – in questo caso giudiziario – a semplice e acritico megafono di chi sostiene la pubblica accusa. Tutto questo, non ci stancheremo mai di stigmatizzarlo, si manifesta con tutta una serie di processi mediatici inscenati su alcuni popolari canali televisivi, in cui per l’appunto vengono propalate vere e proprie balle spaziali, che nella maggior parte dei casi anticipano quasi in fotocopia gli esiti del processi giudiziari. Tanto è vero che, malgrado le clamorose novità degli ultimi giorni, Chi l’ha visto?, anche nel corso dell’ultima puntata ha mantenuto una linea colpevolista nei confronti dell’uomo condannato a 16 anni di carcere.
A conclusione del lungo servizio dedicato alla sempre più ingarbugliata vicenda, l’inviato in collegamento da Garlasco, Vittorio Romano, ha riassunto uno degli indizi a carico di Stasi che all’inizio delle indagini avrebbero fatto accendere un campanello d’allarme agli inquirenti, ovvero il fatto che il ragazzo non si fosse accorto, dopo aver ritrovato il corpo esanime della fidanzata, che il suo volto fosse coperto di sangue. Ebbene, lo stesso giornalista, dopo aver comunque sottolineato che ciò “non era abbastanza per far condannare Alberto Stasi, perché poteva essere un momento di suggestione e di grande stress emotivo. Ricordiamo – ha aggiunto – in primo grado Alberto Stasi è stato assolto, così come in secondo grado. Poi è stato condannato per tutt’altri motivi. Sono altri gli elementi a carico di Alberto Stasi che ora sembrano dimenticati”. Ecco, dopo che persino il procuratore generale della Cassazione, Oscar Cedrangolo, espresse dubbi sulla sua colpevolezza, evidenziando l’insufficienza probatoria e chiedendo l’assoluzione o il rinvio ulteriore in Appello, saremmo curiosi di conoscere dal buon Romano quali sarebbero questi gravi elementi a carico che sembrano caduti nell’oblio, perché allo stato attuale non siamo ancora riusciti a trovare uno straccio di prova in grado di far superare quel sempre più dimenticato ragionevole dubbio che aveva portato alla doppia assoluzione dell’imputato.
di Claudio Romiti