mercoledì 19 febbraio 2025
Ha ottenuto una risonanza planetaria il discorso da Monaco di J.D. Vance in cui ha rampognato le classi dirigenti europee. Le reazioni di quella italiana (di centrosinistra) e della stampa mainstream sono state le solite. Chi, riferendosi all’incontro di Vance con i leader di AfD l’ha ricondotta alla consueta reductio ad hitlerum; i più a una interferenza (ovviamente inammissibile perché non sollecitata da loro); altri al tentativo di far dimenticare analoghi errori della politica Usa, e qua siamo al focherello, perché prassi simili sono state poste in essere dalle amministrazioni di Joe Biden e Barack Obama (salvo altri). A me preme di notare che in quanto affermato da Vance siano enunciate idee che da millenni, o da secoli fanno parte del pensiero politico realista, quello parafrasando Niccolò Machiavelli, che prende in considerazione la realtà dei fatti e non l’immaginazione degli stessi. Due in particolare. La prima è che l’Europa è in crisi, e che questa è per così dire endogena. Dice Vance: “L’Europa deve affrontare molte sfide, ma la crisi che questo continente sta affrontando in questo momento, la crisi che credo stiamo affrontando tutti insieme, è una crisi che abbiamo creato noi stessi”. Questa è dovuta a “come molti di voi in questa sala sapranno, la Guerra fredda ha schierato i difensori della democrazia contro forze molto più tiranniche in questo continente. E considerate la parte in quella lotta che censurava i dissidenti, che chiudeva le chiese, che annullava le elezioni. Erano i buoni? Certamente no. E grazie a Dio hanno perso la Guerra fredda. Hanno perso perché non hanno valorizzato né rispettato tutte le straordinarie benedizioni della libertà. La libertà di sorprendere, di sbagliare, di inventare, di costruire, poiché a quanto pare non si può imporre l’innovazione o la creatività, così come non si può costringere le persone a pensare, a sentire o a credere a qualcosa, e noi crediamo che queste cose siano certamente collegate. E purtroppo, quando guardo all’Europa di oggi, a volte non è così chiaro cosa sia successo ad alcuni dei vincitori della Guerra fredda”.
In altre parole, l’Europa decade perché non crede essa stessa nei propri valori. A chiosare quanto affermato dal vicepresidente Usa, perché ha oscurato le radici giudaico-cristiane, cioè il fondamento della democrazia liberale, in particolare nella “variante” della dottrina del diritto divino provvidenziale. Nei due capisaldi fondamentali: il rispetto per le decisioni e convinzioni della comunità e la tutela dei diritti di ciascuno, comunque quello di manifestazione della libertà del pensiero. Per cui, sempre a leggere Vance, alla luce di Machiavelli, farebbero molto bene i governi europei a “ritornar al principio”, cioè ai fondamenti dell’ordine politico democratico-liberale e non all’(ipocrita) camuffamento del medesimo. La seconda. Vance ha poi posto un problema di potenza politica. Infatti dice: “Se avete paura dei vostri stessi elettori, non c’è niente che l’America possa fare per voi, né, del resto, c’è niente che voi possiate fare per il popolo americano che ha eletto me e ha eletto il presidente Donald Trump. Avete bisogno di mandati democratici per realizzare qualcosa di valore nei prossimi anni. Non abbiamo imparato nulla dal fatto che mandati deboli producono risultati instabili, ma c’è così tanto valore che può essere realizzato con il tipo di mandato democratico che penso verrà dall’essere più reattivi alle voci dei vostri cittadini. Se volete godere di economie competitive, se volete godere di energia a prezzi accessibili e catene di approvvigionamento sicure, allora avete bisogno di mandati per governare perché dovete fare scelte difficili per godere di tutte queste cose e, ovviamente, lo sappiamo molto bene in America”.
E qua Vance ha posto un tema fondamentale del pensiero politico ossia, a sintetizzarlo al massimo, quello dell’obbedienza (del consenso, della legittimità) e del rapporto con la potenza dell’istituzione politica (o nelle “varianti” dei governanti, delle comunità). È intuitivo che un comando che non ottiene obbedienza non è comando reale; quello che la ottiene, ma soltanto con la coazione, dura poco (è instabile). Quindi l’ideale è che il comando sia sempre corrisposto da un certo grado di obbedienza (anche se non perinde ac cadaver). Meno intuitivo è che un governo, poco confortato dal consenso degli elettori (pour richiamandosi alla democrazia) è un governo debole.
Scriveva Baruch Spinoza: “Il diritto dello Stato, infatti, è determinato dalla potenza della massa, che si conduce come se avesse una sola mente. Ma questa unione degli animi non sarebbe in alcun modo concepibile, se lo Stato non avesse appunto soprattutto di mira ciò che la sana ragione insegna essere utile a tutti gli uomini” e che “non è il modo di obbedire, ma l’obbedienza stessa, che fa per il suddito”; ciò, malgrado non ammettesse un dovere d’obbedienza assoluta, Anche se un monarca come Federico II di Prussia enunciava come fattori di potenza e di sicurezza di uno Stato: esercito, tesoro, fortezze, alleanze” (omettendo così il consenso/obbedienza) è sicuro che senza questa, il potere del governante è ridotto ai minimi termini. L’ordine e la coesione sociale e politica che ne consegue – al contrario – facilitano sia l’esecuzione delle obbligazioni, anche internazionali come, del pari, rendono vane – o limitano – la possibilità di speculare dall’esterno sulle rivalità e conflitti tra i governati e soprattutto sui gruppi in cui si dividono. E pluribus unum non è solo il motto degli Usa: è il compito e lo scopo di ogni unità politica vitale. Ma se, al contrario, tale unità degli animi non si realizza, anzi si sviluppano nuove contrapposizioni, a farne le spese è, in primo luogo, la potenza (in senso weberiano) dell’istituzione statale, che vede nullificata o radicalmente ridotta la possibilità che la propria volontà possa essere fatta valere. Il parametro sul quale giudicare la potenza dello Stato è esistenziale e non normativo. La scelta virtuosa, dice Vance, è abbracciare “ciò che il vostro popolo vi dice, anche quando è sorprendente, anche quando non siete d’accordo. E se lo fate, potete affrontare il futuro con certezza e fiducia, sapendo che la nazione è al fianco di ognuno di voi, e questa per me è la grande magia della democrazia... Credere nella democrazia significa capire che ogni cittadino ha la propria saggezza e la propria voce, e se ci rifiutiamo di ascoltare quella voce, anche le nostre battaglie più riuscite otterranno ben poco... Non dovremmo avere paura del nostro popolo, anche quando esprime opinioni in disaccordo con la propria leadership”.
Mentre nelle istituzioni europee a molti “non piace l’idea che qualcuno con un punto di vista alternativo possa esprimere un’opinione diversa o, Dio non voglia, votare in modo diverso o, peggio ancora, vincere un’elezione”. E in ciò Vance non ha fatto altro che seguire non solo il pensiero politico realistico, ma anche la prassi del diritto internazionale (sia classico che post-vestfaliano) per cui soggetto di diritto internazionale, o comunque interlocutore è chi ha il potere, in una comunità; chi lo aveva, anche se titolare legale, ma non ce l’ha più, lo perde. Chi è in “lista di sbarco” come gran parte ella classe dirigente europea, è un interlocutore debole e quindi inutile. Dato che, negli ultimi anni, la gran parte dei Paesi dell’Ue ha visto cambi di governo a favore di sovranisti (lato sensu) e, laddove non è successo, gli stessi sono cresciuti, di guisa che perfino la stabilissima quinta repubblica francese è diventata bastabile, è chiaro che i suddetti governanti non sono ritenuti interlocutori reali. A meno che – quanto meno improbabile – non recuperino il favore popolare. Ma se ciò non avviene non resta che aspettare le elezioni: avanti il prossimo.
di Teodoro Klitsche de la Grange