Stampa iperbolica

martedì 15 aprile 2025


Se c’è una cosa davvero intollerabile nel modo in cui i mezzi di informazione riportano le notizie è il tono troppo spesso iperbolico con il quale esse vengono comunicate. Se due esponenti politici di maggioranza o di opposizione esprimono opinioni diverse su un certo tema, per giornali e televisioni non si tratta – come in effetti è – di una semplice e fisiologica diversità di vedute, ma di una “spaccatura”, di una “battaglia”, di una “frattura”. Se Giorgia Meloni cerca faticosamente un punto di equilibrio fra legame con gli Stati Uniti da un lato ed Europa dall’altro, per giornali e televisioni non si tratta – come in effetti è – di un tentativo tipicamente espressione della dialettica politica, ma di una “fatale ambiguità”, che condurrà l’Italia e l’Europa alla rovina.

In nessun processo si dà il caso di sentire un normale testimone – per quanto importante – ma, per giornali e televisioni, sempre e soltanto un “super-testimone”; mai di affidare un incarico processuale ad un perito, ma sempre e comunque ad un “super-perito”, il quale ovviamente non potrà che redigere una “super-perizia”. Ebbene, talmente ripetuta e diffusa è ormai questa forma di comunicazione fortemente enfatizzata, da provocare una sorta di ripulsa in chi – come chi scrive – abbia ancora a cuore la correttezza di un giornalismo serio, asciutto, per nulla enfatico, capace di comunicare davvero quello che meriti di essere raccontato ai lettori e quanto mai lontano dalle titolazioni reboanti destinate ad attrarne l’attenzione. In particolare, poi, in questi ultimi giorni, i mezzi di comunicazione hanno gareggiato nell’annunciare agli sbalorditi lettori apocalissi finanziarie e catastrofi economiche che ne seguirebbero.

Così, siccome Donald Trump aveva imposto i dazi, essi si son sbizzarriti a fornire cifre tutte diverse, ma egualmente iperboliche, affermando che si erano persi in poche ore mille miliardi! No, scriveva un altro quotidiano: duemila! E perché no – diremmo noi – tremila o settemila? Fornendo ai lettori questa informazione, stampa e televisioni si fanno portatrici di una notizia falsa, vale a dire sfornita di verità e tuttavia capace di apparire come vera per coloro che non abbiano una formazione di carattere economico-finanziario e comunque per lettori di media cultura che non riflettano abbastanza sulle cose come in effetti stanno. E le cose come stanno? Stanno in modo molto diverso da come vengono raccontate.

Infatti, se subito dopo i dazi annunciati sono stati “bruciati” tanti soldi, non si vuol dire che in punto di fatto essi sono stati gettati dalla finestra o messi in combustione dentro un forno: nulla di tutto questo. Si vuol semplicemente comunicare che i titoli azionari collocati sul mercato finanziario internazionale hanno visto diminuire i loro valore potenziale di una certa percentuale (per esempio del tre o del quattro per cento) e che perciò ogni singolo azionista, qualora si risolvesse a vendere i propri titoli in quel preciso momento, ricaverebbe un prezzo inferiore di quella determinata percentuale rispetto al giorno precedente. Nulla di più e nulla di meno. Ne viene perciò che quella stratosferica somma complessiva che i mezzi di falsa informazione annunciano al mondo esser stata “bruciata”, non è affatto bruciata o perduta, se non “virtualmente” e mai “realmente”. Perché lo sia realmente, occorrerebbe che ogni singolo azionista di tutte le società quotate in borsa – senza eccezione alcuna – decidesse di vendere, nello stesso giorno, tutti (o quasi) i propri titoli azionari: il che evidentemente non è e non sarà mai.

Molto probabile invece che ciascuno di essi scelga saggiamente di attendere, per giorni, per settimane o per mesi gli sviluppi della situazione per poi decidere il da farsi, come infatti invariabilmente accade. Ecco perché la distruzione di quelle enormi somme di denaro è solo virtuale, ipotizzabile di certo ma con un grado di realizzazione pressoché inesistente, una sorta di esercizio mentale fatto ad uso e consumo dei giornali allo scopo di suscitare sgomento ed agitazione nella pubblica opinione e così poter vendere più copie o alimentare gli ascolti televisivi e i relativi introiti pubblicitari. Bruciare tutti quei miliardi significa dunque che in astratto – solo in astratto – il valore capitale dei titoli si è ridotto: ma tale valore potrebbe crescere di nuovo con la stessa rapidità il giorno dopo, come infatti è accaduto quando Trump ha annunciato la sospensione per tre mesi dei dazi sui beni importati dall’Europa.

Insomma, nella finanza si gioca ormai da decenni una sorta di Monopoli a livello globale, ove, invece di Parco della Vittoria o della Stazione Nord, si vendono e si comprano titoli di questa o di quella Spa. La cosa potrebbe non turbare e verrebbe da concludere che basti lasciare al loro trastullo finanziario questi miliardari, per poi occuparsi di cose serie, come le bollette da pagare o l’assicurazione che scade. Invece, purtroppo, le dinamiche del Monopoli finanziario sopra descritte sono in grado di influenzare in modo determinante la realtà economica della nostra vita quotidiana, perché finiscono con l’incidere pesantemente soprattutto sui tassi di sconto delle banche e perciò su tutte le operazioni di mutuo, di prestito personale, di finanziamento e insomma su grande parte della vita economica della compagine sociale.

Come evitare questo effetto deleterio o almeno ridurne la portata? Non lo so. Forse – come in passato suggerito da qualcuno – con l’inaugurazione di un doppio binario monetario: una moneta per l’estero, cioè l’euro, valevole per le transazioni internazionali; ed una per l’interno, cioè la neo-lira, valevole per gli scambi commerciali e i pagamenti interni. Mi rendo conto che si tratta di una cosa molto difficile da realizzare, anche perché resterebbe da affrontare subito il problema della conversione dell’una nell’altro e viceversa. Ma confido nella bravura di quegli economisti che, non abbagliati dalle potenziali rendite e dalle rovinose cadute della finanza e confidando ancora negli esseri umani, siano in grado di proporre una soluzione per liberare la sana economia dal giogo soffocante e pericoloso della finanza. Ne esistono ancora?


di Vincenzo Vitale