La sinistra fuori posizione

lunedì 17 marzo 2025


Dio è morto, Mao Zedong è morto e nemmeno Nicola Fratoianni si sente troppo bene. L’incidente ideologico sulla Tesla di famiglia mostra plasticamente quanto certi circoletti chic credano veramente poco in quello che dicono. Se poi ci aggiungiamo che un convinto operaista come Fratoianni giustifichi “l’acquisto imperialista” dicendo che costava poco (47mila euro, cioè almeno due anni di stipendio di un precario), il gioco è fatto: il movimentismo liquido della sinistra è evaporato allo stato gassoso. O forse sarebbe meglio parlare di gazzosa: Rosy Bindi detiene azioni Tesla “a sua insaputa” mentre il recidivo onorevole Aboubakar Soumahoro è stato immortalato dalle telecamere di Striscia la notizia mentre circola per le strade di Roma a bordo di un Suv con l’assicurazione scaduta. E così il fascismo di Elon Musk, quelli che non riescono ad arrivare alla fine del mese, la legalità e via ragliando, sono tutti argomenti che vanno a comporre un mosaico tra il desolante e l’ipocrita.

Ma fino a quando si scherza con le piccole meschinità di casa nostra, con il basso cabotaggio delle vicende insignificanti, la questione può essere derubricata a schiamazzo da cortile. Si da il caso però che molto spesso il cortile esprima un disagio molto più ampio. Non a caso la spaccatura in sede europea all’interno del Partito democratico sul riarmo, ha fatto da detonatore ai malumori interni al partito. La squadra degli eurodeputati per metà (11 voti) ha seguito l’indicazione di Elly Schlein che, smussando l’originaria intenzione di dire “no” al piano di Ursula von der Leyen, ha chiesto l’astensione. E per metà (10 voti) è rimasta ferma sul “sì”. Sia chiaro, anche il centrodestra ha espresso un voto difforme nel suo complesso giocando al poliziotto buono e a quello cattivo nel tentativo di intercettare le diverse sensibilità sul tema. Ma una spaccatura all’interno dello stesso partito è un fatto grave e non strategico. Cosa importante è che fra i ribelli, c’è anche il presidente del partito e leader della minoranza interna Stefano Bonaccini ad avvalorare la tesi della gravità del fatto.

Ha ragione quindi Piero Fassino quando afferma che “il posizionamento internazionale definisce identità, profilo e credibilità di un partito” ma anche Lia Quartapelle quando osserva che “un partito non può astenersi (perché) deve dire dove sta, con chi sta, svolgere una funzione di leadership. È nei grandi cambiamenti che si misura lo spessore della proposta politica che tu hai o che non hai”. Luigi Zanda sembra il più contrariato perché afferma che serve un congresso e che “sulla politica estera serve serietà. Schlein deve ancora maturare per fare la premier”. Come dare torto a degli esponenti di partito che forse avrebbero trovato più conveniente tacere ma che evidentemente – al cospetto di una nuova Yalta in cui America, Russia e Cina stanno definendo un diverso ordine mondiale – non hanno potuto fare a meno di esternare.

Soprattutto in un momento in cui, più che mai, si avverte la fragilità di un continente europeo che non ha voce in capitolo dal punto di vista militare e politico e rischia di subire le scelte altrui senza alcuna capacità di deterrenza. Il Vecchio continente ha perso diversi decenni a parlare di austerity, di direttive grottesche, di burocrazia, di monetarismo cieco fino a farsi minacciare in casa propria senza poter fare altro che assistere inerme, senza e nemmeno avere un sistema comune di comunicazione militare (che poi è la base di tutto). In questo contesto, la sinistra italiana è quella che si vede in Europa e cioè una entità senza posizione comune, divisa esattamente in due come una mera sommatoria di sensibilità che coesistono nel nome del potere e dell’antagonismo rispetto alla destra. Un coacervo di europeismo e pacifismo che in questo momento è solo pura ambiguità.


di Vito Massimano