La sovranità come una torta

lunedì 13 gennaio 2025


Ascoltando quanto viene di solito affermato da dotti studiosi di diritto internazionale o da altrettanto dotti commentatori di politica estera, sembrerebbe che la sovranità nazionale – della quale oggi molto si discute quale luogo archimedeo dei rapporti fra singoli Stati ed Europa – sia simile alla torta di Nonna Papera. Molti di noi ricorderanno come, leggendo le avventure di Topolino, ci si imbattesse con una certa frequenza nella torta di ribes (o di mirtilli) preparata con cura da Nonna Papera per i nipotini Qui, Quo e Qua, ma che tuttavia essa, mentre questi litigavano per averne fette più grosse, veniva invariabilmente divorata da Ciccio, il pacioso e ghiottissimo collaboratore della Nonna. Ho scritto che la sovranità nazionale somiglia alla torta della Nonna perché da tempo se ne parla e se ne discetta come appunto fosse una torta in possesso dei singoli Stati e come se ciascuno di essi volesse concederne una fetta piccola o piccolissima a questo strano ente chiamato Europa, conservando per se tutte le altre fette, come appunto fanno di solito Qui, Quo e Qua. Nel frattempo, della sovranità si fa scempio perché essa, divenuta oggetto di discorsi strampalati e luogo di scontro fra sovranisti e antisovranisti, scompare nel gorgo della nullificazione di ogni significato come la torta nelle voracità di Ciccio.

Il punto è che la sovranità non è una torta da dividere fra i singoli Stati e l’Europa, in modo che se i primi ne cedono porzioni più grosse, rimanendone privi, la seconda le acquista incamerandole e propiziando litigi che non avranno mai fine. Questa visione distorta – oggi la sola e unica – è stata resa possibile dal fatto che i cosiddetti europeisti hanno dato vita a un ente sovranazionale, impropriamente chiamato Europa, fondato esclusivamente sul denaro, sui traffici commerciali, sulle banche, sulle materie prime, sullo spread: una cosa assurda e assurdamente folle, perché la sovranità è stata così ridotta a un oggetto, uno in mezzo a tanti altri oggetti del mondo: reificata. Ne viene di filato che ogni Stato rimane geloso della propria sovranità e che, quando è costretto a cederne una fetta dai trattati vigenti, lo fa di malavoglia, pronto a rivendicare i propri diritti rispetto ad altri Stati che ne avrebbero ceduto una porzione minore: appunto, come si trattasse di una torta. In questa tristissima prospettiva, c’è una grande assente ed è proprio l’Europa. Infatti, tutti – o quasi – sembrano aver dimenticato come l’Europa, lungi dal rubacchiare a destra e a manca pezzetti di sovranità, cosa di cui non avrebbe affatto bisogno, goda di una sua propria e autonoma sovranità, che non è costituita dai pezzi ceduti dagli Stati, ma dal suo proprio retaggio storico, politico e culturale.

Faccio evidentemente riferimento all’idea di Europa come ente organico, riconoscibile, dotato di un’anima propria la quale, ponendola al di sopra dei singoli Stati, la rende autenticamente sovrana. È l’anima dell’Europa che nasce e si sviluppa sullo spirito della filosofia e della letteratura greca, su quello del diritto romano, su quello del cristianesimo. Da questo punto di vista, l’Europa fiorì nel Medioevo. Basti pensare con quale naturalezza San Tommaso, dopo aver insegnato per anni a Napoli, si recasse a Parigi, seguito dai suoi allievi, molti altri trovandone sul posto; a come lo stesso regime giuridico venisse applicato in Danimarca, in Spagna o in Irlanda; a come solenni cattedrali sorgessero, dedicate al medesimo Dio, in Portogallo, in Francia o in Germania. Questa era la vera Europa: quella che oggi è assente. Quella presente – spiace osservarlo – non è Europa, ma un’accozzaglia di Stati litigiosi sulla torta da spartirsi. E ce lo hanno pure ricordato.

Novalis lo aveva scritto chiaramente già alla fine del Settecento, quando notava come cristianità fosse sinonimo di Europa. Joseph Ratzinger ha svolto osservazioni fondamentali sul punto. E lo stesso dicasi di Vittorio Mathieu e di Marcello Pera. E soprattutto lo sapevano e ne avevano propiziato la nascita alla fine del Secondo dopoguerra Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, oggi del tutto dimenticati. Ma, si badi, non Altiero Spinelli, il cui Manifesto di Ventotene rappresenta quanto di più elitario, dirigista e antidemocratico si possa immaginare. Tuttavia, niente da fare. Non hanno voluto gli Stati Uniti d’Europa, dotati di una sola anima e di una sola sovranità, comune a tutti gli Stati e non mercificabile. Hanno preferito un mosaico esanime e senza spina dorsale a un complesso organico e riconoscibile. I popoli sono stati espulsi. Ma si sa: quando il popolarismo viene negato, si fa spazio il populismo.


di Vincenzo Vitale