mercoledì 5 marzo 2025
Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Salvo D’Acquisto viene proclamato venerabile. Chi era Salvo D’Acquisto? Ricordiamolo agl’immemori italiani.
Salvo D’Acquisto nacque nel 1920 a Napoli. Nel 1939 si arruolò nell’Arma dei carabinieri, in cui avevano militato un nonno ed uno zio e dove, al momento dell’arruolamento, militavano ancora due altri zii, uno materno e uno paterno. Promosso carabiniere, combatté in Cirenaica e Tripolitania dal 1940 al 1942, allorché tornò in patria perché ammesso al corso allievi sottufficiali. Nominato vice brigadiere, fu destinato alla Stazione di Torrimpietra, dove finirà la sua breve vita senza neppure aver compiuto il ventitreesimo compleanno. Nulla esalta di più la figura di questo Eroe quanto la semplice, drammatica, rapida sequenza dei fatti dei quali egli fu tragico protagonista. Il 22 settembre 1943 alcuni soldati delle forze di occupazione, accasermati nella torre di Palidoro, rovistando in una cassa, provocarono lo scoppio di una bomba: un soldato morì, due restarono gravemente feriti. Una fatalità, dunque, dovuta all’imprudenza di quei militari. Ma per i nazisti doveva giocoforza trattarsi di un attentato: versione da loro subito accreditata.
Il 23 successivo, due soldati tedeschi si presentarono alla Stazione dei carabinieri di Torrimpietra e prelevarono il vice brigadiere D’Acquisto, che sostituiva il comandante assente. Altri militari germanici rastrellarono nei d’intorni, a casaccio, 22 innocenti. Fu chiesto al nostro sottufficiale di indicare il colpevole. Era una messinscena. Cercavano un capro espiatorio, altrimenti avrebbero pagato tutti gli ostaggi. D’Acquisto non si lasciò intimidire. Cercò di spiegare che nessun colpevole era fra essi. Lo insultarono. Lo minacciarono. Gli strapparono la giubba. Lo picchiarono. Ma lui, fermo: “Non ci sono colpevoli”. Furono portati tutti alla Torre di Palidoro, interrogati ancora, poi costretti a scavarsi la fossa. Salvo D’Acquisto capì che per gli ostaggi non c’era scampo. Il nemico esigeva un’aberrante espiazione. L’orribile crudeltà della macabra scena, che prelude alla fucilazione di 22 innocenti, lo inducono a confessarsi colpevole. Con la serena fermezza del vero innocente, convinto di obbedire ad un giusto dovere, Salvo D’Acquisto si addossa l’intera responsabilità: “Sono stato io”.
Rabbrividiamo ancora al pensiero di un atto così definitivo eppure compiuto quasi con naturalezza. Il supremo sacrificio accettato con estrema semplicità. Una decisione, l’offerta della propria vita in sacrificio della vita altrui, presa come extrema ratio dopo aver tentato con calma e determinazione di indurre i nazisti a recedere dalla loro iniqua risoluzione, che avrebbe infangato il loro onore di uomini e di soldati, perché non eseguivano una rappresaglia, feroce ma comunque prevista dalle convenzioni, bensì perpetravano un crimine, punto e basta. Il giovane sottufficiale, mentre la Patria era invasa e troncata in due, deve aver pensato che gli alamari della sua uniforme turchina rappresentavano l’ultimo simbolo ed anche l’affermazione concreta della giustizia di uno Stato che in quel momento, lì, non stendeva più la sua sovranità. Dichiaratosi colpevole, Salvo D’Acquisto chiede ed ottiene la liberazione degli ostaggi, che, increduli e terrorizzati, si disperdono. Tra loro c’è un diciassettenne che così racconta la fine del martire: “Pochi minuti dopo, sentii una voce secca, quasi metallica gridare Viva l’Italia e contemporaneamente una scarica. Feci appena in tempo a vedere l’Eroe impallidire e cadere riverso nella fossa, mentre la sua camicia bianca si tingeva di chiazze rosse di sangue, come le bande dei suoi pantaloni. Un maresciallo nazista sparò ancora sul povero corpo, poi, tutti insieme, i soldati spinsero con il piede un po’ di terriccio sul cadavere e si allontanarono”.
Il 17 febbraio 1945, nell’atto di conferimento della medaglia d’oro al valor militare, scrissero: “Egli affrontò impavido la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici”. Sono quasi sempre misteriose le ragioni profonde che generano l’eccelso valore. Ma, forse, comprendere l’eroismo di Salvo D’Acquisto è meno difficile, perché costituisce una pura attestazione del bene. Egli è un Eroe al di sopra delle parti. Di fronte al suo sacrificio le distinzioni scompaiono e gli schieramenti si unificano. Anche questo è un eccezionale servigio che il suo martirio rende alla Patria. Ne sono un piccolo indice ben 423 vie, 82 piazze, 69 scuole, 24 parchi, intitolati alla memoria dell’Eroe in tante città italiane. Era un ragazzo sano, semplice, vivace, educato rigorosamente (in casa, a scuola, nell’Arma) ai valori morali e civili, legato alla famiglia, con un forte senso religioso. Niente e nessuno l’obbligava ad immolarsi, specie in quei terribili giorni del settembre ’43.
Il suo amore per il prossimo, la sua coscienza adamantina, il suo acutissimo senso del dovere furono gli imperativi etici ai quali obbedì. Autorevolmente è stata proposta la beatificazione dell’Eroe, della quale la venerabilità è il primo passo. La sua stessa morte è il monumento più duraturo alla sua vita. Pur nella semplicità della formazione culturale, egli agisce con grandezza socratica e merita un posto nell’empireo dei maestri di virtù. Il filosofo rifiutò di sottrarsi all’ingiusta sentenza capitale per non disobbedire alle leggi. Il soldato scelse l’iniqua esecuzione per salvare persone innocenti. Ecco dunque l’uomo onorabile: un cristiano, un italiano, un carabiniere. Unus pro multis.
Quel martirio è misconosciuto dagli apologeti della Liberazione e pone agl’italiani un interrogativo denso di implicazioni morali, politiche, storiche. L’atto più eroico della Resistenza è il meno annoverato dalla Resistenza. Perché?
di Pietro Di Muccio de Quattro