Brevi riflessioni come bilancio del pontificato di Papa Francesco

mercoledì 23 aprile 2025


I pontefici sono forgiati da Dio nel Conclave, ma i pontificati sono plasmati dagli uomini nella curia. Tenendo presente questo assioma occorre riconoscere che in due millenni di storia della Chiesa il suddetto principio è stato declinato secondo differenti modalità, proponendosi a volte pontefici divini con pontificati immersi nei celesti interessi, e, altre volte, pontefici divini con pontificati dispersi nelle umane vicende. Probabilmente l’una cosa non esclude l’altra, poiché in fondo il ruolo di un romano pontefice – come si evince dal suo stesso etimo – è proprio quello di congiungere le vicissitudini terrene con il diuturno richiamo di Dio, così che forse tutti i pontificati dovrebbero comunque essere considerati sullo stesso piano poiché è da reputare buono tanto un pontificato di un pontefice che ha sussurrato degli uomini all’orecchio di Dio, quanto quello di un pontefice che è stato ambasciatore di Dio presso gli uomini. Sicuramente, però, un criterio differenziante si può individuare, nella diversità di impostazione, poiché una cosa è il tentativo di cristianizzare la storia, altra cosa, opposta e contraria, è quella di storicizzare il Cristianesimo (e con esso la Chiesa).

Nel primo caso, infatti, il Cristianesimo, la Chiesa e i pontefici risultano essere più aderenti al messaggio evangelico che, in quanto soteriologico ed escatologico, non è congegnato per rinchiudere la salvezza nei ceppi della temporalità, ma è interamente finalizzato al trascendimento della dimensione immanente e materiale della vita e della storia. In questa prospettiva, la storia, i suoi protagonisti, e tutti gli uomini devono abbandonare i vicoli ciechi del proprio io per incamminarsi sulla via tracciata da Dio. Se così non fosse, del resto, il Cristianesimo non sarebbe diverso dalle mille utopie politico-ideologiche che nel corso dei secoli hanno promesso la realizzazione del paradiso in terra. Grazie a Dio, invece, il Cristianesimo è qualcosa di ben diverso. Nel secondo caso, invece, tutto si rovescia e il Cristianesimo e la Chiesa vengono ridotti alle piccole e insignificanti vicende storiche, nascendo così falsi problemi come quello della democrazia all’interno della Chiesa, quello del ruolo della donna nella liturgia, o di altre simili amenità. In questa seconda prospettiva la Chiesa, i cristiani e Dio stesso devono inginocchiarsi dinnanzi alla realtà storica e a quest’ultima prestare ultima e incontestabile obbedienza perché la salvezza si otterrebbe soltanto all’interno del recinto del tempo e della sua immanenza. Del resto è anche pur vero che mai come negli ultimi due o tre decenni l’istituzione pontificia ha attraversato una così pesante, ruvida e apparentemente insolubile crisi con pontefici a cui sono stati sottratti importanti documenti dalla propria scrivania, pontefici dimissionari, pontefici senza dottrina teologica, ma pur fedeli alla dottrina morale della Chiesa e altri incredibili analoghi accadimenti. La crisi dell’istituzione pontificia, del resto, non è altro che la crisi della Chiesa, cioè di un Cattolicesimo che da diverse decadi oramai ha finito di essere cattolico, cioè universale, dividendosi, almeno, in due grandi e generali fazioni: da un lato, infatti, si trova – in misura minoritaria – un Cattolicesimo fideistico, che avendo quasi adottato il tema del “sola fide” di matrice protestante si è rinchiuso in una torre d’avorio mistica, insensibile e indifferente alle risorse della ragione, come anche e soprattutto alle umane tragedie, ritenendo che invocare e attendere l’intervento divino sia in sostanza l’unico vero compito del cristiano; dall’altro lato, invece, in misura maggioritaria, si trova un Cattolicesimo sociologico che intende la Chiesa come una mera istituzione sociale tra le altre istituzioni sociali, e che come tale non deve lasciarsi sedurre dalle superstizioni popolari, dal culto e dalla liturgia, dai comandamenti, dalla tradizione morale e teologica, dal ragionamento e dal discernimento tra ciò che è bene e ciò che è male, ma deve occuparsi sempre e soltanto delle problematiche economiche, sociali e politiche che connotano l’intera esistenza costellata di drammi e problemi.

Dinnanzi a questo scenario così fatiscente, rispetto alla glorioso epoca passata del Cattolicesimo, e complesso, rispetto alle visioni semplicistiche oggi così di moda, – che molti stessi cattolici e uomini di Chiesa ignorano, o peggio, negano – bisogna chiedersi che pontificato sia stato quello di Francesco, pur nella consapevolezza che non si potrà mai avere una risposta esaustiva in un così breve spazio di analisi. In primo luogo: occorre sempre considerare l’elemento umano che distingue un pontefice dai suoi predecessori, sia perché l’uomo non è una macchina sempre uguale a se stessa, sia perché pare che Dio scelga ogni pontefice in ragione di specifiche differenti peculiarità. In questo senso Francesco non era certo un filosofo come Giovanni Paolo II, e quindi non aduso a penetrare la realtà con i mezzi della razionalità, né un teologo come Benedetto XVI, e quindi non aduso a insegnare la verità rivelata con rigore metodologico. Francesco, però, ha dimostrato capacità pastorali che – almeno per alcuni – hanno reso l’istituzione cattolica più prossima al mondo contemporaneo, cioè un mondo non soltanto privo di fede come un qualunque mondo secolarizzato, ma soprattutto privo di razionalità e, ancor peggio, di umanità, che all’essere ha preferito l’apparire, che al ragionamento esteso preferisce il tweet, che è tutto piegato sul proprio stesso ego e che non riesce più a distinguere il vero dal falso, il bene dal male, il bene oggettivo da quello soggettivo, il maschile dal femminile, l’est dall’ovest, il naturale dall’artificiale, la libertà dalla schiavitù. Se essere umani in un tale contesto è difficile, essere il pontefice è sicuramente ben più arduo compito, chiunque sia chiamato a ricoprire questo ufficio. In secondo luogo: Francesco, come prima di lui Benedetto XVI, ha dovuto fronteggiare le spaccature interne sia al mondo cattolico, con le spinte scismatiche dei cattolici tedeschi, sia quelle interne alla curia romana che è apparsa sempre più legata a fenomeni mondani e profondamenti anti-cristiani.

Limitandosi soltanto al primo punto occorre riconoscere che in questo caso, il problema è strettamente di natura politica, cioè della politica interna alla Chiesa, e anch’esso di difficile soluzione: in quanto pontefice si sarebbe dovuto spendere per tenere unito l’orbe cattolico evitando lo scisma tedesco (di cui in questa sede non si possono discutere cause e tematiche), o avrebbe dovuto far attraversare alla Chiesa l’ennesimo scisma con il conseguenziale carico di sofferenza, confusione e conflitti dottrinali, teologici e di qualunque altra specie? Ogni critica di questi delicatissimi equilibri interni al mondo cattolico suggerita senza ponderarne attentamente e profondamente cause ed effetti, soprattutto quelli di lungo periodo, non appare reale né intellettualmente onesta. In terzo luogo: alla mancanza di una profondità teologica, come quella di molti suoi predecessori, Papa Francesco ha sopperito, però, attraverso una costante e incessante riproposizione del magistero morale della Chiesa soprattutto sui cosiddetti “temi bioetici”: aborto, eutanasia, sessualità. L’aborto, infatti, soprattutto quello eugenetico ampiamente diffuso in tutto l’Occidente, è stato definito dal Papa argentino come “nazismo con i guanti bianchi”; l’eutanasia, specialmente quella per malati e anziani, è stata condannata come espressione della cosiddetta “cultura dello scarto”, seguendo la scia della condanna della cosiddetta “cultura del relativismo” proposta da Benedetto XVI, e la condanna della cosiddetta “cultura della morte” avanzata da Giovanni Paolo II. Occorre ricordate, inoltre, la dozzina di interventi pubblici e ufficiali contro l’ideologia gender, in omelie, discorsi e documenti solenni della Santa Sede, ideologia che, riassumendo il pensiero di Francesco, rappresenta una guerra mondiale contro l’umano e contro la famiglia e il matrimonio.

In questa prospettiva, del resto, si inserisce l’operato di denuncia contro i trafficanti di uomini che da anni causano le stragi del mare tramite veri e propri fenomeni di deportazione di massa che l’Occidente ipocritamente e falsamente si ostina a classificare come ordinari fenomeni migratori, e contro i trafficanti di armi che stanno lentamente, ma inesorabilmente conducendo il globo verso un nuovo conflitto mondiale, come dimostrano le sue inappuntabili critiche alle vere cause del conflitto ucraino, che gli occidentali e soprattutto gli europei lo ammettano o meno, cioè l’espansione illimitata a est della Nato come cani che sono andati ad abbaiare fin sotto le porte della Russia, per utilizzare la stessa metafora coniata dal pontefice. In quarto luogo: certo non sono mancati i chiaroscuri del pontificato bergogliano, sia perché l’uomo è fallibile – neanche il pontefice è infallibile, specialmente quando non si pronuncia Ex cathedra sui temi di fede e morale secondo quanto prescritto e circoscritto dal dogma dell’infallibilità – sia perché molti temi e aspetti sono stati estrapolati e ideologizzati proprio dai numerosi sostenitori di Papa Francesco che gli hanno attribuito parole e concetti ben al di là della realtà effettiva, tanto da poter ritenere che – paradossalmente, ma inevitabilmente – i peggiori nemici di Francesco sono stati proprio i suoi migliori amici, cioè i franceschisti, che hanno fatto di tutto per alterarne ed esasperarne azioni e parole anche in senso contrario alla loro lettera e al loro spirito. In questo senso si possono citare due esempi tra i molteplici possibili. Il primo riguarda la famosa frase “chi sono io per giudicare?”, in riferimento alle coppie dello stesso sesso. La frase è stata decontestualizzata da un ragionamento che Francesco – in aereo di ritorno da un viaggio – stava compiendo in risposta alla domanda di alcuni giornalisti sulle lobby Lgbt presenti in Vaticano; Francesco ha risposto che le lobby Lgbt ci sono e sono un male, ma che la ricerca di Dio non è preclusa per i singoli individui, neanche per coloro che provano attrazione per le persone del proprio stesso sesso.

L’intera vicenda è stata stravolta e strumentalizzata all’inverosimile, fino a ribaltare il senso delle stesse parole e degli stessi pensieri del Papa secondo l’accezione ormai comunemente diffusa. Il secondo esempio riguarda il tema dell’ecologia: anche questo è stato stirato e manomesso fino all’assurdo, dimenticando i punti fondamentali dell’insegnamento della Chiesa in genere e i concetti chiave della Laudato sì, in particolare. A fronte dell’ambientalismo ideologico che strugge e distrugge le menti europee, come compravano i deliranti e nefasti esiti del green deal sostenuto da Ursula von der Leyen, si trova l’ecologia cristiana che è qualcosa di ben diverso e ben più intelligenze e complicato dello sterile ambientalismo. L’ecologia, infatti, in una prospettiva cristiana non è la semplice tutela delle specie a rischio di estinzione, o la lotta per la riduzione dell’inquinamento atmosferico, o la ricerca di fonti energetiche alternative, ma è il rispetto del creato come opera divina al centro del quale si trova l’uomo. L’ecologia cristiana, dunque, esige una visione integrata e integrale dell’umano, senza sacrificare il creato all’uomo o l’uomo al creato. Non a caso Francesco da un lato ha chiarito, nel paragrafo numero 91 della sua enciclica Laudato sì, che “non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito. Ciò mette a rischio il senso della lotta per l’ambiente” e, al paragrafo numero 118, che “non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia”. L’ecologia in senso cristiano è una deontologia che presuppone una ontologia.

In quinto luogo: a questo si aggiungano le manifeste occasioni di confusione, come, per esempio, il grottesco sinodo sulla sinodalità, o come nel caso dell’approvazione della dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede della Chiesa Cattolica “Fiducia supplicans” in cui non sono poche le prospettive dubbie o in contrasto con l’insegnamento della tradizione morale e teologica della Chiesa cattolica, o le assurdità come la distinzione tra tempo non liturgico, se contenuto entro pochi secondi, per la benedizione di coppie cosiddette irregolari o di quelle del medesimo sesso, e tempo liturgico della stessa se il tempo è superiore ai pochi secondi. In conclusione: il pontificato di Francesco è stato denso di avvenimenti, ipotecato per due terzi del tempo dalla coabitazione con un altro pontefice dimissionario che con la sua immensa e straordinaria opera intellettuale ha determinato l’insegnamento teologico e morale dell’ultimo quarantennio della storia cattolica, ma, appena con il passare del tempo si saranno decantate le energie laudatorie dei franceschisti che tanto danno gli hanno procurato, apparirà per ciò che è stato realmente, cioè un pontificato non particolarmente degno di nota – rispetto alla profondità della storia della Chiesa – poiché da un lato del tutto privo di qualsivoglia spessore dottrinale e, dall’altro lato, senza effettiva capacità decisionale e risolutiva in ordine ai problemi che hanno afflitto e ancora gravemente affliggono l’orbe cattolico.


di Aldo Rocco Vitale