Il fantasma di Craxi che i comunisti non possono scacciare

mercoledì 29 gennaio 2025


Nel 25° anniversario della morte di Bettino Craxi, tante voci ne hanno ricordato la figura di uomo politico, di segretario del Psi, di deputato, di presidente del Consiglio. La voce più autorevole è stata del presidente della Repubblica. In vario modo ne hanno “rivalutato” l’opera, pur evidenziandone le ombre. Può dirsi che dal passato disprezzo degli odiatori, i commemoratori di oggi hanno fatto emergere un abbozzo di giudizio storico, con tutte le sfaccettature del pensiero e dell’azione dell’ultimo vero protagonista della Prima Repubblica. Non voglio aggiungere alle altre la mia commemorazione, ma semplicemente stendere una noticina di etica spicciola sul comportamento di certi eredi, posteri e postumi, del fu Pci, per i quali Bettino Craxi funge da cartina di tornasole della loro qualità politica. Devo premettere che non fui un simpatizzante del craxismo, anzi. Fui l’unico consigliere nazionale del Pli a votare contro l’ingresso dei liberali nel Governo Craxi. Non conta riportare i motivi di quel voto. Qui lo ricordo soltanto per fugare equivoci

Bisogna sempre distinguere tra comunismo, partito comunista, comunisti e mentalità comunista. L’ideologia, il partito, i seguaci sono scomparsi (possiamo dirlo?). La mentalità, no. Ed è questa mentalità che il “caso Craxi” disvela come una reazione chimica. Infatti la trasformazione del Pci in Pds, Ds, Pd non ha cambiato la natura dei soggetti coinvolti ma ne ha modificato l’apparenza, come chi credesse di diventare un altro sostituendo la foto sulla carta d’identità. A qualcuno, specie a qualche vecchio militante, potrà sembrare acido il mio giudizio, ma il Pci fu protagonista di un cambiamento presunto macroscopico, esaltato (i comunisti “trinariciuti” magnificarono sempre le loro posizioni poi manifestatesi inqualificabili) come rigenerazione: la svolta della Bolognina, 3 febbraio 1991. Il segretario del Pci gli cambiò nome restandone segretario! Segretario del Pci dal 1988 divenne segretario del dopo Pci fino al 1994. È credibile come “nuovo corso”? Per fare un esempio esplicativo, non un paragone calzante, una serpe non diventa capitone quando cambia pelle a primavera.

Tanto per rinfrescare la memoria, il Muro di Berlino crollò il 9 novembre del 1989. La bandiera bolscevica, rossa con falce e martello, fu ammainata dal pennone del Cremlino il 25 dicembre del 1991. Quindi la “resipiscenza ideologica” del Pci, un maquillage mal riuscito, era avvenuta per effetto e nel mezzo dei due formidabili colpi assestatigli dalla storia. Quei comunisti dimostrarono di non possedere affatto la vantata intelligenza della “direzione di marcia dell’umanità”, ma di andare a rimorchio degli eventi. La mentalità comunista, sebbene meno virulenta, è sopravvissuta nelle reincarnazioni del partito ribattezzato. È rimasta uguale e obbedisce al “principio di albagia” stabilito da Palmiro Togliatti, perciò “il migliore”, appunto, tra loro. Quando i post-comunisti hanno cominciato a perdere credibilità e voti, pure tra loro è venuta a galla qualche autocritica: siamo presuntuosi, siamo antipatici, eccetera. Ma senza confessioni ufficiali e senza pentimenti politici. Tutt’altro. Sprezzanti del ridicolo, si sono perfino impancati ad impartire lezioni di un liberalismo adulterato e mal digerito. Certo sarebbe stato troppo aspettarci dai “convertiti” una professione di anticomunismo o la solenne ammissione dell’errore pervicacemente coltivato. Ma un cambiamento di mentalità, sì. Invece non è cambiata.

E lo hanno dimostrato per l’ennesima volta con il silenzio generalizzato sul “caso Craxi”. Neppure una dichiarazione di circostanza dagli altrimenti loquaci dirigenti del Partito democratico, allevati dall’onesto partito berlingueriano nel mito della superiorità morale. E neppure una rinnovata, rivendicata a viso aperto, vigorosa condanna di Craxi o una semplice attestazione di anticraxismo. Neppure il fegato di sparlarne per coerenza pure sulla tomba. Hanno voluto mantenersi (apparire, ecco la parola!) diversi, mentre il loro silenzio è figlio di quella mentalità comunista che conservano e coltivano a dispetto dei nuovi nomi. Però li capisco. Odiarono Craxi, che di suo fu autolesionista, ma dalla parte giusta della storia. Amarono Enrico Berlinguer, cavalcando con lui la parte condannata dalla storia. Se parlassero di Craxi, dovrebbero comunque ammetterlo, il loro abbaglio.


di Pietro Di Muccio de Quattro