Riarmo Italia: per chi suona la campana

mercoledì 16 aprile 2025


Giorgia Meloni è in partenza per gli Stati Uniti d’America dove l’attende l’inquilino della Casa Bianca. Non sarà un viaggio di piacere. Il nostro premier va armata di molte buone intenzioni per riportare il sereno nelle relazioni transatlantiche ma reca una borsa magra di soluzioni per conseguire l’obiettivo della missione. Sarebbe come pretendere di celebrare le nozze coi fichi secchi? Magari, ad averceli i fichi secchi. Donald Trump ha avuto la pessima idea – per noi europei – di presentarci il conto, in un’unica soluzione e con scarse possibilità di negoziare eventuali dilazioni, per errori antichi compiuti dagli europei. Si prenda in esame la nota dolente della difesa. Trump ha ragione nel sostenere che gli alleati in ambito Nato si siano letteralmente cullati sugli allori delle sicurezze fornite loro dagli americani e non si siano per nulla preoccupati di investire risorse finanziarie adeguate nella propria sicurezza oltre lo stretto necessario, tanto erano sicuri del fatto che ci avrebbe pensato lo “zio Sam”.

Una situazione che è diventata negli anni, economicamente ed eticamente, insostenibile per Washington. Così da Bruxelles e dalle capitali europee si cerca di correre ai ripari adesso che il bue a stelle e strisce è scappato dalla stalla. E lo fa anche l’Italia. Il premier Giorgia Meloni porterà nella discussione con il presidente statunitense la decisione del Governo di Roma di aumentare immediatamente gli stanziamenti per la Difesa fino alla concorrenza del 2 per cento del Pil, come promesso e mai mantenuto dai precedenti Governi negli ultimi anni. Ma siamo onesti e domandiamoci: aumentando la spesa militare, stiamo facendo un favore a Trump o a noi stessi? A sentire i commenti dei “pacifinti”, che affollano il campo dell’opposizione, si tratterebbe di un obolo gravoso che il Governo-vassallo di Roma pagherebbe al suo signore d’Oltreoceano per ingraziarsene i favori, sottoforma di qualche sconticino sui dazi applicati ai prodotti italiani esportati negli Usa. Costoro vivono sul pianetapirla” se credono in una tale stupidaggine.

La verità è che quell’aumento programmato di spesa, quantificabile in circa 11 miliardi di euro, è niente rispetto a ciò che occorrerebbe spendere per ripristinare la capacità difensiva dell’Italia. La cruda verità l’ha detta il ministro della Difesa Guido Crosetto rispondendo a una domanda rivoltagli da un inviato di un’emittente televisiva: “se l’Italia subisse un attacco la metà di quello che ha subito Israele in tre ore, io non sarei in grado di difenderla”. È così che siamo messi. Nel momento in cui il nostro storico protettore – gli Stati Uniti d’America – ci ha invitato con modi spicci a sbrigarcela da soli, non possiamo fingere che il problema non esista e che il nostro Paese non corra alcun rischio in un mondo di pace e di amore senza confini. Il morbo pacifista ha provocato danni incalcolabili nel Vecchio continente. Un po’ meno in Italia, dove la lungimirante strategia industriale di due colossi nel campo della Difesa (Leonardo e Fincantieri) ha costretto anche i riottosi Governi di centrosinistra a evitare lo smantellamento della capacità produttiva del comparto, come invece avrebbero desiderato i manutengoli delle nefaste filosofie pacifiste.

È accaduto che nel contratto di acquisto dagli Stati Uniti degli F-35 venisse inserita la clausola che la produzione di alcune componenti del sistema d’arma e l’assemblaggio delle macchine aeromobili acquistate avvenisse in Italia. Si tratta di un unicum nel panorama europeo che ha reso la nostra industria bellica partner di quella statunitense. Ma per un caso di buona prassi registrato, numerose sono le falle alle quali fatichiamo a porre rimedio. La questione è molto complicata, perché non basta acquistare mezzi per risolvere il problema dell’inadeguata capacità di difesa di cui soffre il nostro Paese. Facciamo l’esempio dei carri armati. Le Forze armate italiane dispongono di un totale di 131 carri armati principali, tra cui l’Ariete, in servizio dal 1995, il B1 Centauro e il Centauro II MGS 120/105, autoblindo cacciacarri (fonte: Gm Difensive, Numeri, tipi e punti di forza dei veicoli militari in Europa). Sono pochi e, ciò che è peggio, non sono supportati da moderni sistemi di protezione attiva. Il che li rende facili bersagli di droni e di missili anticarro.

Il Governo Meloni ha cominciato con l’investire sull’acquisizione di nuovi carri. Allo scopo è stato varato un programma di acquisto di 1.050 veicoli corazzati – carri armati Panther e cingolati leggeri Lynx – dall’azienda tedesca Rheinmetall, che ha una joint venture con Leonardo. Una tale immissione di mezzi consentirebbe la creazione di una nuova brigata pesante meccanizzata, auspicata da tempo dai vertici dell’Esercito, in aggiunta alle due sopravvissute ai tagli imposti all’apparato bellico: la brigata Ariete e la brigata Garibaldi dei bersaglieri. Resta aperto il discorso sui sistemi missilistici di protezione antiaerea e antibalistica d’area. Attualmente l’Italia dispone di cinque sistemi di Samp/T prodotti dal consorzio europeo costruttore di missili e tecnologie per la difesa Mbda, costituito nel 2001 e partecipato da Francia, Italia e Gran Bretagna. Altri 10 sistemi di nuova generazione sono stati commissionati dal Ministero della Difesa. Ma di quelli nelle disponibilità dell’Esercito italiano uno è stato dato agli ucraini per la difesa dagli attacchi missilistici russi. Vi è poi il nodo della forza navale che necessita di essere affrontato nell’ambito della riconfigurazione degli equilibri geostrategici nei quadranti più sensibili per la nostra sicurezza. Sempre per intenderci: con una possibile installazione di una base della Marina militare russa in Cirenaica, di fronte alle nostre coste, è immaginabile un’efficace difesa antimissilistica degli obiettivi sensibili sul suolo italiano sostenuta da sole quattro fregate Fremm specializzate nella caccia ai sottomarini?

Stabilito che il riarmo non è un favore fatto a qualcuno ma una necessità per noi stessi, c’è un nodo da sciogliere che pesa come un macigno sulla politica di riallineamento della capacità difensiva del Paese ed è quello relativo al supporto offerto all’Ucraina in armamenti. Parliamoci chiaro, aumentare la spesa per le armi e il munizionamento di 11 miliardi di euro è un costo rilevante da sopportare per la tenuta dei conti pubblici. Ciò, indipendentemente dall’opportunità offerta dalla Commissione europea di derogare ai parametri fissati dal Patto di stabilità, perché sempre di debito si tratta che, prima o dopo, deve essere ripagato attingendo risorse dalla fiscalità generale. Ma lo si affronterà, pur nella consapevolezza che si tratti di una goccia nel mare rispetto a quel che realmente servirebbe per riammodernare interamente la Difesa. Discorso diverso – e assai meno metabolizzabile da parte dell’opinione pubblica – è se tutto lo sforzo richiesto agli italiani dovesse rivelarsi una partita di giro di armi da cedere all’Ucraina per continuare una guerra con la Russia che, a detta dello stesso presidente Trump, non sarebbe mai dovuta cominciare perché per Kiev era persa in partenza.

Su questo punto il Governo ha il dovere della chiarezza con gli italiani: se ci indebitiamo per comprare armi, queste devono essere destinate alle nostre forze armate e non gentilmente concesse ad altri per continuare guerre che non hanno più alcun senso, posto che lo abbiano mai avuto. A Giorgia Meloni le opposizioni hanno chiesto, con notevole dose di perfidia, di stare davanti a Trump con la schiena dritta. Non li deluda. Mostri al presidente Usa e al mondo che l’Italia sa mantenere gli impegni assunti. E che non deve elemosinare niente da nessuno. Semmai, offrire qualcosa a qualcuno – non importa quanto grande e grosso sia costui – che però abbia l’intelligenza politica di cogliere l’opportunità che gli viene offerta.


di Cristofaro Sola