Mangio ostriche, giammai bambini

venerdì 15 novembre 2024


Sassolini di Lehner

Ho la fortuna di non essere madre, sorella, fratello, cugino, zia e nemmeno – possedendone l’età – nonna o nonno di Giorgia Meloni. Non sono neppure fidanzato, amico, frequentatore, ma solo conoscente in modica quantità – episodio unico, antico e irripetibile, quando, nella presentazione di un mio saggio, avendola ascoltata, dissi a Gianfranco Fini: “Questa ragazzina denota un’autentica vocazione all’arte della politica”. La più breve contiguità con Giorgia aizza rancori e maledizioni. Meglio starne alla larga. Inoltre, non sono un genio, tipo Elon Musk, risultando portatore sano di quoziente d’intelligenza assai meno inquietante per le italiche istituzioni. Essendo prossimo alla non melonità, posso non ottemperare al mutism correct, esprimendomi liberamente senza essere demonizzato, derubricato a pericolo pubblico, aggredito dagli spacciatori di fiele massmediale e neppure redarguito dal Quirinale. Sono retrivo stagionato al punto da ricordare che il trittico “Dio, patria, famiglia”, fu coniato non da Benito, ma da Mazzini, da non confondere con la splendida Mina.

Secondo i canoni della sovranità limitata, se non criminalizzata, prima da Leonid Brežnev, ora dal Politburo della Ue, attualmente il patriota genovese sarebbe dannato peggio di Viktor Orbán. Essere retrivi e, comunque, obsoleti ed estranei al nuovo che avanza è condizione pesante, esposta al pubblico ludibrio o, peggio, alla pettinatura di bambole del compagno Bersani. Pierluigi è, di contro, il classico esemplare di smacchiatore di giaguari aperto e progressivo. Da fanciullino sensibile, entusiasmato dagli evoluti carri armati sovietici di Praga, agosto 1968, avendo compreso la modernità delle invasioni contro i sovranisti alla Jan Palach, Bersani – da ringraziare non con thank ma con tank you – prima si iscrisse ad Avanguardia operaia, quindi al Pci. Nel centrodestra, capace di non farsi mancare niente, spicca il progressista Guido Crosetto, l’impavido vincitore, in quel di Alesia, di Robertorige.

Nel Bellum vannaccianum starà scritto che Vannacci, l’insidioso re dei galli, invece di essere incatenato come una belva, quindi strangolato nel carcere Mamertino, stante intercessione del magnanimo ministro Guido, a partire dal 46 Avanti Lgbtqia+, per 11 mesi patirà soltanto la sospensione da generale dell’Esercito e “la detrazione di anzianità e il dimezzamento dello stipendio”. Un altro progressivo è il signor Filippo Kalomenìdis, sedicente “scrittore poeta e militante politico”. Pare sia pure docente alla Scuola di cinema di Roma, a conferma dei borbottii reazionari sull’attuale cinemetto italiano finanziato coi soldi dei contribuenti, per confezionare comizietti rossi e cineveltronismi, ma soprattutto, per far sopravvivere nell’agio attori, registi, sceneggiatori e quant’altri talmente avidi da affidarsi a Gianfranco Lande, il Bernard Madoff dei Parioli. Kalomenìdis è uno che ribattezza l’ecatombe di ebrei del 7 ottobre come “rivoluzione palestinese”.

Da fervido credente di Hamas, tiene sul comodino la fotografia di Yahya Sinwar, il non da me compianto stratega delle stragi. Ebbene, essendo antisionista cronico sino all’Epos di Carneficina continua di ebrei, costui ha pure vergato un poemetto inneggiante alle mattanze: 1.200 assassinati e 251 ostaggi sarebbero “atto storico della Rivoluzione palestinese potenza culturale, oltre che militare, sinora mai vista. Come le migliori rivoluzioni. La Rivoluzione palestinese è solo iniziata il 7 ottobre cesura col passato meravigliosamente e tragicamente irreversibile”. Davanti a siffatti spropositi di nuovo odio che avanza, l’Università statale di Milano s’è subito dichiarata disponibile ad ospitare la presentazione dell’epopea terroristica. Trovandomi molto ad Ovest della Schlein, da retrivo totale, talora, mangiatore di ostriche, giammai di bambini, vivo come incubi certi odierni rettori e docenti di atenei sempre troppo aperti ai cekisti che avanzano.


di Giancarlo Lehner