martedì 8 aprile 2025
Molti giornali internazionali parlano di un imminente attacco devastante da parte degli Stati Uniti e di Israele all’Iran. Il Daily Express, il 2 aprile, scrive che l'Iran potrebbe affrontare cambiamenti significativi entro settembre se non accetta un accordo nucleare. L’intensificazione militare degli Usa nell’aria, in questi ultimi giorni, lo conferma. Nell’incontro di ieri, 7 aprile, tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, il terzo in tre mesi, si parlerà di questo e gli Usa potrebbero decidere di intervenire senza Israele. Il regime iraniano dovrà scegliere tra una resa totale e disonorevole o subire un attacco militare. Ali Khamenei, l’uomo confuso e illuso a capo di un regime in trappola, in cuor suo sa che non è un attacco militare esterno che abbatterà il suo regime. L’uomo scaltro sa che il pericolo per il suo regime risiede in Iran e spera ancora di averla vinta nel contenerlo.
Il furbo Khamenei nel suo discorso nella giornata di fine ramadan, il 31 marzo (Eide-e Fetr), ha affermato: “È improbabile che le minacce di un attacco militare all’Iran vengano portate avanti dall’esterno… se verrà commesso qualcosa di male, riceveranno sicuramente un forte contrattacco e, se stanno pensando di scatenare una sedizione all’interno del Paese, come hanno fatto negli anni precedenti, la nazione iraniana stessa risponderà”. Khamenei è convinto, si illude, che anche se ci sarà un attacco militare dall’esterno, si tratterà di qualche bombardamento qua e là. Egli è sicuro, però, che il pericolo sia soprattutto la “sedizione” interna. Che ci sia o meno una guerra esterna all’Iran, Khamenei sa che i conti si faranno tra gli iraniani e lui con i suoi pasdaran. Negli ultimi anni, è stata l’azione rivoltosa degli iraniani ad influenzare la politica internazionale, solitamente tollerante con il regime.
Una rivolta popolare per il carovita, nel dicembre 2017, aveva scosso le basi del regime e, nel maggio 2018, Donald Trump alla Casa Bianca ha abbandonato l’accordo sul nucleare. Un’altra rivolta, nel novembre 2019, ancora più intensa e più organizzata di prima, domata col massacro di oltre 1.500 persone, diede coraggio all’America di Trump di eliminare, nel gennaio 2020, il pasdaran Qassem Soleimani, il secondo uomo più potente in Iran e il braccio forte operativo di Khamenei in Medio Oriente, a capo di tutte le forze di guerriglia nell’area. Dopo ogni repressione, la scommessa di Ali Khamenei e del suo atipico regime, massacrati i manifestanti e incassati i colpi, era comunque rimanere al potere. Nell’estate del 2020, Khamenei, il vero e unico detentore del potere del regime di Teheran, ebro per aver represso le rivolte popolari, convinto che la politica lassista e condiscendente dei paesi europei sarebbe continuata e sicuro della vicinanza della Cina e della Russia, sfidava il “grande satana” con queste parole: “Non negozieremo e non ci sarà la guerra”.
Il fuoco della rabbia popolare ardeva sotto la cenere. Nel settembre 2022, in seguito alla morte di Mahsa Amini, la più popolare rivolta in Iran ha svegliato il regime e, soprattutto, i governi occidentali. Persino un pallido Joe Biden alla Casa Bianca dichiarava, seppure genericamente, di stare vicino al popolo iraniano. Se la rivolta del 2017 era stata un serio ammonimento al regime e quella fortemente organizzata del 2019 mirava ad abbatterlo, la rivolta del 2022 ha decretato universalmente la fine della teocrazia in Iran. Non a caso, in quel periodo sono nate alternative artefatte e leader politici inventati come funghi, sostenuti e promossi dai mass media occidentali o da quelli in lingua persiana pagati dai paesi stranieri. Se ancora una volta il regime e i suoi pasdaran sono riusciti a sedare il fiume in piena della volontà di un intero popolo, lo scandalo della politica di appeasement dell’Amministrazione Biden e l’apatia politica dell’Unione europea hanno dato al regime una mano, fornendogli l’ossigeno necessario. Le infiltrazioni degli uomini e delle donne del regime iraniano nella stampa statunitense e perfino nella sua macchina amministrativa sono ormai di dominio pubblico. Robert Malley, l’inviato speciale americano per l’Iran, è stato messo sotto inchiesta per l’uso di informazioni riservate a favore del regime iraniano, mentre dell’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea si ricorda solo l’assiduo corteggiamento alla corte dei mullà iraniani e poco altro. Il risultato di questa politica, oltre all’immane sofferenza del popolo iraniano, è stato lo scenario dell’attacco del 7 ottobre 2023, con il dramma immenso delle vittime civili e la catastrofica perdita dei proxy del regime iraniano.
Ora che un impaziente Trump offre pubblicamente un negoziato all’Iran, mette in difficoltà il regime che ama prendere tempo e semmai trattare sotto banco. Chi monitora attentamente la situazione in Iran sa che il primo problema del regime è sempre stato, e lo è ancor di più ora, la popolazione iraniana che non lo vuole. Sa che il desiderio espansionistico del regime, la sua aggressività, il suo antiamericanismo e la sua pretesa di annientare Israele non sono altro che strumenti per sedare e vincere l’avversità degli iraniani.
Accanto alla pressione americana per la negoziazione, pare che anche l’Europa non sia più disposta a tacere nei confronti dei mullà, vista la fornitura di armi da parte dell’Iran alla Russia. La realtà è che il regime iraniano non è mai stato così in difficoltà. È in difficoltà perché fa male i suoi conti, è in difficoltà perché, volente o nolente, il tempo della politica di condiscendenza è terminata. Per i governi occidentali, gli svantaggi del regime iraniano ormai superano i vantaggi. Il regime iraniano mai come ora è stato così in difficoltà. È in difficoltà perché la necessità e la volontà di mettere fine alla sua esistenza oggi in Iran sono diffuse presso la totalità della popolazione. È in difficoltà perché in Iran c’è un’alternativa ben organizzata e credibile, laica e democratica, guidata da Maryam Rajavi: il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (Cnri). È in difficoltà perché in Iran crescono e si intensificano le azioni di protesta di tutti i ceti della società e le Unità di resistenza colpiscono ogni giorno i centri della repressione. È in difficoltà perché questo regime è anacronistico. Al contrario di quanto si possa pensare, i popoli mediorientali sono assetati di libertà e di democrazia, in particolare gli iraniani, che da anni, e soprattutto oggi, danno la vita per la libertà. Forse proprio in questo si annida la paura dell’Occidente di appoggiare la lotta degli iraniani per la democrazia. È di questa miopia e paura che soffre oggi l’Occidente, culla di quel valore universale che è la democrazia. La storia, però, percorre la sua strada.
di Esmail Mohades