Conservatori: una luce al limitare della notte

venerdì 28 marzo 2025


Il lettino dello psicanalista. Ecco cosa bisognerebbe donare ai leader occidentali, riuniti a Parigi par dare vita alla coalizione dei volenterosi per l’Ucraina. C’è aria di depressione post-traumatica da stress tra coloro che si sono scoperti orfani all’improvviso degli Stati Uniti d’America, del suo potere economico e militare, datore di sicurezza a buon mercato, ma anche scenografo e regista di visioni di benessere e prosperità in un orizzonte di pace perenne e inscalfibile. C’è smarrimento tra chi si è nutrito di un’illusione: la praticabilità del modello democratico da esportazione. C’è annichilimento tra quanti hanno creduto a una bugia: l’unità dell’Europa. Sono gli stessi che hanno frequentato per anni le atmosfere familiari dei non-luoghi di un gigantesco The Truman show, fingendo che gli europei fossero divenuti una cosa sola. E hanno adorato lo stesso Dio del progresso, convincendosi che fosse terminata l’attesa dell’intervento salvifico della provvidenza divina. E che il Messia dei Vangeli, stanco di rimanere inchiodato alla croce, fosse venuto via dal Golgota per inchinarsi all’uomo nuovo della creazione consumista.

Nel tempo storico del postmoderno il campione dell’incrollabile fede nel progresso è ludico e libidinale, come l’Homo festivus del romanziere Philippe Muray, sfuggito alle ferree leggi della tassonomia del “Sapiens”. Poveri illusi! Tutti loro – le élite, o, se preferite, l’establishment benpensante del politicamente corretto – timonieri e guide di questo Occidente fedifrago con la sua storia, oggi ne piangono il declino, in un masochistico cupio dissolvi che neppure sanno spiegarsi. Di chi la colpa, se questo mondo imbottito di valori liquidi su un letto di avvilenti autodafé wokisti è venuto meno? E, mestamente, cade in pezzi? Di Donald Trump, il fascista in fieri? Di Vladimir Putin, il fascista in atto? Di Viktor Orbán, l’utile idiota dei tiranni? Dei populisti, dei sovranisti, di tutte le latitudini geografiche e mentali? Per chi non riesce ad ammettere il proprio errore, c’è sempre qualcun altro al quale dare la colpa; al quale intestare la sconfitta.

C’è un’Ucraina che, nella disperata lotta per la sopravvivenza, si è trasformata, suo malgrado, in simbolo e plastica rappresentazione del fallimento dell’Occidente. Quale? Quello che si è consacrato all’ideologia del progresso. Quello che, nell’arrogante, prometeica, aspirazione a surrogare il vecchio e obsoleto Dio veterotestamentario con il vitello d’oro progressista, ha apposto la scritta “Età dei lumi” sul libro della Genesi; che ha spacciato al tavolo di baccarà del terzo Stato il legno storto della Rivoluzione francese per il nuovo paradiso terrestre e in tanti, troppi, questa truffa l’hanno bevuta; che ha mandato assolto Caino da ogni responsabilità sul destino di Abele e l’hanno chiamato Sol dell’Avvenire; che, come diceva G.K. Chesterton, ha tradotto il lessema “progresso” in perpetuo parricidio del tempo vissuto. Il primo comandamento di una rinnovellata legge mosaica a uso della “Età nuova” è stato: oggi è tutto migliore di ieri e domani sarà migliore di oggi.

In nome di un distorto – e distorcente – principio di libertà, gli “illuminati” nostri contemporanei si sono prodigati a svuotare la parola “Europa” di ogni contenuto valoriale che ne rimarcasse la specificità identitaria per farne surrettiziamente il vessillifero di un universalismo dei principi che, portati a contatto con la realtà, hanno mostrato tutta la loro inconsistenza. La guerra senza quartiere condotta dalle forze del progresso a tutto ciò che è passato – la nostra storia: guerre e devastazioni barbariche comprese, ma anche legge, arte, pensiero, cattedrali; la nostra tradizione; la spengleriana “Kultur” di chi ci ha preceduto; il mos maiorum dei nostri avi – è stata un crimine non amnistiabile. A maggior ragione oggi che la Storia ci presenta il conto. Siamo con Alain de Benoist quando, in “Eléments209, agosto-settembre 2024, scrive: “l’ideologia del progresso si fonda su un deprezzamento di principio del passato, visto come una semplice mistura di contraddizioni e superstizioni arcaiche. Agli occhi di chi vuole santuarizzare il progresso, ogni sguardo non ostile rivolto al passato non può quindi che rientrare nella nostalgia irrazionale o nella reazione. Gli avversari del progressismo sono visti come uomini del passato, cioè come i residui malefici di un vecchio mondo da eliminare. Chiunque guarda indietro è scomunicato”.

Ecco dove ci ha portato la malapianta progressista: a odiare le nostre origini, al punto – si prenda il caso dei nostri conterranei – di falsificare la data di nascita della propria italianità scrivendo con inchiostro simpatico sulla polverosa carta d’identità della nazione un immaginifico 25 aprile 1945. E qual è stato il risultato di un tale deragliamento nella terra eponima della mitica regina di Creta, figlia di Agenore? Guerra e fragilità economica, che presto hanno colpito la coesione sociale. Non essere più niente di assiologicamente definito, non ci ha reso migliori: ci ha reso vulnerabili. Parole come relativismo, multiculturalismo, società aperta, dovrebbero essere inserite nell’almanacco pandemico dell’umanità. Eppure, quando sembra che tutto stia crollando, un meccanismo scatta, una valvola di sicurezza si aziona, perché non sia varcata la soglia del punto di non ritorno. Il relè che tiene in sicurezza l’umanità dai disastri provocati dagli avventurismi delle sue élite, si chiama volontà popolare.

È stato il popolo americano che ha voluto Donald Trump e gli ha assegnato una missione provvidenziale: salvare gli Stati Uniti dalle conseguenze del virus progressista. The Donald torna all’antico, nei rapporti con i nemici dichiarati, e mostra agli amici quale sia la strada per la salvezza dal baratro. Abbiamo speso una vita a raccontarci quanto fossero bui i tempi della guerra fredda e della cortina di ferro e adesso, dopo aver visto all’opera gli esportatori di democrazia a buon mercato, rimpiangiamo quei tempi. I progressisti volevano convincerci che la pace fosse diventata la nuova cifra dell’umanità e che delle armi non vi fosse più necessità, e invece adesso, al risveglio, dobbiamo ammettere che di armi c’è grande bisogno e che non abbiamo i denari per acquistarle. Abbiamo pensato o, più propriamente, ci hanno costretto a credere che il divenire dell’umanità dovesse essere scritto su una linea retta di felicità, proiettata verso il tempo infinito e adesso, che cerchiamo sopravvissuti tra le macerie del crollo delle illusioni, ritroviamo le certezze della circolarità del tempo.

Ritroviamo Giambattista Vico e i ricorsi ciclici della Storia, e la riscoperta non ci turba affatto. Tuttavia, amare il passato non significa volerlo pedissequamente ripetere. La vocazione conservatrice non si traduce nell’istanza propria di un custode di spoglie museali. Il paradigma conservatore è la modalità di costruzione del futuro sulla base di una visione coerente con il passato. Siamo con la medievista Annie Frémaux-Crouzet (citata da Alain de Benoist) quando afferma: “Non vi sarà alcun progetto volto al futuro senza conservazione… per questo noi possiamo sostenere che il conservatorismo è la sola posizione radicale coerente della nostra epoca o che la conservazione è oggi un atto risolutamente rivoluzionario”.

Siamo alla fine del mondo? Certo che no. Siamo al limitare della notte del progressismo, quando si preannunciano le prime luci del nuovo giorno dei conservatori. Gli americani ci hanno mostrato la strada, tocca a noi europei completare l’opera liberandoci una volta per tutte delle scorie progressiste che ancora ci condizionano l’esistenza. Abbiamo bisogno di ritrovare parole antiche con le quali esprimere pensieri nuovi. Abbiamo bisogno del nostro passato per costruire il nostro futuro.


di Cristofaro Sola