Cos’è la crudeltà per una Corte d’assise

giovedì 17 aprile 2025


A costo di annoiare i lettori di Alessandro Manzoni, se si vuol capire qualcosa sulle motivazioni che hanno indotto la Corte dassise di Venezia ad escludere che Filippo Turetta, nell’uccidere Giulia Cecchettin con 75 coltellate, abbia usato “crudeltà”, occorre ripetere che, come egli scriveva, “il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

La sentenza afferma infatti che infliggere alla vittima 75 coltellate – azione che essa riconosce “efferata” – non è stato dovuto “ad una deliberata scelta dell’imputato”, ma è solo “una conseguenza della inesperienza e della inabilità dello stesso… (perché egli) non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere alla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e “pulito”: così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione di colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia non cera più”. Egli ha dichiarato di essersi fermato quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: “mi ha fatto troppo impressione”, ha dichiarato. Orbene, considerata la dinamica complessiva… non si può dire che la coltellata all’occhio sia stata fatta (???) con la volontà di arrecare sofferenza differenziata e aggiuntiva”.

Ora, a prescindere che le coltellate non si “fanno”, ma si infliggono o si “sferrano” – così da evitare mostruosità sintattiche – è bene ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza, infliggere alla vittima numerosi colpi è indizio di crudeltà. La Cassazione nega che il numero delle ferite in sé possa costituire un elemento giuridico, altre vi ricollegano una volontà omicidiaria efferata, indice di un accanimento che va al di là della volontà di cagionare la morte. È pur vero che l’aggravante della crudeltà riguarda la dimensione soggettiva dell’autore del reato, ma ogni volontà è volontà di fare (o di non fare) qualcosa e con questo qualcosa deve comunque misurarsi: una volontà – per dir così – “pura”, scevra dalla rappresentazione dell’azione cui essa si diretta, non si dà, perché astratta, pensata e non vissuta.

In questa prospettiva, può affermarsi che chi – come Turetta – infligga 75 coltellate alla sua vittima, non può non mettere in conto che forse dopo la trentaduesima o dopo la quarantanovesima, la povera ragazza potrebbe essere già morta: eppure, egli continua a colpire “con una furiosa e non mirata ripetizione di colpi”, ci dice la sentenza; e non può non mettere nel conto che, proprio perché egli sente la necessità di continuare a colpire fino a 75 volte, sa che le coltellate inflitte in precedenza non erano state sufficienti a causarne la morte, ma soltanto una indicibile e orrenda sofferenza fisica, quella di un corpo straziato, e psicologica, quella di chi veda approssimarsi una morte che tuttavia tarda a giungere. La sentenza, incredibilmente, si difende di “incompetenza”, perché Turetta non sapeva come colpire gli organi vitali: per fortuna, non era un medico, capace di farlo con capacità (come quelli che non sono medici che, ammazzando qualcuno, potranno schivare l’aggravante della crudeltà). Nulla tuttavia più crudele di questo furioso colpire a casaccio, sapendo che le nuove coltellate faranno solo soffrire la vittima, mentre soltanto alcune ne provocheranno la morte: è ciò che i giuristi chiamano “dolo eventuale”, una forma di colpa apparente, ma volitiva.

Con tale locuzione si vuol dire che l’autore di un illecito, se non si provi l’abbia commesso volendolo in modo diretto, può invece metterlo nel conto come evento secondario, non direttamente voluto, ma prevedibile della propria azione. Esempio: mettendomi alla guida in stato di ebrezza a tutta velocità in una strada molto trafficata e invasa dai pedoni, se ne investo uno uccidendolo, non si tratta di un semplice omicidio colposo, ma volontario con dolo eventuale, perché, pur non volendo direttamente uccidere il malcapitato, mi sono rappresentato l’eventualità, causabile dal mio modo sconsiderato di guidare, di uccidere. Lo stesso per l’aggravante della crudeltà. Se Turetta non ha volutamente fatto soffrire la povera Giulia oltre la misura necessaria per darle la morte (e quale sarà mai poi tale misura? Come misurare l’attesa della morte?), di certo si è rappresentato l’eventualità che tale sofferenza aggiuntiva e inutile le fosse inflitta: proprio questo egli ha accettato consapevolmente, altrimenti non avrebbe sferrato 75 coltellate.

In questa consapevole accettazione di tale eventualità – che è una probabilità – risiede la crudeltà della sua azione non vista dai giudici. Questi invece si son fatti impressionare dal fatto che Turetta fosse impressionato dall’aver colpito l’occhio di Giulia. E perché non quando avrà colpito la giugulare o le labbra? Mettiamola cosi. Se egli non è stato crudele, neppure lo furono Casca e Bruto quando colpirono Giulio Cesare, rispettivamente, con la prima coltellata alla spalla e con la quarta alla coscia. Quale delle 23 coltellate lo uccise? Non si sa. Ma questi due si fermarono. Forse si erano impressionati.


di Vincenzo Vitale