Chicchi alla Lysenko, Milano rotta alla Beppe Sala

venerdì 29 novembre 2024


Sassolini di Lehner

Tracce indelebili di stalinismo vivono e lottano presso di noi. In via Prenestina, Roma, sorge un istituto tecnico-agrario, sostenuto anche dall’Unione europea, che porta il nome dello stalinista Emilio Sereni. Il compagno Emilio fu talmente fedele a Baffone da sposarne acriticamente atrocità e buffonate. Il cannone sovietico di contro a quello guerrafondaio della Nato venne dipinto come simbolo di pace, tant’è che Sereni, paci-stalinista solerte, fu membro dell’esecutivo mondiale dei “Partigiani della pace”. L’aver fatto parte di siffatto club di bugiardi matricolati basterebbe per cancellarne il nome da qualsivoglia struttura pubblica. Avergli intestato, all’accecato lysenkoista, addirittura un istituto agrario certifica quanto putridume stalinista deturpi ancora il nostro Paese.

Nessuno darebbe il nome di Vlad terzo di Valacchia, alias Dracula, al sistema emo-trasfusionale della Sanità pubblica, eppure l’istituto di via Prenestina è stato marchiato a fango stalinista col nominativo del più efferato sostenitore delle demenziali teorie di Trofim Lysenko, l’agronomo furbastro ed arrivista che si fece bello con Iosif Stalin, sostenendo di poter modificare le leggi della natura attraverso la rigorosa applicazione del materialismo dialettico. Ispirandosi a Friedrich Engels, altro che ai decadenti ed antiproletari scienziati “puri” al servizio del capitalismo, costui si disse certo di poter selezionare un frumento più che precoce: seminato in primavera, già raccolto in autunno, evitando, così, i pericoli delle gelate. Lysenko prometteva, dunque, di risolvere il problema della fame che il regime comunista, con le cooperative agricole (i kolchoz per l’agricoltura intensiva e i sovchoz per quella estensiva) e i cervellotici piani economici, aveva imposto all’intera popolazione sovietica, salvo la grassa, anzi obesa, nomenklatura.

V’è da rilevare, a conforto del compagno Emilio, che il “suo” Lysenko si aggira tuttora imperterrito nelle commissioni della Ue, dove le fanfaronate e le mode politicamente corrette prevalgono sulla scienza e sugli scienziati, questi ultimi del tutto azzerati o azzittiti, visto che contraddicono tutti i fondamenti ideologici sui quali si basa la bio-truffa ed il macro-business della green economy. Il biologo Giuseppe Montalenti, nauseato dagli Emilio Sereni del Pci, domandò “se sia lecito che organi statali, o persone o gruppi di persone incompetenti in una data specialità, si arroghino – in nome di una dottrina politica o di un credo religioso o di una teoria filosofica, di cui si ritengono i soli interpreti infallibili – il diritto di legiferare sulla validità di una dottrina scientifica”.

La medesima domanda del vero scienziato Montalenti andrebbe posta ai Lysenko odierni, cioè ai saccenti incompetenti della Commissione europea. Col cervello obnubilato dal marxismo-leninismo, Sereni, fautore del carattere partitico della scienza, come capo della Commissione cultura del Pci (1948-1951) propagandò la caterva di bestialità engelsiane e para-lamarckiane di Lysenko, che nel 1948 furono elevate da Stalin a Dottrina biologica ufficiale. In Urss, dunque, fu spazzata via la pur prestigiosa scienza genetica russa, con l’ulteriore barbarie di perseguire penalmente gli studiosi in odore di biologia scientifica e non di partito.

Oltre che un cialtrone dialettico Lysenko fu un criminale essendo stato “responsabile del vergognoso ritardo della biologia sovietica nel campo della Genetica scientifica e della persecuzione della scienza autentica e dei veri scienziati”. Il più autorevole scienziato sovietico, l’accademico Nikolaj Vavilov, fu condannato alla pena capitale. Tuttavia, anticipò il boia, morendo di fame in carcere. Il dirigente scolastico dell’Istituto tecnico-agrario di via Prenestina dimostrerebbe onestà intellettuale e vera conoscenza degli uomini memorabili e della Historia, se proponesse al collegio insegnanti una nuova intitolazione, magari a Nikolaj Vavilov, condannato a morte perché scienziato.

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Il sindaco di Milano, quello con i calzettoni arcobaleno, tutto scena, visto che non risulta si tratti di saturnista praticante, mentre è sicuro che sia beneficiario del diritto allignoranza. Gaetano Salvemini, il socialsciocco che, criminalizzando il liberale Giovanni Giolitti, definito “Ministro della malavita”, diede una grossa mano all’antipolitica, all’antiparlamentarismo e, quindi, a Benito Mussolini, perorò il diritto all’ignoranza. Un diritto intelligente quello salveminiano che, dispiegando il “so di non sapere”, preludeva al dovere di informarsi e di sforzarsi di capire qualcosa, prendendo atto della realtà. Giuseppe Sala, purtroppo, denota soltanto il diritto all’ignoranza senza il connesso dovere all’apprendimento.

Sottovalutando l’invivibilità della città di Milano, messa a ferro e fuoco da immigrati inclusibili soltanto verso via della Mecca, supportati anche dalla banda degli antagonisti, il sindaco ha detto: “Capisco che alla destra piaccia fomentare queste situazioni ma sono qui oggi per continuare a dire che Milano resterà una città accogliente. Quello che è successo ci richiama alla nostra attenzione ma non ci fa deviare rispetto alla nostra rotta”. L’unica “rotta”, però, è proprio Milano, dove quanti escono per una passeggiata e rientrano senza essere stati insultati, minacciati, derubati o capitati nel bel mezzo della guerriglia quotidiana, gridano al miracolo. Milano non appartiene più ai milanesi.

“Rotta” assai è via Omero, dove una settantina di inneggianti al morto, il pregiudicato egiziano Ramy Elgami, hanno bloccato un autobus e lo hanno distrutto. Quindi, si sono scagliati contro gli agenti di polizia, colpendoli con bottiglie e scarti di materiale edile; in più roghi, cassonetti dati alle fiamme, un veicolo della Ps gravemente danneggiato. Violenza e vandalismo per vendicare l’egiziano, sbalzato dallo scooter sfrecciante contromano e guidato da un tunisino anch’esso con precedenti. Il tunisino, peraltro senza patente, aveva in tasca 1000 euro, una catenina doro spezzata, una bomboletta spray al peperoncino – in zona è la tipica arma per rapinare negozianti – un coltello a serramanico.

Sui muri di piazza Gabrio Rosa e di via Panigarola ancora oggi si stagliano scritte per Ramy, sigle “antifa”, proPal, e contro la polizia. Nella Milano contro i milanesi, c’è pure la Procura, che indaga chi? Proprio il carabiniere alla guida dell’auto di pattuglia costretta all’inseguimento dei due islamici, che non s’erano fermati all’alt.  No comment. Complimenti, Beppe Sala, sindaco della Milano “rotta”.


di Giancarlo Lehner