venerdì 21 febbraio 2025
Repetita iuvant: il disastro ucraino non è attribuibile a Donald Trump, ma a chi lo ha preceduto alla guida della più potente Nazione al mondo. Trump, semmai, può essere il risolutore di una sconfitta dell’Occidente – che è nella realtà dei fatti – prodottasi e in qualche misura cercata nel fango melmoso delle steppe ucraine. Se c’è un colpevole per quanto di terribile stia accadendo, in primis al popolo ucraino e, di riflesso, ai popoli europei, questo è Joe Biden. È quel mondo democratico statunitense che, forte della sua autoproclamata superiorità morale e finanziaria, a un certo punto del tiro-alla-corda con la Russia dell’autocrate Vladimir Putin ha deciso di spezzarla. Quello stesso mondo che ha interpretato il senso della profezia di Francis Fukuyama sulla fine della storia come estinzione per annientamento di una realtà statuale complessa – e per alcuni versi indecifrabile – che è la Federazione russa, crogiolo di culture, religioni, identità diversissime tra loro ma tenute insieme dal collante di un comando centralizzato. Un’architettura verticalizzata di potere che, per funzionare, non può che essere imperiale per sua natura, anche nella improbabile versione del “diversamente democratico”.
É colpa di quella vertigine egemonica che ha tolto lucidità alle élite statunitensi, le quali hanno giudicato possibile piazzare i missili transatlantici fuori dell’uscio di casa dei russi, strappando a Mosca il controllo dell’area cuscinetto di difesa naturale dell’impero che, da sempre, sono state le immense distese di terra ucraine. Per non giungere al punto catastrofico in cui siamo adesso, l’unico modo sarebbe stato di non cominciarlo affatto il braccio di ferro con il Cremlino per il tramite di Kiev. La più grande favola autoconsolatoria che continuiamo a raccontarci è la cattiveria di Putin che, nel febbraio 2022, ha invaso la libera Ucraina. È un’ipocrisia grande quanto una Nazione. La storia di questa follia comincia dalla pseudo rivoluzione di Piazza Maidan, nel 2014, e dall’atteggiamento occidentale nel benedire soluzioni golpistiche in chiave anti-russa, spacciate per “primavere di libertà”. Ed è proseguita con il sostegno a iniziative di pace fasulle, del tipo “Accordi di Minsk”, che non valevano nulla se non a spronare gli ucraini antirussi a fare piazza pulita delle minoranze etniche russofone della regione del Donbas.
Putin non merita alcuna assoluzione per la scellerata decisione di invadere il vicino. Ma neppure Biden merita una medaglia per aver fatto di tutto pur di indurre Mosca a commettere il crimine peggiore. Gli occidentali vorrebbero processare Putin per crimini contro l’umanità. Tuttavia, un tribunale serio e imparziale dovrebbe chiamare sul banco degli imputati anche il signor Joe Biden per istigazione al crimine. Ora che la frittata è fatta tocca a Trump il risolutore cavare gli Stati Uniti fuori dai guai. Lo farà, ma a modo suo. Con la durezza comunicativa e la spregiudicatezza negoziale che gli sono proprie. Non è un caso se finora non abbiamo menzionato, nella chiamata in correità, i leader europei. Non perché costoro siano buoni e saggi, ma semplicemente perché oggi come allora tutti loro non contano nulla. Per una serie di ragioni storiche, che andrebbero studiate a fondo, dalla fine della Seconda Guerra mondiale non è mai esistita, sul fronte della politica globale, una volontà europea che fosse autonoma e indipendente da quella statunitense.
E chi rimprovera in queste ore ai capi dei Paesi dell’Unione europea di non aver tentato in questi ultimi anni di guerra russo-ucraina di aprire un fronte negoziale con Mosca, mente sapendo di mentire. L’Europa, dal febbraio 2022, ha ripetuto a cantilena ciò che a Washington si diceva sulla Russia, su Putin e sul destino funesto da riservare al nemico storico. Il problema è che adesso, cambiato il maestro concertatore, i coristi fanno difficoltà ad adeguarsi al nuovo spartito. Niente paura, è solo questione di tempo, poi tutti, più o meno riottosamente, si adegueranno alla nuova musica e la canteranno con la stessa convinzione con la quale hanno interpretato il “crescendo” scritto da Joe Biden su un pentagramma mal tracciato. Si obietterà: ma così facendo non c’è giustizia per il martoriato popolo ucraino. E da quando la giustizia ha fatto capolino ai tavoli di pace? Ci fu forse giustizia nell’amputare l’Italia della sua appendice fiumano-istriana, per soddisfare gli appetiti del criminale Josip Broz Tito? Lì c’erano italiani che reclamavamo il sacrosanto diritto di restare tali, ma in quelle circostanze, in cui si annunciavano le prime folate di vento della guerra fredda, agli americani piaceva stare dietro ai desiderata della belva jugoslava che, ai loro occhi, aveva il merito di aver rotto con Iosif Stalin e con l’Unione sovietica. Da la Repubblica di Platone in poi, cos’è la giustizia se non l’utile del più forte?
Trump ha il problema di rimediare all’unico effetto rilevante (in negativo) causato dalla guerra alla Russia per interposta Ucraina: spingere Mosca tra le braccia di Pechino. Che non è solo questione commerciale. È, principalmente, ragione strategica di assoluta grandezza. Nel tempo storico del ritorno degli imperi, la competizione economica ha visto la potenza cinese sopravanzare nel rapporto concorrenziale con l’economia statunitense. Ciononostante, gli Usa hanno mantenuto un vantaggio incolmabile rispetto al competitore cinese sul fronte geopolitico. Vantaggio assicurato dal gap tra Usa e Cina riguardo all’arsenale nucleare. L’anomala alleanza che ha spinto la Russia a stare con la Cina rischia al momento di colmare quel gap che ha tenuto in sicurezza l’Occidente in tutti questi anni. Mosca, piaccia o no, mantiene attive 6.257 testate nucleari (Iriad, archivio disarmo, Report 2021). E non sarà indifferente sapere con chi starà nel prossimo futuro colui che ha nelle mani la valigetta dei codici di migliaia di armi letali per l’intera umanità. L’obiettivo prioritario del capo del mondo libero è di strappare Putin dall’abbraccio con Xi Jinping, costasse pure un cadeau da donare all’inquilino a tempo indeterminato del Cremlino, grande quanto tutto il Donbas ucraino, la Crimea e territori circostanti. La soluzione non piace a Volodymyr Zelensky, il malconcio presidente ucraino? Pazienza! Se ne farà una ragione. D’altro canto, a chi piacerebbe essere trattato come un fazzolettino Kleenex, che prima ci si soffia il naso e poi lo si getta via.
Ma, con un minimo di onestà intellettuale, bisognerebbe domandarsi chi è che ha usato il leader ucraino come un burattino da portare a spasso per il mondo: Trump che è alla Casa Bianca da un mese o chi nei tre anni precedenti ha costruito la trappola infernale in cui ci si è infilato tutto l’Occidente libero? E gli europei, che vorrebbero dire la loro sul futuro ucraino? Trump ha per loro un messaggio chiaro che non richiede decodificazione di sorta e che offre la misura esatta della considerazione nutrita per gli alleati del Vecchio continente: screw ‘em. C’è bisogno di tradurre?
di Cristofaro Sola