mercoledì 19 marzo 2025
Sassolini di Lehner
Ci fu del marcio in Danimarca. Oggi, pare essersi trasferito nella Varsavia di Donald Tusk. Forse, per far più grande l’Unione europea, dopo il colpo di Stato giudiziario in Romania targato Bruxelles, è giunta l’ora ics togata tesa a eliminare il fastidioso PiS (Diritto e Giustizia), il partito di opposizione, che, peraltro, alle Politiche fu il più votato (35,38 per cento). Tusk, infatti, governa grazie ad inciuci e strane alleanze, manco fosse del Partito democratico. Il partito fondato dai gemelli Lech e Jaroław Kaczyński ha il torto di credere più in Dio che a santa Ursula von der Leyen, di professare la religione cattolica, senza dar retta al laicista e neopagano Jorge Bergoglio, di porre al primo posto, in luogo dell’aborto o dei matrimoni omosex, nientemeno che le obsolete politiche sociali, le più odiose per i fighetti di centrosinistra, ponendo il welfare State al primo posto invece dell’eutanasia e del Kitsch dell’orgoglio Lgbtqia+. Eppure, tali libere opzioni non giustificherebbero persecuzioni giudiziarie, né il tenace impegno nel demonizzare e cancellare chi non la pensa all’Ue, metodi brutali che rimandano al regime comunista.
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A proposito di brutalità, impressiona l'oscura vicenda di Barbara Skrzypek, antica e brava segretaria di Jarosław Kaczyński – una sorta di Marinella Brambilla, la preziosa, instancabile, cordiale collaboratrice di Silvio Berlusconi – La signora, peraltro non indagata, ma soltanto per ottenere da lei notizie o spiate sull’ex premier, il 12 marzo scorso, è stata interrogata dalla pm Ewa Wrzosek ed altri due inquirenti per ben cinque ore. Alla fine della lunga tortura psicologica, Barbara Skrzypek, che chiese più volte, invano, di essere almeno assistita da un legale, è deceduta. La Procura, consapevole che quel cadavere pesa come un macigno, ha messo immediatamente le mani avanti attraverso un minaccioso comunicato: “Collegare la morte della testimone Barbara Skrzypek con l’interrogatorio a cui fu sottoposta comporterà un procedimento civile. A difesa del buon nome dell’istituzione”. Mi è venuto alla mente il delitto Matteotti, ma spero con tutto il cuore di esagerare, benché la via giudiziaria al tuskismo reale sia assai ricca di misfatti.
L’ex vice ministro alla Giustizia, Marcin Romanowski, posto sotto accusa da magistrati notoriamente schierati contro il PiS, resosi conto dell’impossibilità di avere un processo equo e dopo aver garantito che avrebbe affrontato il processo “una volta che gli standard dello Stato di diritto saranno ripristinati in Polonia”, ha chiesto e ottenuto asilo politico all’Ungheria. L’ex viceministro è giunto a tale estrema decisione, convinto da un altro abominio legale: un sacerdote e due donne, ritenuti colpevoli di frequentazioni proprio col Romanowski, hanno dovuto patire sette mesi di carcere speciale, venendo alla fine liberati per totale mancanza di addebiti penali.
Viene preso di mira anche l’ex viceministro degli Esteri Piotr Wawrzyk e così via nella corsa a criminalizzare il precedente governo e far fuori una volta per tutte l’opposizione a Tusk. La caccia alle streghe euroscettiche, che rievoca gli orrori delle toghe comuniste – vedi il giudice Stefan Michnik, il boia di Radom o Maria Gorowska ed Helena Wolińska le toghe assassine del patriota August Emil Fieldorf, detto Nil – non allerterà, però, la Corte di giustizia europea, che, mente insana in corporativismo malato, sanzionò la Polonia, per il sacrosanto provvedimento mirante non a epurare, ma solo a pensionare i giudici che s’erano macchiati di giustizia ingiusta, cioè comunista.
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L’Onu è, ormai, degradata ad ammucchiata selvaggia, da cui scaturisce quasi sempre faziosità organizzata. Di continuo accusa lo Stato di Israele di crimini contro l’umanità e genocidio, mentre chiude gli occhi su Hamas o magari ne sostiene, sotto forma di organismi umanitari, le azioni terroristiche. È il caso dell’Unrwa, agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente, al cui interno spiccano consiglieri e complici dei terroristi. Parecchi membri si sono distinti come propagandisti e missionari del jihad, mentre procede il magna-magna nella gestione dell’enorme massa di denaro proveniente da tutti gli Stati. Gli arbitri, talora, si rivelano non solo cornuti, ma pure criminali. Uno dei “giudici” ferocemente antisionisti, l’ugandese Lydia Mugambe, residente in Inghilterra, ad esempio, è stata condannata per favoreggiamento all’immigrazione a scopo di sfruttamento, lavoro forzato e cospirazione per intimidire un testimone. La giudice che condanna Israele, dunque, praticò schiavismo nei confronti di un’africana, minacciata, segregata e costretta a lavorare senza stipendio.
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Quanti grammi di vodka servono per proporre ai contribuenti europei un’altra botta di aiuti all’Ucraina, consistente nientemeno che in 40 miliardi di euro? Il delirio proviene da Kaja Kallas. In Estonia, il gelo è compagno del Vana Tallinn, i cui 50 gradi riscaldano e confezionano miraggi. Sarebbe, tuttavia, una gratuita cattiveria attribuire alle sortite della Kaja l’origine alcoolica. Del resto, tanto furore più che dalle bottiglie del Vana Tallinn, potrebbe scaturire da altro spirito, quello di vendetta. L'intera famiglia della madre, infatti, nel 1949, dall’Estonia fu deportata nella lontana Siberia. L’ordine, però, partì da Iosif Stalin, non da Vladimir Putin, nato nel 1952. Vediamo i meriti della bellicosa signora estone che sono alla base della designazione come Alta rappresentante Ue per gli affari esteri:
1) Avvocatessa di lusso, mica da quattro capponi di Renzo;
2) Condannò con veemenza l’operazione militare speciale, benché, mentre lei si strappava i capelli per l’aggressione, il marito Arvo Hallik continuò imperterrito e tranquillamente, piena guerra in corso, a fare affari a Mosca con la sua azienda di logistica;
3) In famiglia è astutamente sordomuta ed ipovedente, visto che dichiarò di ignorare cosa fa suo marito;
4) È fortunata o potentemente raccomandata, tant’è che non è stata neppure spettinata, quando, come primo ministro dell’Estonia, fu sospettata di gonfiare i dati e papparsi più lauti rimborsi per gli armamenti forniti all’Ucraina. Si parlò, fra l’altro, del giochetto di far passare per nuove di zecca armi vecchie, da usato obsoleto, non proprio sicuro.
Insomma, un notevole curriculum in quanto a ombre, superiore a quello di von der Leyen, anch’ella macchiata dai propri plagi e dal chiacchieratissimo consorte. Del resto, funziona così nell’Ue, dove chi non merita sale in alto. I 40 miliardi di nuovi aiuti non rendono onore ai signori della guerra di Kiev, trattati da Kaja come pulciari, quando, parola di Volodymyr Zelens’kyj, sono ormai in grado di fare sfracelli. Hanno messo a punto, infatti, l’arma segreta. Certo, l’annuncio evoca la propaganda di Joseph Goebbels sulla “vittoria finale” garantita da armamenti da fantascienza dai V2 sino ai V7, micidiali dischi volanti, ma ognuno, a parole, può sparare quello che vuole. Dunque, l’esercito ucraino può usare il “Long Neptune”, il missile in grado di arrivare sino a Mosca e raderla al suolo. L’ordigno, frutto dell’ingegneria ucraina, può colpire bersagli lontani mille e più chilometri, ma Donald Trump, al contrario di Putin sicuro morituro, può star tranquillo, visto che Washington dista 7828 chilometri, invero troppi per il “Long Neptune”.
Inoltre, il “pacifista” Zelens’kyj afferma di poter disporre di quattro milioni di droni all’anno e di altre armi devastanti e ultra sofisticate. Davanti a siffatta potenza di fuoco, assale l’atroce dubbio: ma alla fine non è che saremo aggrediti, invasi e colonizzati non dall’Armata rossa, bensì dalla brigata presidenziale “Atamano Bohdan Chmel’nyc’kyj” zeppa di armi segrete?
di Giancarlo Lehner